Vera Dragone sta attraversando un periodo professionale molto intenso. Il 27 novembre al Torino Film Festival sarà presentato Gianni Versace – L’imperatore dei sogni, il film di Mimmo Calopresti in cui Vera Dragone interpreta Franca Versace, la madre di colui che cambierà per sempre l’idea stessa di moda. Ma Franca Versace non può essere definita soltanto in quanto “madre di”: è stata infatti una delle sarte più apprezzate di Reggio Calabria, riuscendo a portare da donna di umili origini il suo stile tra fila dell’alta società.
E il ruolo di madre, oltre che nella vita reale, Vera Dragone lo riveste anche in L’altra via, film approdato qualche settimana fa nelle sale italiane, e nello spettacolo di e con Diego Dalla Palma Bellezza imperfetta, che approderà la prossima settimana al Teatro Manzoni di Milano.
Attrice, cantante e performer a tutto tondo, Vera Dragone ha scelto di raccontarsi a TheWom.it in maniera sincera, ripercorrendo anche la sua infanzia e adolescenza, segnate dalla figura di un nonno che, se per tutti quanti era un regista straordinario, per lei era semplicemente un nonno favoloso: il regista Vittorio De Seta, di cui a breve si celebrerà il centenario dalla nascita.
Intervista esclusiva a Vera Dragone
Bella responsabilità interpretare nel docufilm di Mimmo Calopresti la madre di Gianni, Santo e Donatella Versace.
Beh, sì. È una madre molto importante e direi anche decisa per quella che è stata la carriera di Versace. È stata, comunque, anche lei una sarta molto richiesta: tutte le donne dell’alta società della sua epoca si rivolgevano a lei per i loro abiti. Era molto conosciuta a Reggio Calabria e ancora oggi il suo ricordo è forte: mi sono accorta durante le riprese in città di come in molti si ricordassero ancora della sua figura a distanza di decenni dalla sua scomparsa. Con il suo marchio, Franca Versace Reggio, è stata in un certo senso anche lei famosa ed è quella che ha dato il là a tutta la storia della famiglia Versace.
Franca è stata una di quelle donne che avrebbe voluto proseguire con gli studi ma, come accadeva a quei tempi, il padre le ha imposto di andare a lavorare come sarta, un lavoro umile che è riuscita a trasformare in una professione di successo. Gianni ha imparato il mestiere dalla madre, rubando con gli occhi tutto ciò che poteva: ha fatto pratica nel suo laboratorio di sartoria sin da bambino.
Franca non è il solo personaggio di madre calabra in cui è possibile vederti sullo schermo. In L’altra via, attualmente nelle sale, sei una madre che negli anni Novanta cresce un figlio con il sogno del calcio.
Da Reggio ci spostiamo a Catanzaro, nel quartiere Aranceto, dove Teresa, una donna di origini arbëreshë, vive sola con il figlio portando avanti due lavori per mantenere la famiglia. La sua è una condizione di grande disagio e difficoltà, quasi di depressione: sono talmente enormi le responsabilità che porta sulle spalle che spesso cede a momenti di rabbia o all’alcol per cercare di cancellare la sua esistenza così complicata. Il figlio, però, sogna di diventare calciatore quando incontra il suo idolo, un campione a fine carriera, e dalla loro amicizia si fomenta la speranza del piccolo per una vita diversa da quella che hanno i coetanei del quartiere.
L'altra via: Le foto del film
1 / 10Curiosamente, anche tu sei madre e calabrese.
Sono originaria di Sella Marina, un paesino in provincia di Catanzaro. L’altra via è stato girato in luoghi che appartengono alla mia infanzia e alla mia adolescenza. Conosco tutte le location da sempre ma la cosa bella è che le riprese inerenti al campo sportivo sono state effettuate a due passi dalla casa in cui sono cresciuta. Capita molto raramente a chi fa questo mestiere di lavorare praticamente a casa: è stata un’emozione fortissima. Sono anche contenta del periodo di primavera che sta vivendo il cinema calabrese: ci sono tantissime produzioni che lasciano spazio a storie che non sono più ambientate nelle grandi città e molti giovani registi che hanno voglia di raccontare un’altra parte d’Italia non solo in chiave criminale.
L’altra via è un film che racconta di sogni e di speranza. A te, quando eri ragazzina e muovevi i primi passi del percorso di attrice, chi ha dato sogno e speranza?
Da piccola, avevo una grande passione per il disegno. Amavo, nello specifico, disegnare costumi e vestiti, una passione che mi è ritornata quando ho dovuto interpretare Franca Versace: inventavo anch’io dei vestiti che a volte cucivo anche. Parallelamente, però, prendevo lezioni di canto: mi piaceva cantare ma mai mi sarei immaginata un giorno di fare l’attrice. Non è stato il mio primo sogno: ero consapevole di avere un estro creativo ma non avevo mai manifestato interesse per la recitazione. È stata la vicinanza con mio nonno, Vittorio De Seta, a portarmi su questa strada.
Per tutti quanti, mio nonno è stato un regista straordinario e importante per il cinema italiano ma per me è stato semplicemente un nonno fantastico. Mi è stato molto vicino: mi veniva a prendere a scuola, parlava con gli insegnanti, mi accompagnava a giocare a casa delle mie amiche… tutto cose che fa il più classico dei nonni. Ma, spesso, per via del suo lavoro, mi portava in giro per i festival che si tengono nel mondo: da quello di Capo Nord fino al Tribeca. Tutte le volte ero felice di accompagnarlo, saltavo la scuola e mi vivevo a pieno quelle gite improvvisate.
Per i suoi 80 anni, a Catanzaro hanno organizzato delle proiezioni e, durante un evento, mi si è avvicinata un’attrice del posto, che senza girarci troppo intorno mi disse, dal nulla, che secondo lei avrei dovuto fare il suo stesso mestiere. Affascinata da quella signora bionda con un cappello gigante in testa e super sorridente, ho deciso di seguire il suo consiglio cominciando a studiare recitazione con lei, a casa sua. Sono venuti poi i laboratori teatrali che si tenevano al liceo e pian piano è nata in me una passione travolgente, quasi psichedelica. E a 19 anni sono stata ammessa in Accademia, alla Silvio D’Amico.
E non ti sei fermata alla recitazione. Il nome Ladyvette ti ricorda qualcosa?
Per quattro anni, ho fatto parte di questo trio vocale che si chiamava Ladyvette. L’abbiamo creato io, Valentina Ruggeri (mia compagna di classe in accademia) e Teresa Federico, e ci sono rimasta dentro fino a quando non ho avuto mio figlio. Ho deciso dopo di staccarmi dal progetto per perseguire la mia carriera da sola: non si può sempre fare tutto e bene. E ho continuato comunque a cantare e lo faccio tuttora: dal 2019, ho aperto con il mio compagno, Alessandro Casella, un locale a Roma, l’Ellington Club. all’interno del quale vengono messi in scena degli spettacoli, di cui curo anche la regia. Ho un lato molto spietato e piumato, un dark side che si diverte con il burlesque, che quasi nessuno conosce.
A teatro sei al fianco di Diego Dalla Palma nello spettacolo Bellezza imperfetta.
Sono molto felice di quest’impegno al suo fianco. Diego è per me (e non solo per me) un’icona sia per quanto riguarda l’ambito make-up sia per quanto concerne la moda. Diretto da Ferdinando Ceriani, è uno spettacolo che racconta la vita di Diego e, in particolare, del rapporto con sua madre Agnese da me interpretata (un’altra madre che ritorna!), un rapporto che l’ha profondamente influenzato. La loro era una famiglia molto umile che viveva in un paesino in provincia di Vicenza ma, nonostante le origini, sua madre veniva descritta come una donna dalla grandissima personalità e sensibilità artistica che andava in giro con un rossetto rosso applicato perfettamente sulle labbra, un dettaglio molto significativo.
E, sempre in teatro, in passato ti sei confrontata con il mito dei miti: una certa Marilyn Monroe in Love is Blonde…
Ho interpretato uno spettacolo stupenda con colei che reputo la mia maestra di tutto, non solo di teatro ma anche di vita, Cristina Pezzoli, una delle più grandi registe che abbiamo avuto in Italia e persona in grado davvero di leggere le anime. Non era semplicemente una regista ma anche una pedagoga. Il lavoro che abbiamo fatto su Marilyn è stato molto profondo ma anche molto doloroso…
Mi sono talmente innamorata del metodo di Cristina e del modo di dirigere gli attori che ancora me lo porto dietro in tutto ciò che faccio. Da attrice e artista, dico sempre che la mia vita si divide in due: un prima e un dopo Cristina Pezzoli. Mi ha cambiata profondamente, facendomi tirar fuori degli aspetti che neanch’io sapevo di avere: era una sorta di strega, in senso buono, con un approccio quasi mistico all’arte e alla recitazione, oltre che una persona dal cuore puro. È andata via troppo presto ma la ricordo sempre con grande amore.
Fino ai primi anni del 2010, ti abbiamo vista molto al cinema. Segue poi una parentesi soprattutto televisiva. È stata una tua scelta consapevole o sono stati fattori esterni a determinarla?
In realtà, non lo so. Probabilmente, non consapevole. La nostra vita è un continuo far provini e audizioni ed è un po’ il caso a decidere per me. Per carattere, non sono molto festaiola e, di conseguenza, capita raramente che mi ritrovi al posto giusto nel momento giusto. Preferisco dopo il mio lavoro far tutt’altro, come ad esempio andare in milonga: sono un’appassionata di tango! Sono, dal mio punto di vista, un’attrice atipica: ho alternato cinema, televisione e teatro, e nel frattempo ho lavorato come cantante, per non escludere nulla. Ma non è stata una scelta che ho ponderato io: hanno scelto gli altri.
Sei anche diventata madre, come accennavi prima. Ha influito la maternità nel tuo percorso di attrice?
Sì, ho un figlio di sette anni che si chiama Vittorio, come il nonno. La maternità ha influito moltissimo. Intanto, perché mi ha dato la possibilità di liberarmi del superfluo. L’essere madre ti fa risparmiare un sacco di tempo portando a focalizzarti sul fare maggiormente ciò che più interessa. È come se ti regalasse una marcia in più: allenata a gestire un figlio e una famiglia, sento meno anche la stanchezza. Non sempre si ha la possibilità di avere i nonni vicino ad aiutarti e, quindi, occorre tantissima organizzazione!
La gravidanza non ha intralciato il mio lavoro. Ho iniziato a lavorare come una pazza proprio nel momento in cui sono rimasta incinta… tra l’altro, avevo scoperto di esserlo proprio mentre ero in tournée con Modigliani, lo spettacolo con Marco Bocci e la regia di Angelo Longoni, e fino al quinto mese sono stata sul set di Montalbano, non dicendo a nessuno che fossi in attesa di un figlio. Ad accorgersene è stata la costumista… Vittorio è poi nato il 18 novembre ed io ero già a teatro il gennaio successivo.
In Gianni Versace hai recitato al fianco di un bambino. È così complicato come dicono?
Con i bambini bisogna essere molto attenti e anche un po’ protettivi: per loro, è tutto vero. A volte, fanno fatica a distinguere tra finzione e realtà ma è anche questo che li rende dei grandissimi attori. Occorre però avere sempre molta cura di loro, cercando di spiegare il perché di una scena violenta che si sta per girare e di creare un rapporto che vada al di là delle riprese stesse. Devi dare loro fiducia, carpendo nel frattempo la loro.