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Veronica Lucchesi: “Gloria alla musica, al corpo e all’emancipazione” – Intervista esclusiva

Veronica Lucchesi
Veronica Lucchesi è una delle protagoniste del film d’esordio di Margherita Vicario Gloria!, al cinema in questi giorni. Voce dei La Rappresentante di Lista, uno dei gruppi musicali più d&i oriented del panorama non solo italiano, Veronica Lucchesi torna grazie al lungometraggio a una delle passioni che l’ha sempre contraddistinta: la recitazione.
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Veronica Lucchesi, già nota nel panorama musicale italiano come voce emblematica dei La Rappresentante di Lista, fa il suo esordio cinematografico in Gloria!, un film diretto da Margherita Vicario e portato in sala da 01 Distribution. Nella pellicola, Veronica Lucchesi interpreta Bettina, un personaggio che pare calzare a pennello con la sua personalità sia dentro che fuori dallo schermo. Descritta come un'anima battagliera e sensibile, Bettina si muove attraverso il film con una missione di giustizia sociale, incarnando ideali femministi in una maniera profondamente autentica e personale.

Bettina non è solo un ruolo di recitazione per Veronica Lucchesi: è quasi un ritratto di lei stessa, come confermato dalle conversazioni con la regista Vicario. Tale sincronia tra attrice e personaggio offre a Veronica un palcoscenico unico per esplorare e esprimere le sue convinzioni attraverso un medium differente dal solito, quello cinematografico, che si distingue nettamente dalle sue precedenti esperienze teatrali e televisive, come nella serie Il Cacciatore.

Veronica Lucchesi ci racconta in esclusiva di come il passaggio al cinema sia stato impegnativo, marcato da una curva di apprendimento ripida ma illuminata dalla guida di figure come Margherita Vicario e l'acting coach Tatiana Lepore. Il supporto ricevuto sul set da un cast composto prevalentemente da donne della stessa generazione, tutte unite da un filo comune di emancipazione femminile, ha giocato un ruolo cruciale nella sua transizione e integrazione nel mondo del cinema.

Inoltre, Veronica Lucchesi esplora come la musica e il proprio corpo siano stati strumenti di espressione e, potenzialmente, di emancipazione. Il suo recente cambio di look, con capelli biondi, è stato visto non solo come un esperimento estetico ma anche come un simbolo di liberazione e trasformazione personale.

L'attrice, cantante e scrittrice, riflette anche sulla sua storia personale con la recitazione, che ha radici nell'infanzia e in esibizioni casalinghe, crescendo fino a formazioni teatrali formali e incontri significativi con maestri del teatro. Nonostante le sue incertezze sul dirigere un eventuale film, Veronica Lucchesi è aperta alle possibilità future, lasciando spazio a nuove narrazioni che potrebbero emergere dalla sua vita ricca di esperienze e intuizioni artistiche.

Questa intervista ci offre non solo uno sguardo al debutto cinematografico di Veronica Lucchesi ma anche una riflessione profonda su come le arti diverse si intrecciano e influenzano la vita personale e professionale di un'artista, fornendo continuamente nuovi strumenti di espressione e piattaforme per la critica sociale e personale.

Veronica Lucchesi
Veronica Lucchesi (Foto: Riccardo Ghilardi; Hair & Make-up: Emanuela Di Giammarco; Styling: Lorenzo Oddo; Ass. Stylist: Paolo Sbaraglia; Press: Lorella Di Carlo).

Intervista esclusiva a Veronica Lucchesi

Chi è Bettina dal tuo punto di vista?

Intanto, è una grande attrice, una cantastorie, un personaggio solido, robusto, con una grande armatura ma molto tenera e morbida dentro. È un animo molto, molto buono e sincero che lotta per una sorta di giustizia sociale, ed è una femminista ante litteram. Ed è una donna molto sensibile che crede nelle sue sorelle.

Descritta così, Bettina sembra essere anche il tuo ritratto.

Ne parlavamo con Margherita Vicario, la regista, l’altro giorno ma anche in altre occasioni era venuto fuori come effettivamente, a quanto pare, Bettina sia stata scritta su di me. Quindi, presenta dei tratti molto vicini alla mia personalità o, almeno, a quella che si legge forse dall’esterno.

Bettina rappresenta la tua prima volta al cinema. Non è la prima volta che reciti, hai cominciato col teatro e ti abbiamo vista nella serie tv Il cacciatore. Tuttavia, Gloria! è il primo film che ti porta a contatto con il cinema, un mezzo di espressione del tutto differente a quelli a cui eri abituata. Difficoltà?

Ci sono state. Come accade per tutte le cose che si fanno per la prima volta, ci si confronta con un mondo diverso da quello che si aspettava o da quello a cui si è abituati, soprattutto se penso, nel mio caso, al palcoscenico della musica o a quello del teatro: sono proprio altre forme d’arte. Il cinema non è stato per me per niente facile: la recitazione è molto diversa da quella teatrale o, almeno, dal tipo di teatro che ho sperimentato. E, quindi, non è stato semplice mettersi al passo.

Ricordo come la prima settimana di riprese fossi del tutto stordita. Però, ho avuto una grande guida: Margherita, che a poco a poco ha saputo come indirizzarmi. Così come delle ottime colleghe e una grandissima acting coach, Tatiana Lepore, importantissima. A poco a poco sono riuscita a entrare nel mondo che avevo davanti a portare tutto ciò che avevo a disposizione, da dare e da offrire al film.

È stato più facile l’aver lavorato con un gruppo di giovani donne, tutte appartenenti alla stessa generazione e con la stessa idea di emancipazione femminile?

In scena, la coralità era molto invadente e importante. Sono la più grande delle giovani donne del cast ma tutte quante eravamo legate da un pensiero affine, da idee che ci accomunano. Nonostante i caratteri molto diversi, ciò ci ha permesso di unirci: è come se avessimo sentito la necessità e il bisogno di far fronte comune. Anche nei momenti di crisi o di difficoltà sul set, sapere che avevi quella casa era decisamente importante: non si buttava mai troppo giù perché c’era sempre qualcuno che ti capiva in un modo profondo e diverso anche da quello che alle volte succede anche nella vita comune, nel quotidiano.

Ed è stato fondamentale che fosse così. Ci sono stati dei momenti in cui abbiamo percepito anche degli scontri sul set, per incomprensioni o per la difficoltà anche di far emergere determinati sentimenti dai nostri personaggi. Ma, ripeto, avere quell’ancora è stata almeno per noi fondamentale, non so ovviamente se lo è stata anche per il resto della crew e del cast, che comprendeva anche generi differenti. Però, sì: eravamo uno stormo importante.

In Gloria!, la musica è strumento di emancipazione. Lo è ancora oggi?

La musica è uno strumento importantissimo anche per l’emancipazione: dà corpo ai pensieri più profondi e li amplifica. La voce nasce, esce, si manifesta, parla, grida e canta, mentre gli strumenti hanno la possibilità con un suono di arrivare lontanissimi e scuoterti l’anima. Con la musica, possiamo parlare di temi importanti: rappresenta un’opportunità che alle volte non viene data.

La musica è uno strumento educativo perché può effettivamente educare il pubblico presentandogli delle sfaccettature o delle possibilità che magari non aveva previsto. Quindi, sicuramente ci fornisce degli elementi fondamentali di critica in costruzione e, quindi, di emancipazione e di libertà.

Per te, è stato il corpo strumento di emancipazione?

È stato indubbiamente uno strumento, non so se di emancipazione. Alle volte, quando rifletto su quello che scriviamo, intravedo sempre un punto all’orizzonte: stiamo percorrendo una strada ma non ho nessuna soluzione, non sono arrivata e non ho ancora risposte certe. Sono quindi anch’io lì con gli altri a percorrere questo viaggio, anche se alle volte nelle canzoni si dà come l’impressione di aver raggiunto quel punto di svolta o di avercela già fatta.

Il mio corpo, come penso che lo sia il corpo femminile in generale, è un corpo politico. A me, è servito per sperimentare la vita: l’ho maltrattato, l’ho fatto a pezzi, ci ho gioito e ci ho goduto. L’ho usato e l’ho alle volte un po’ consumato: le occhiaie e tutti i segni che porta sono un po’ come la mappa della mia vita, un patchwork, un puzzle di tutto ciò che sono. Ogni segno sul mio corpo racconta ciò che mi è successo: è come se fosse un tatuaggio (non ne ho nessuno) che segna un passaggio. E, quindi, sì: il corpo è decisamente uno strumento per me.

Il cast del film Gloria!.
Il cast del film Gloria!.

Ed è stato il biondo un mezzo per sottolineare questo processo di continua emancipazione?

Onestamente, non l’ho visto mai così. In realtà, a spingermi verso il biondo è stata la molta curiosità: l’avrei sempre voluto fare ma mi bloccava la paura di rovinare i capelli. Nel tour che ha preceduto il Sanremo di Ciao ciao, ho a un certo punto cominciato a usare delle parrucche che mi divertivano tantissimo, fino al punto di portarmi a dire: ‘Sai che c’è? Ci voglio provare realmente: facciamo questo gioco’.

Ho decolorato i capelli ed è stato molto forte: mi sono cambiata un bel po’ i connotati e anche la mia pelle mi risultava molto diversa. Mi sentivo molto più chiara, un’altra persona. E, forse, questo cambio di identità mi ha permesso di fare delle cose che altrimenti non avrei mai fatto. Però, adesso mi dici come è stato percepito dall’esterno (ride, ndr).

È sicuramente sembrata la rottura di un bel cliché, dello stereotipo della bionda che non ha molto da dire. Arrivavi biondissima sul palco di Sanremo ma con un testo che conteneva messaggi più che carichi di significato.

Non ho mai pensato a questo risvolto perché non mi piacciono gli stereotipi di qualsiasi natura essi siano: ho solo pensato di farmi bionda solo per un vezzo estetico… mi stava bene. L’ho portato per un certo periodo, poi mi sono annoiata (com’è giusto che sia) e sono tornata al mio colore.

Tutti abbiamo imparato a conoscerti come la cantante dei La Rappresentante di Lista e in pochi conoscono di quanto la tua inclinazione per la recitazione abbia in realtà radici lontane. Quando è nata?

È dentro di me da quando ero bambina. Avevo forse quattro anno quando già ero alle prese con il teatro da camera o da salotto, se così possiamo definirlo. In casa mia, si era soliti organizzare delle feste divertentissime con tutta la nostra famiglia allargata: per l’ultimo dell’anno, si dava vita a dei cabaret musicali che erano figli del carnevale viareggino. Dal carnevale, avevamo ereditato anche il gioco e la follia del travestimento: avevamo sempre molti costumi a disposizione. Con mia sorella e le mie cugine si mettevano in piedi degli spettacoli incredibili, a cui poi ha contribuito anche la televisione: ripetevamo le coreografie delle ragazze di Non è la Rai o di Ambra Angiolini.

Crescendo, ho scelto il teatro fisico e ho frequentato la Scuola di arti sceniche PTV a Seravezza, un paesino vicino a Viareggio, dove insegnava Federico Barsanti, un bravissimo maestro di teatro. Ed è lì che ho cominciato a prendere la recitazione sul serio e mi sono appassionata. Dopo aver iniziato l’università, ho conosciuto il teatro di Emma Dante e, spinta dal desiderio di saperne di più, mi sono spostata a Palermo, dove aveva luogo il lavoro della regista e della sua incredibile compagnia.

Però, tutto è nato dagli spettacoli in casa: cantavo, ballavo e facevo da regista. Dirigevo un po’ tutti preparando quei numeri esilaranti che i nostri genitori erano costretti a subirsi in casa o in giardino…

Gloria!: Le foto del film

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Dirigevi un po’ tutti ma di recente, durante il Noir Film Festival di cui eri giurata, hai dichiarato che non ti senti pronta per fare la regista. Eppure…

Nell’osservare il lavoro incedibile di Margherita Vicario per Gloria! penso che sia molto difficile fare la regista. Così come tutte le cose difficili che non si conoscono, mi spaventa l’idea perché non so effettivamente quello che mi aspetta. Forse non sarei pronta, forse sì… non lo so: ci sono tante idee che mi frullano in testa ma, in tale confusione, non saprei come ordinarle in questo momento. Ma chi può dirlo in futuro cosa accadrà? Ci sono tante storie nella mia testa che avrei il piacere di raccontare: non ne ho ancora deciso la forma… se la forma fosse un giorno un film, sarebbe bellissimo.

E una di queste storie potrebbe essere anche quella di Maimamma, il libro di cui sei coautrice insieme a Dario Mangiaracina.

Chi lo sa? È chiaro che, fantasticando, farne un film sarebbe incredibile.

Diva è il titolo di uno degli ultimi singoli dei La Rappresentante di Lista: conteneva anche un forte messaggio sociale sulla salute mentale. Ti sei mai sentita diva in qualche modo?

Io mi sento diva, tanto che avrei anche la necessità di ucciderla e di metterla un po’ a tacere. Ma l’aspetto interessante è che sono gli altri a legittimarmi o a valorizzarmi come tale. Non so perché accade ma anche del mio gruppo, al di là del fatto che ne sono la cantante, mi si percepisce come la leader. Ed è qualcosa di strano: anche se non ti comporti come tale, se gli altri iniziano con il considerarti qualcosa tu sei portato a rispondere in un certo modo.

Sono quindi una diva solo perché gli altri pensano che io lo sia: ci sono diventata per gioco ma non ho niente a che vedere con le dive, almeno per come ce le immaginiamo in senso classico. Cerco semmai di essere protagonista della mia vita, presente a me stessa. Mettersi al centro della propria vita, pensare che comunque è solo una e che vale la pena viverla in un certo modo, è qualcosa che possiamo fare tutti e tutte, rimanendo lucidi, evitando che siano gli altri a scegliere al posto nostro e cercando sempre di avere un’intelligenza sensibile critica e di non farsi abbattere.

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