Lunedì 5 febbraio va in onda in prima serata su Rai 1 il film La Rosa dell’Istria, adattamento di un romanzo di Graziella Fiorentin prodotto da Rai Fiction in associazione con Venice Film e Publispei, la storica società di produzione di cui è CEO Verdiana Bixio. In carica dal 2012, Verdiana Bixio ha traghettato la società fondata nel 1972 nel terzo millennio rimanendo fedele a ciò che ha reso grande ogni prodotto audiovisivo realizzato: emozionare il pubblico.
Il film La Rosa dell’Istria non rappresenta il solo prodotto che Publispei porterà su Rai 1 quest’anno: da settimane sono infatti incorso le riprese di Ninfa dormiente, il sequel della serie tv Fiori sopra l’inferno, tratta ancora una volta dai romanzi di Ilaria Tuti e splendidamente interpretata da Elena Sofia Ricci nei panni di Teresa Battaglia.
Ma tanti sono stati negli anni le produzioni che Publispei ha portato al successo: Un medico in famiglia, Tutti pazzi per amore e I Cesaroni sono i tre gioielli della società, ancora vivi nei ricordi degli spettatori ma, soprattutto, ancora attuali grazie al recupero che negli ultimi mesi è stato fatto dalle piattaforme come Netflix e Prime Video. E, nel corso di questa eccezionale intervista in esclusiva, Verdiana Bixio torna a parlarne per svariati motivi, a partire dalla correzione delle parole di Antonello Fassari a proposito di un imminente ritorno sul set.
Chiaramente, con Verdiana Bixio non si può non accennare al suo percorso personale. Se da un lato ci si confronta con le ragioni che hanno portato al film di Rai 1 La Rosa dell’Istria, dall’altro lato si indaga il suo modo di lavorare, la capacità del suo team di individuare storie che sono tali, l’organizzazione del lavoro all’interno della Publispei e la sua esperienza di donna manager che, con determinazione, cerca di portare avanti una società che è legata alla tradizione della sua famiglia.
Intervista esclusiva a Verdiana Bixio
“Come sempre Antonello (Fassari, ndr) si fa prendere dall’entusiasmo: ogni tanto si lancia in dichiarazioni ardite. Come ho avuto già modo di dire, I Cesaroni così come Un medico in famiglia sono dei brand molto preziosi per noi e per le rispettive reti. Naturalmente, dopo il successo che negli ultimi tempi hanno riscontrato su Netflix e su Prime Video, un pensierino lo abbiamo fatto ma ciò non significa che ci sia nulla di concreto”, è la prima risposta che Veridiana Bixio, presidente di Publispei ci dà quando le chiediamo quanto ci sia di vero nelle dichiarazioni di Fassari nell’annunciare il ritorno sul set di I Cesaroni a giugno.
“Le sue sono parole ottimistiche. Da sempre cerchiamo delle belle storie per tutte le nostre serie tv: per scomodare un marchio come I Cesaroni occorrerebbe avere proprio una bella storia per tutti i personaggi. Di proposte da parte anche dei fan ne abbiamo ricevute parecchie ma ci sarebbe prima un bel lavoro da fare: le soluzioni narrative dei fan non tengono ovviamente conto di quelle produttive e non tutto ciò che vorrebbero si può realizzare. Noi rimaniamo fermi su un punto: come le nostre produzioni di successo testimoniano, occorre sempre partire da una buona storia prima di trovare una buona regia e dei buoni interpreti. Solo allora si raggiunge l’obiettivo ma se non c’è una bella storia di base non se fa nulla”.
Una bella storia è sicuramente quella proposta dal film La Rosa dell’Istria, che Rai 1 manda in onda in prima serata il 5 febbraio. Ambientata in un periodo molto drammatico della storia d’Italia, ha lo straordinario potere di risultare attuale per linguaggio e contenuti. Maddalena, la protagonista, è una ragazza di oggi che, autodeterminata, prende in mano la sua vita e decide di portarla avanti con ragazzi andando contro anche allo stesso padre.
In una storia legata a eventi storici, a far la differenza nel racconto è il personaggio principale. Negli anni sono stati realizzati tanti film e tante serie televisive sulla Seconda guerra mondiale e sono stati proposti diversi punti di vista, anche a seconda del Paese che la stava descrivendo. L’originalità di un prodotto sta proprio nel punto di vista e, nel caso del film La Rosa dell’Istria, abbiamo voluto raccontare quello di una giovane donna perché abbiamo ritenuto giusto, anche in base al momento che stiamo vivendo, dare voce a una ragazza appassionata, una giovane di allora che parla in maniera estremamente contemporanea.
La forza del film risiede sia nel personaggio femminile di Maddalena ma anche in tutti quelli che la circondano, a partire dal fratello e dal padre. Li abbiamo fatti parlare come se la storia fosse ambientata ai giorni nostri, come se quella che abbiamo davanti fosse la storia di una giovane donna che, dalla provincia o dal Sud dell’Italia, si impegna a raggiungere i propri obiettivi. Tante volte ci troviamo di fronte a racconti di donne che autonomamente si tarpano le ali: noi, invece, abbiamo voluto essere ottimisti nel raccontare le vicende di una donna che ha una passione importante nella vita e che ha un obiettivo da concretizzare, senza dimenticare mai i valori con cui è cresciuta: famiglia, maternità e fratellanza.
Per raccontare la storia di Maddalena che, dopo mille traversie, ottiene il suo personale riconoscimento, non so se per coraggio o per follia (o entrambe le cose, considerando che spesso vanno di pari passo), avete scelto come protagonista del film di Rai 1 La Rosa dell’Istria una giovane attrice sconosciuta al grande pubblico: Grace Kicaj. Com’è arrivata a voi?
Grace è arrivata come devono arrivare i professionisti, con la voglia di farcela, di mettersi in discussione, di arrivare al provino e di vincerlo. Da produttori, scegliamo il casting director, ovvero colui che lavora a stretto contatto con il regista, in questo caso Tiziana Aristarco. Stefano Rabbolini, il nostro casting director, e Tiziana Aristarco non avevano mai lavorato insieme prima ma a loro abbiamo raccomandato quella che è la nostra solita intenzione: non portateci le solite facce ma attori capaci di restituirci i personaggi della storia, sono coloro che gli spettatori vogliono seguire.
È chiaro che il nome spendibile aiuta ma quella del film La Rosa dell’Istria era una storia talmente potente da non essere affidata solo al nome: doveva semmai essere affidata a bravissimi attori. In sintonia con la regista e con i responsabili di rete, abbiamo fatto sì che la nostra scelta venisse dettata dal talento e non da altre ragioni. Quando abbiamo visto il provino di Grace Kicaj, non abbiamo avuto alcun dubbio: io stessa non mi capacitavo di come non avesse ancora fatto nulla. Ho dunque chiesto alla regista se se la sentisse di lavorare con un’esordiente e la risposta è stata sì, prendendola sotto la sua responsabilità.
La Rai è stata super contenta della scelta. Anche quella di puntare su Andrea Pennacchi in un primo momento come nome forte del ‘cartellone’ non è stata una scelta facile. È vero che è un grandissimo attore di teatro e di televisione che non ha bisogno di presentazioni ma non è scontato avviare un progetto con solo il suo unico nome. Eugenio Franceschini e Fausto Maria Sciarappa sono venuto solo dopo: i primi due attori scelti era Pennacchi e Kicaj, padre e figlia nella storia, tenendo ben dritta la barra sul talento.
Ed è grazie al talento che La Rosa dell’Istria è un film che mantiene alta la qualità ma anche quella che da sempre è la mission di Publispei: emozionare il pubblico, senza in questo caso sposare una facile ideologia politica. Si racconta dei traumi legati al comunismo così come di quelli legati al nazifascismo.
In questa storia, di politica e di ideologia ce ne sono ben poco. La Rosa dell’Istria, il film che abbiamo prodotto per Rai 1, è una riflessione sull’essere umano, su un uomo, una donna e un’intera famiglia che sono costretti a rinunciare alle proprie vite, e su ciò che significa lasciare la propria casa. Allo stesso tempo, è anche una riflessione su chi ha il coraggio di andare via dal proprio mondo per cercare salvezza ritrovandosi straniero in patria. Non ci si concentra sull’impatto politico della Storia ma sulla valenza sentimentale di un evento, qualcosa che, secondo me, ha una forza ancora più grande. Senza poi dimenticare di quanto attuale sia oggi il concetto di ‘esule’: basta guardarsi intorno per rendersene conto.
La Rosa dell'Istria: Le foto
1 / 16La Rosa dell’Istria è ambientato in Friuli-Venezia Giulia, una regione in cui Publispei è tornata a girare a poco tempo di distanza dalla serie tv Eppure cadiamo felici.
Abbiamo girato Eppure cadiamo felici nel goriziano, così come abbiamo girato La Rosa dell’Istria tra Trieste e Gorizia. Il perché è semplice: avevamo bisogno per entrambe le storie di quelle terre. La serie tv è l’adattamento di un romanzo di un autore friulano che ha ambientato la sua storia nelle sue terre: abbiamo, dunque, ritenuto giusto conservarne lo stesso sapore anche linguistico e territoriale.
La Rosa dell’Istria è un tv movie dal grande valore produttivo. Essendo un viaggio fisico ma anche di crescita e di valori quello raccontato, abbiamo preferito non andare a girare all’estero ma abbiamo optato per il nostro Friuli, divenuto nel frattempo la nostra seconda casa: lo scorso anno nella regione abbiamo girato anche la serie tv Fiori sopra l’inferno, di cui in questi giorni stiamo girando sempre per Rai 1 il sequel, Ninfa dormiente, sempre tratto dai romanzi di Ilaria Tuti (anch’essi ambientati da quelle parti).
Eppure cadiamo felici, i casi di Teresa Battaglia e La Rosa dell’Istria sono tutti tratti da bestseller. Leggi personalmente i romanzi che Publispei poi adatta?
Ho un fantastico team, un hub composto sia da giovani talenti sia da talenti più esperti. Il nostro reparto editoriale si occupa di scrivere storie originali ma allo stesso tempo fa anche un grande lavoro di scouting, anche grazie a relazioni molto forti con le case editrici, con gli autori, con gli agenti e con gli sceneggiatori. Non leggiamo solo romanzi ma anche sceneggiature originali. Ogni settimana, teniamo una riunione in cui ci si racconta tutto ciò che è arrivato, durante le quali anch’io porto all’attenzione del tavolo qualcosa in cui mi sono imbattuta. Il nostro è un lavoro corale e sogno sempre il momento in cui uno dei mie collaboratori sfonda la porta per dirmi di aver trovato qualcosa da dover necessariamente realizzare (ride, ndr).
È il coinvolgimento emotivo quello che spinge all’adattamento di romanzo e che pone le basi di un buon prodotto. È stato il caso, ad esempio, di Fiori sopra l’inferno: l’abbiamo letto nel weekend e il lunedì successivo trattavamo già l’acquisto dei diritti. Ci sono personaggi che si sentono più di altri e quello di Teresa Battaglia doveva assolutamente essere tradotto per immagini. Teresa è un personaggio forte ma fragile, con una certa durezza di fondo che doveva essere in qualche modo abbracciata e interpretata da una donna forte ma al tempo stesso connotata da grande dolcezza come Elena Sofia Ricci.
Sarà per il fatto che sono donna ma ci tengo molto a raccontare la verità del femminile, che non è detto che debba necessariamente essere rappresentata da una donna, a proporre storie femminili e a valorizzare quelle che sono le capacità delle donne al lavoro. Sono molto contenta per La Rosa dell’Istria di aver lavorato con Tiziana Aristarco perché sono felice di portare in alto le professionalità femminili: è una regista di straordinaria importanza, non aveva bisogno di certo del tv movie per essere portata alla ribalta ma ogni tanto è bene ricordarci di avere ottime registe, ottime scrittrici e ottime attrici, anche sopra i 50 anni che faticano a trovare ruoli belli.
Un personaggio femminile molto forte e moderno era quello della serie tv ExtraVergine, diretta da Roberta Torre e interpretata da Ludovica Comello. Perché non si è mai realizzata una seconda stagione?
Me lo chiedo anch’io, l’avrebbe meritata. Forse era un po’ troppo avanti con i tempi e mi dispiace che oggi non sia possibile rivederla: il racconto viene giudicato troppo esplicito e non corrisponde ai canoni di Disney+, motivo per cui non lo si trova in piattaforma.
ExtraVergine ed Eppure cadiamo felici sono due prodotti che strizzano l’occhio, chiaramente alla Generazione Z.
L’attenzione di Publispei verso i cambiamenti è costante. Ma lo è da sempre. Un grande valore aggiunto delle nostre serie storiche era quello di avere lo schema orizzontale canonico del racconto a cui si affiancavano le storie dei personaggi più giovani proprio per raccontare il mondo dei ragazzi a un pubblico di ragazzi. Ciò ci ha permesso di creare prodotti che potevano essere visti da una famiglia in cui tutti insieme si sedevano sul divano per vedere lo stesso programma.
Tutto ciò, oggi, è diventato invece un’utopia: la televisione con gli anni è rimasta quasi orfana di storie italiane per dedicarsi a prodotti con fini più internazionali. Fortunatamente, le piattaforme come RaiPlay permettono ancora di raccontare storie familiari che permettono anche ai giovani di vedersi rappresentati e di vedere affrontate le loro problematiche. E i dati dimostrano che di fronte a prodotti del genere i ragazzi arrivano. Mio figlio, ad esempio, ha appena scoperto Tutti pazzi per amore su Netflix: non lo aveva mai visto, lo ha cominciato lo scorso weekend e se ne è innamorato per la capacità del racconto di affrontare in maniera originale (e, se vogliamo, anche con una certa dose di sana follia) temi che sono estremamente contemporanei come le relazioni all’interno delle famiglie allargate.
A proposito di famiglia, nella colonna sonora del film per Rai 1 La Rosa dell’Istria è stata inserita la canzone Parlami d’amore, Mariù, scritta da tuo nonno.
Nei nostri prodotti, mettiamo sempre qualcosa che riguarda il nostro repertorio.
Ma in questo caso è come se hai tirato fuori, a livello familiare, l’artiglieria pesante. Qual è il peso da portare sulle spalle quando si ha una certa eredità familiare?
Partiamo dal presupposto che, dal mio punto di vista, l’eredità familiare è stata un privilegio. Sono cresciuta in un ambiente in cui, banalmente, si respirava cultura. Ho avuto la possibilità di avere un certo tipo di educazione, di crescere circondata dalla musica e di conoscere intellettuali e artisti più o meno pop. Tutto ciò ha fatto sì che avessi un imprinting privilegiato, senza diaframmi. La grande responsabilità deriva semmai dall’aver io deciso di studiare e poi di lavorare nell’ambito dell’audiovisivo, dove comunque avrei dovuto far bene e dimostrare che non ero nei posti in cui mi trovavo solo per il cognome che portavo.
Più di altri, dovevo dimostrare che sapevo fare il mio lavoro. E per questa ragione ho voluto cominciare in azienda dal gradino più basso. Ho una lunga gavetta alle spalle e sono passata attraverso tutti i reparti. Avrei anche voluto la responsabilità della Publispei un po’ più in là nel tempo e non nel 2012 quando gli eventi mi hanno portato a confrontarmi con una dura realtà, a cui ho fatto fronte proprio grazie a quella disciplina dura che ho ricevuto da papà. Forse è stata quella che mi ha resa forte per sopravvivere allo tsunami che l’azienda e la mia famiglia hanno attraversato.
E, quindi, direi grande privilegio, grande responsabilità ma anche grande pesantezza nel pregiudizio.
Un pregiudizio che affrontavi forse per due ragioni: per il cognome che porti e per l’essere una donna.
Non voglio pensare che abbia influito il secondo fattore. Lotto tutti i giorni affinché non accada che una donna viva il gender gap sul lavoro. La maggior parte delle persone che collaborano con me sono donne che, con impegno, riescono a ricoprire sia le loro esigenze lavorative sia quelle familiari e molto bene. Credo che ci voglia comprensione per il rispetto che ognuno deve dare alla propria famiglia, anche se sta lavorando. E purtroppo non tutti sono, soprattutto ultimamente, così comprensivi.
Forse perché donna, capisco che ci sono dei momenti in cui una mia collaboratrice deve dare priorità alla famiglia e non è per me un problema: so che quel tempo concesso non inciderà sull’obiettivo finale e sulla qualità del suo lavoro. Anzi, spesso la migliora perché da quei momenti familiari torna anche con maggior entusiasmo. Occorre fare squadra ed ecco perché mi piace evidenziare il talento femminile (ce n’è tanto) e mi dispiace sentire di donne che si fanno la guerra l’una con l’altra o contro il genere maschile: in Publispei, regniamo tutti quanti insieme, al di là di ogni genere o orientamento sessuale, concentrati in armonia sull’obiettivo.
Non voglio quindi pensare di essere stata penalizzata perché donna. Credo ci sia stato più un pregiudizio legato al mio cognome. Il mio più grosso rammarico è quello di non aver impostato il passaggio generazione della Publispei insieme a mio padre. Com’è tipico di tutte le società a conduzione familiare in Italia, nessun leader prepara il terreno ai propri figli ed è una cattiva abitudine quella di non voler mai mollare lo scettro.
Oggi di donne produttrici in Italia ce ne sono parecchie.
Ma ce n’erano anche quando ho cominciato io: penso a Matilde Bernabei, a Gabriella Buontempo, a Gioia Avvantaggiato o alle sorelle Lucisano. Oggi siamo meno rispetto al passato ma ce ne sono di alcune molto brave i cui nomi forse non dicono molto al grande pubblico. Non ero dunque la sola produttrice nel 2012 ma ero forse la più giovane ed ho avvertito molto la differenza d’età ma per un fattore di esperienza.
Cosa ci riserverà il futuro di Publispei?
Sicuramente Ninfa dormiente. E poi tante altre belle storie di cui al momento, per ragioni contrattuali, non posso dire molto. C’è della carne al fuoco: stiamo puntando molto sull’internazionale con produzioni di un certo livello per non soccombere al mercato. Publispei è una delle poche case di produzione in Italia a essere rimasta indipendente al 100%, senza un grosso colosso o una major alle spalle. Ed è qualcosa a cui tengo: quando si racconta il proprio Paese, occorre essere parte di quel Paese. Si rischia altrimenti che si allontani l’identità della narrazione e che si perdano certi sguardi, profumi e sapori, come è successo con la globalizzazione in altri settori, dall’economia alla moda.
La televisione serve prima di tutto a conservare e creare un’identità italiana: è stata la Rai che ha insegnato agli italiani a scrivere, non dimentichiamocelo. Non esiste espressione più azzeccata di ‘Mamma Rai’: è stata la tv di Stato a creare la popolazione italiana dal punto di vista linguistico dando alle persone gli strumenti che nessun altro mezzo di comunicazione avrebbe mai potuto dare. Dovrebbero ricordarsene anche i politici all’interno del Ministero della Cultura e dell’Economia: un Paese che non ha più una propria identità è un Paese che non ha più regole.
Le piccole e medie imprese devono in qualche modo essere tutelate: senza le spalle coperte da grandi major, ci fa molta più fatica ad andare avanti. Si fanno grandi sforzi solo perché mossi dalla passione ma è dura: il mondo dell’audiovisivo sta attraversando momenti molto critici per colpa dell’abbassamento degli investimento dal maggior investitore italiano, che è proprio la Rai. Ci si richiedono progetti di grande qualità per stare al passo con i prodotti internazionali ma senza le loro stesse possibilità economiche: dobbiamo ingegnarci.