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Vera Gemma, il valore di un sorriso diverso – Intervista esclusiva

Sincera, onesta, diretta, amorevole, amata dagli ultimi e discriminata dai forti, Vera Gemma si racconta a tutto tondo. Dal film di cui è protagonista al suo essere madre, dal suo essere stata figlia alla sua idea di emancipazione.
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Vera Gemma è così come siete abituati a vederla: schietta, diretta, sincera e senza peli sulla lingua. Ma è proprio nella sua verità che si nasconde il coraggio di una persona che ha sempre cercato di non reagire a un universo che ha provato in tutti i modi a zittirla, a tenerla nascosta o a relegarla in un angolo. Citando Dirty dancing, nessuno può mettere Vera Gemma in un angolo: anche a rischio di pagarne le conseguenze sulla sua pelle, Vera Gemma è sempre stata, è e sarà vera, un nome che porta con fierezza e responsabilità. Lo dice lei stessa nel corso di quest’intervista in esclusiva che ci ha concesso: “niente o nessuno potranno cambiarmi”.

L’occasione di incontro ce la dà il Premio Sorriso Diverso, che sarà consegnato il 27 ottobre allo Spazio Lazio Terra di Cinema della Regione Lazio all’Auditorium Parco della Musica. Si tratta di un premio collaterale della 18ma edizione della Festa del Cinema di Roma, di cui Vera Gemma è la madrina. Andrà ai due film della Festa su nove nominati, un italiano e uno straniero, che hanno saputo raccontare attraverso il cinema la fragilità o l’unicità delle persone e dei luoghi.

Incontrare Vera Gemma significa prima di tutto incontrare un universo affascinante, lo stesso che si dipana nel film Vera che, diretto da Tizza Covi e Rainer Frimmel, ha trionfato a Venezia 2022 con due premi nella sezione Orizzonti, tra cui un Leone d’Oro alla stessa Vera Gemma come miglior attrice protagonista. Oggi, Vera è stato scelto per rappresentare l’Austria agli Oscar ed è questo il punto da cui partiamo per una conversazione che, grazie anche all’ironia e all’autoironia di Vera Gemma ha rivelato, se ce ne fosse ancora bisogno, il valore di una donna che, più di ogni altra, sa cosa voglia dire la parola self empowerment.

Ed è un ritratto in cui Vera Gemma racconta del suo lavoro ma anche molto di sé come madre e come figlia, di inclusività e di esclusione, di emancipazione e denaro. Senza mai temere di essere se stessa.

Vera Gemma.
Vera Gemma.

Intervista esclusiva a Vera Gemma

“Ci avete lungo perché non ci filava nessuno con quel film prima di Venezia”, mi fa notare Vera Gemma quando le ricordo come le nostre strade si erano già incontrate più di un anno fa in occasione della presentazione del film di cui era la protagonista assoluta, Vera. “I due registi hanno fatto emergere la parte di me che è la più vera e la più profonda in assoluto, la vera Vera. Ho cercato con quel ruolo di liberarmi da qualsiasi ansia di approvazione (non che ce l’avessi già prima), dell’essere bella o dell’essere brava: mi sono solo messa a nudo nell’anima. Mi sono detta, disarmata, “questo è il mio dolore, questa sono io: prendere o lasciare”.

Oggi ti ritroviamo madrina del Premio Sorriso Diverso, assegnato alle opere cinematografiche, presentate alla Festa del Cinema di Roma, di interesse sociale che valorizzano la diversità e tutelano le fragilità delle persone. Già solo il nome del premio, in qualche modo, ti parla.

Quando mi hanno chiesto di fare la madrina, sono stata felicissima: non c’è nome più appropriato perché io mi sento una diversa, pur non avendo nei fatti nessuna diversità per esempio fisica o malattia particolare. Mi sono sempre sentita una diversa… è una sensazione che a volte è difficile da sostenere ma ho imparato nel tempo ad accettarla e a considerare la diversità come un valore aggiunto, come qualcosa di speciale, di assolutamente in più e non in meno. Credo che sia un’iniziativa molto interessante e non superficiale l’istituzione di un premio che valorizzi la diversità in tutte le sue forme.

Nell’ottica del rispetto delle diversità, hai accompagnato la proiezioni di Vera, il film di cui sei protagonista, nel carcere di Torino. Che esperienza è stata?

È stata l’esperienza più bella in assoluto della mia vita, anche più di Venezia stessa. Siamo arrivati nel carcere di Torino, dove pensavo inizialmente ci fossero sia uomini sia donne. Ho scoperto solo lì che la proiezione era solo per gli uomini, a cui spesso - diversamente dalle donne - sono riservati meno iniziative e meno svago in ambito carcerario. Felicissima ma anche impaurita (è strana la sensazione di vedersi chiudere le porte alle spalle), sono entrata in carcere, in un’atmosfera piuttosto cupa, dove ho trovato un’accoglienza e un amore che raramente ho sentito nei miei confronti nella vita.

Anche le autorità, a partire dalla direttrice che carcere, mi hanno confermato che era la prima volta che i detenuti manifestavano tale amore spassionato nei confronti di un ospite: a fine proiezione, gridavano “Vera Gemma, una di noi”. A fine proiezione, uno di loro mi ha anche chiesto: “Ma tu lo abbracceresti un carcerato?”. “Ma certo che sì”, è stata la mia risposta e, dopo uno sguardo per cercare il permesso delle guardie carcerarie, l’ho fatto: si è fiondato ad abbracciarmi tra la commozione di tutti perché quello era un abbraccio più che simbolico che proveniva da parte di ognuno di loro.

Mi sono sempre trovata in sintonia con i cosiddetti “diversi” di qualsiasi tipo, i rifiutati dalla società, i ribelli, i colpevoli… qualsiasi forma di diversità trova un accordo con me. Per strada, parlo spessissimo con i “matti” o con i senzatetto. Quando vedo qualcuno che parla da solo, mi avvicino a lui e iniziamo un dialogo, in cui ci si intende nella più assoluta normalità: improvvisamente, le persone apparentemente folli o che hanno perso la razionalità con me trovano immediatamente un dialogo lucido e si sentono capita. È qualcosa di incredibile, quasi magico.

In più, l’esperienza in carcere è stata fortissima perché i detenuti hanno adorato il film. A fine proiezione mi hanno posto domande profondissime e intelligenti. Non che io mi stupisca del fatto che possono esserci menti brillanti nell’ambito del carcere ma erano domande così profonde che rivelavano una certa conoscenza anche del cinema. Il loro amore incondizionato mi ha commossa. Mi hanno proposto di fare un laboratorio teatrale chiedendomi di tornare e di non essere abbandonati: vorrei tantissimo farlo e spero di riuscirci la prossima estate quando avrò un po’ più di tempo. Mi piacerebbe metterli alla prova con dei monologhi scritti da loro.

In cui raccontano le loro storie o sono liberi di spaziare?

Vorrei partire da un’esigenza. Vorrei che loro scrivessero – chi non è capace di farlo, lo aiuterei io – ciò che avrebbero voluto dire da tempo mettendoci tutto loro stessi. Che sia una lettera d’amore, una lamentela, un racconto della loro esperienza o una presentazione, vorrei che partisse da un’esigenza profonda in cui hanno davvero voglia di raccontarsi. Secondo me, verrebbe fuori uno spettacolo bomba anche per le persone da fuori: devono prendere il teatro e la recitazione come una forma di sfogo, un momento in cui sono finalmente ascoltati. Esserlo è sinonimo di libertà, un’evasione vera e propria: sarebbero liberi di dire tutto ciò che non hanno mai fatto dire… verrebbero fuori dei monologhi meravigliosi, anche garbati, profondissimi, e delle storie di vita incredibili che proporrebbero con grande spontaneità. Avrebbero anche la libertà sia di recitare ciò che hanno scritto sia di leggerlo: non sarebbero obbligati a impararlo a memoria.

Vera è stato portato anche nelle scuole.

Presentazioni vere e proprie non ne abbiamo fatte ma ho incontrato i ragazzi di una scuola media di San Basilio, nelle cui vicinanze avevamo girato tantissime scene. Anche quello con gli studenti è stato un confronto bellissimo e stimolante.

Vera Gemma.
Vera Gemma.

Nelle sale italiane, però, il film è uscito in maniera quasi clandestina, oserei dire.

È uscito con una difficoltà rara: a Milano, abbiamo trovato immediatamente quattro sale, tra cui il Beltrade, un cinema che sostiene il prodotto d’autore con tutte le sue forze, mentre a Roma abbiamo fatto una fatica madornale a trovare una sala, nessuno ci voleva. Neanche Nanni Moretti: il Nuovo Sacher sarebbe stata la sala perfetta, anche perché aveva già ospitato per mesi e mesi uno dei film precedenti dei registi, La Pivellina. E, invece, no: non ha preso il film… non si sa per quale strana prevenzione intellettuale di questi intellettualoidi cinematografari di sinistra, prevenuti nei miei confronti senza conoscermi né come artista né come attrice e senza aver visto il film.

Tutto questo perché Vera Gemma non si adegua al politically correct nel modo più becero possibile e non è conforme a quell’idea che loro hanno di attrice intellettuale, dimessa e nevrotica, italiana. O, comunque, perché Vera Gemma non intrallazza nei loro salotti. Diamo pure che è una mancanza di amore reciproca: non ho questa grande passione o desiderio disperato e irrefrenabile di lavorare coi registi italiani né ci provo più di tanto. Quindi, è poi vero che le persone che in qualche modo si amano e si assomigliano si attraggono mentre chi non si somiglia si allontana. Tutte le proposte che mi sono arrivate dopo Vera provengono dall’estero, da una regista americano e da uno austriaco: lavorerò con tutti e due.

Vera all’estero è uscito ovunque: tra Rotterdam e Amsterdam, due sole città, ha avuto ad esempio 16 sale a disposizione. È abbastanza lampante la differenza tra l’estero e l’Italia. Ed è vergognoso perché io in fondo sono italiana: non è lo il film (nessuno dei nostri ci magna), l’ho capito, però io sono italiana e sto portando il nome dell’Italia in giro per il mondo, no? Dateci almeno le sale.

Anche perché il tuo nome, in tutta franchezza, nel bene o nel male, attira la gente, il pubblico e tutta una schiera di persone per cui sei diventata un simbolo. Non possiamo ad esempio non ricordare la comunità lgbtqia+, per cui un’icona lo sei realmente.

Assolutamente. E non me lo dico da sola, come capita di sentire in alcune interviste, non faccio nomi, in cui ci si autoproclama icona gay: io non lo affermerei mai, lascio che lo dicano gli altri. Per me esserlo è un privilegio assoluto perché al successo delle più grandi star in assoluto hanno contribuito molto i gay e perché sono assolutamente dalla parte della libertà, in tutte le sue forme, e non per la discriminazione.

Anche perché io per prima sono stata una donna discriminata e lo sono stata come essere umano, che è ancora più grave se vogliamo: non sono discriminata perché sono lesbica o chissà che cosa… Lo sono in quanto appunto diversa, in quanto coraggiosa e quindi scomoda. Quando hai coraggio, fai paura. Ed io faccio paura: è questa la verità. Faccio paura perché rappresento quella libertà che chi mi discrimina non ha il coraggio di avere, per cui sono profondamente amata dalle persone libere e crudelmente condannata dalle persone frustrate.

Di tale condanna non fai mistero di aver sofferto. Non c’è mai stato nessuno che è ritornato indietro sui suoi passi e che ti abbia chiamato per scusarsi?

No, mai nessuno. Anzi, dopo aver vinto il Leone d’Oro a Venezia, tutti quanti si sono impegnati a dover dimostrare che è stato un errore, un incidente di percorso, come se la giuria internazionale del Festival di Venezia fosse composta tutta da coglioni che non capiscono niente di cinema. Con la scelta dell’Austria di far concorrere il film per gli Oscar è preso loro un ulteriore colpo: speravamo che, passati un anno e un’altra edizione del Festival, tutto fosse stato dimenticato… a molti si starà perforando l’ulcera.

Facendo i dovuti scongiuri del caso, andresti a Los Angeles?

Certo che ci vado. Ma la strada ancora è lunga. La gente spesso non lo sa ma c’è ancora una lunga trafila: si deve entrare nella shortlist prima e nella cinquina finale dopo. E i miei due registi sono disperati perché dicono che nella cinquina finale finiscono solo le grosse produzioni, quelle che poi si ha interesse a far circolare per un ritorno economico. E in questo siamo svantaggiati: ci siamo autoprodotti ed è un miracolo anche essere arrivati fino a qua. Per gli Oscar, ci sono costi enormi da sostenere che non possiamo permetterci: non abbiamo una distribuzione americana che copra la promozione e siamo letteralmente nelle mani di Dio.

Sarebbe un ulteriore miracolo riuscire ad andare avanti ma siamo molto, molto fieri di essere arrivati fino a qui con le sole nostre forze, con l’unico merito di aver fatto un bel film. Può essere una lezione per tutti quelli che hanno qualcosa da dire nella vita… non importa che non sei raccomandato (paradossalmente, sono la figlia di Giuliano Gemma ma anche la persona meno raccomandata del mondo), che non intrallazzi, che non lecchi il culo, che non fai parte dei circoli, che non sei ricco: se sei un artista, hai qualcosa da dire e, dopo una vita a ingoiare tanta di quella merda che neanche potrai immaginare, non ti arrendi, qualcosa verrà fuori. È questo il più grande esempio che posso dare in questo momento: chi se ne frega se arrivo o meno agli Oscar, l’importante è stato non arrendersi.

Il non arrendersi, immagino, sia anche un messaggio che tu voglia dare a tuo figlio.

Glielo dico tutti i giorni: “Sì, lo so, mamma: mai arrendersi nella vita”. Ma continuo a ripeterglielo, è diventata un’ossessione. Non importa quanto sia il primo, il più bravo o il più bello: l’unica cosa che ho imparato da questa vita è non arrendersi. Glielo insegno anche nelle piccole cose e, devo dire, che sta imparando bene: è un bambino molto combattivo, senza complessi e molto sicuro di sé.

E tu cosa stai imparando da lui? In un tuo reel su Instagram, ti ricorda quanto tu sia bella.

Devo stare attenta a quello che dico, soprattutto quando sono stanca: “Amore, lasciami in pace: sono stanca, sono vecchia”. La sua risposta è sempre la stessa: “Mamma, tu non sei vecchia, tu sei bellissima. Ma tu ti rendi conto di quanto sei bella? Vorrei che ti vedessi con gli occhi con cui ti guardo io”. È veramente convinto di quello che dice, è innamorato di me: mi dà una dose di autostima incredibile perché con il suo sguardo pieno di amore mi fa sentire veramente bella. Mio figlio è il grande amore della mia vita…

Sono single da un po’ e per la prima volta sono veramente felice di esserlo: sto provando una sensazione meravigliosa, che non ho mai provato in vita mia (sono sempre stata fidanzata o sposata). Trovo l’amore in mio figlio: tutto l’amore che ho lo regalo a lui e lo ricevo da lui. E mi sento molto appagata. La persona che vorrà stare accanto a me dovrà impegnarsi molto perché io già vivo d’amore.

Sarà per lui una bella sfida…

Eh. Ma me lo dicevano anche prima: "vedrai che con i figli non te ne fregherà più niente degli uomini". La vedevo dura, considerando il valore che davo all’altro sesso. E invece… sì, è presente in me la voglia di mettersi in gioco, ogni tanto chatto con qualcuno, mi diverto ma poi smetto, senza andare mai fino in fondo: non ho voglia di incontrare nessuno perché, alla fine, la mia vita è completa in questo momento. Mi sta dando tanto il lavoro e mi sta dando tanto mio figlio, per cui se un uomo deve entrare nella mia vita dovrà darmi ancora di più. E sarà molto difficile darmi più di un figlio innamorato o di un Leone d’Oro.

https://www.instagram.com/p/CywDfnpNdJy/

Sei nata il 4 luglio, giorno dell’indipendenza negli USA. Che valore ha avuto nella tua vita la parola “indipendenza”?

Ho riflettuto molto sull’essere nata il 4 luglio, anche perché, quando ho vissuto a Los Angeles, ogni volta che mi si chiedeva la data di nascita tutti rispondevano estasiati. Per gli americani, è una data importantissima: ogni 4 luglio che ho passato lì c’era festa dappertutto e, sorridendo, mi dicevo che stavano festeggiando il mio compleanno. L’indipendenza è la mia conditio sine qua non: credo che la prima lotta che le donne debbano fare con se stesse e di fronte al mondo è quella per l’indipendenza.

Molte donne vanno in televisione ad affermate la gravità della violenza sulle donne ma spesso fanno solo perché va di moda, mai una che si metta con un poveraccio: ho capito che è giusto esprimersi ma dove mettono la loro emancipazione di donna indipendente, tra l’altro ricca e famosa, quando cercano solo e unicamente un miliardario invece di aiutare qualcuno che sta messo peggio di loro?

Sono ancora oggi oppressa dal sentirmi dire dalle donne stesse: “è ora che ti trovi uno con i soldi”. Sta tutta in una frase la gravità della situazione: che lotte può fare una donna quando lei per prima non è in grado di mantenersi da sola o di farsi bastare i soldi che ha? In molte, cercano la loro identità attraverso il calciatore famoso, il grande manager o il grande produttore: è chiaro che ci può stare anche l’amore ma deve essere nei confronti dell’uomo e non di ciò che rappresenta o delle opportunità di lavoro che ti procurerà.

Che rapporto hai avuto e hai tu con i soldi?

Sono stata ricchissima ma anche poverissima. Per tutti gli anni della mia infanzia e adolescenza, mio padre guadagnava così tanto (l’equivalente di quello che oggi potrebbero essere i venti milioni di euro all’anno) e vivevamo da benestanti in ville meravigliose. Tuttavia, l’educazione rimaneva sempre quella di un uomo che veniva dalla strada e che era diventato ricco, non era da nobile: frequentavo le scuole private con compagni dal cognome altisonante ma mi sentivo comunque diversa perché noi i soldi li avevamo fatti, eravamo come si suol dire “arricchiti”, con tutto ciò che comporta. Mio padre mi ricordava sempre che il nostro sangue proveniva dalla strada e di non dimenticarlo mai, una lezione che ho imparato bene.

Ma mi sono anche mangiata tutti i soldi. Sono stata anche senza un centesimo ma mi sono tutte le volte rialzata in piedi con le mie forze, senza mai l’aiuto di un uomo. Ho sempre trovato un modo per reinventarmi e riguadagnarmi i soldi. Alla fine, il mio tenore di vita è sempre stato alto: la ricchezza, in fondo, è una forma mentis, un modo di pensare. Non dipende tanto da quanto hai in banca ma da quanto sai vivere.

Ci sono miliardari che vivono da poveri senza godersi la vita, gente che con un terzo dei loro soldi faresti una vita cento volte migliore, e artisti squattrinati, come quelli che ho conosciuto crescendo tra i pittori di Trastevere, che conducevano esistenze meravigliose senza un soldo ma arrancando liberi, felici e fortunati. È chiaro, a scanso di equivoci, che poi ci sono condizioni di povertà, come quelle in Africa, alla cui gente non puoi dire che la ricchezza è una forma mentis: parliamo sempre di gente che vive in Paesi civilizzati dove ognuno ha l’opportunità di fare il proprio guadagno.

Con tuo padre, hai condiviso per la prima volta il set a otto anni per il film Il grande attacco.

Ed è stata anche l’ultima volta in cui ho lavorato con lui. All’epoca, servivano due bambine per il ruolo delle figlie del personaggio che interpretava. Al regista venne naturale chiedere a mio padre di me e di mia sorella. Ma mio padre era fermo e deciso: “Non voglio che le mie figlie lavorino con me. Se vorranno fare le attrici, lo faranno da grandi e da sole”. Fortunatamente il regista riuscì a fargli cambiare idea e, quindi, lavorai con mio padre. Tra l’altro, sono bravissima nel film: me lo dico da sola.

Con papà hai sempre avuto un rapporto di amore intenso, sfociato anche in un bel documentario a lui dedicato da te regista che oggi si fa fatica a trovare.

Sono fiera di essere sua figlia. Critico i continui paragoni crudeli che vengono fatti… quel documentario è una perla, in cui ci sono tra l’altro molte persone non più in vita: da Bud Spencer a Ennio Morricone e Lina Wertmuller, oltre che Dario Argento, fortunatamente ancora tra noi. Racconta il cinema italiano di genere attraverso la figura di mio padre ma è quasi impossibile trovarlo, dopo essere stato trasmesso anche dalla Rai e aver girato molti festival, a causa dei problemi legati ai diritti d’autore degli spezzoni dei film mostrati: semplicemente, non si sa più a chi appartengano. Molte case di produzione non esistono più così come molti produttori: ci sarebbe, quindi, un lavoro folle da fare per avere tutti i permessi necessari.

Non ha di conseguenza avuto la vita che poteva avere ma una sua vita l’ha avuta e, soprattutto, è stato visto da mio padre prima di morire: grazie a Dio, direi. Mai e poi mai avrei potuto accettare che non avesse fatto in tempo a vederlo.

Nelle ospitate in tv, si vedeva lontano un miglio l’amore sincero che vi legava.

Amavo mio padre come lui mi amava tantissimo. Infatti, quando mi dicono che si vergognerebbe di me, mi chiedo che ne sanno loro: mio padre mi adorava per com’ero, per la mia spontaneità e il mio essere diretta e cruda. Mi ripeteva spesso che avrebbe voluto il coraggio che avevo io, ammirava questi lati del mio carattere, li valorizzava e li incoraggiava.

Anche perché, da persona intelligente, non avrebbe mai potuto non amarli.

Mi ricordo un episodio particolare. Una volta, andammo in Rai per un’ospitata insieme. In Rai, fanno firmare tutta una serie di documenti in cui confermi di non essere raccomandata o di non avere parenti che lavorano in azienda. Ero molto piccola ma già dissi in quella circostanza: “Ma come? Qui sono tutti raccomandati e io e mio padre dobbiamo firmare per un’ora dichiarando di non esserlo?”. Mio padre mi guardò con gli occhi sgranati e poi sbottò a ridere. “C’hai ragione”, mi disse.

Non hai la tentazione di passare dietro la macchina da presa per realizzare un film di finzione?

Da spettatrice, sono malata di documentari. Tutto ciò che ho finora diretto erano documentari: uno su mio padre per l’appunto, uno su una casa di riposo per ex artisti e un altro su Michael Jackson, realizzato il giorno dopo della sua morte a Los Angeles. Adoro la realtà e, quando mi sento ispirata ad andare dietro alla macchina da presa, il mio desiderio è sempre legato al documentario e non a un film di finzione. Farei un film di finzione da regista solo se partisse da una profonda esigenza… Non è che mi reinvento all’improvviso dicendomi che devo far la regista come fanno molte attrici italiane solo perché "è arrivato il momento di mettersi dietro alla camera": se non sento un profondo desiderio e una grandissima esigenza di raccontare qualcosa, non lo faccio. È sempre un discorso di onestà.

Onestà che tra l’altro è qualcosa che è legato anche al tuo nome: Vera.

Sono ossessionata dal mio nome ma alla fine mi appartiene tantissimo, sono stata alla sua altezza. Forse un po’ mi predestinava. Mio padre mi diceva sempre che ero vera al di là del mio nome. Ho sempre sentito la responsabilità di essere vera, anche se non so quanto mi convenga: anzi, mi danneggia e basta. Ma mi piace essere così e non sono disposta a cambiare per niente e per nessuno, né per gli Oscar né per il lavoro: nel mio piccolo, ho dimostrato che si può essere se stessi e raggiungere dei risultati nella vita senza scendere a compromessi con il proprio modo di essere. La parola “compromesso” nel mio dizionario non esiste: quando la sento, la vado a cercare sul dizionario dei sinonimi e dei contrari per capire meglio cos’è.

Vera Gemma in una scena del film Vera.
Vera Gemma in una scena del film Vera.
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