In attesa del nuovo album che arriverà prossimamente, Virginio ha appena rilasciato un nuovo singolo, Non dirlo a nessuno (MP Film/Gotham Dischi/Universal Music Italy), una canzone che conferma ancora una volta l’anima più struggente, intensa e malinconica del giovane cantautore. Ed è proprio la malinconia una delle caratteristiche di cui Virginio non vorrebbe mai fare a meno, come ci conferma in quest’intervista esclusiva in cui per la prima volta affronta un tema di stretta attualità come quello dell’inclusione.
In Non dirlo a nessuno, Virginio infatti racconta le difficoltà dell’accettare se stessi oltre il giudizio altrui. “Io stesso ho vissuto di me queste paure che oggi rappresentano un grande ostacolo nell’accettazione delle proprie fragilità e della propria unicità”, ha dichiarato di recente. E delle sue paure ci parla oggi in una conversazione forse come non mai aperta e lasciata al suo naturale percorso, senza doppi fini o discorsi precostruiti a tavolino.
Curiosamente, come molti altri suoi colleghi, anche Virginio ha appena esordito come attore al cinema. Il suo è un cammeo speciale nel film Non dirlo a nessuno, scritto e diretto da Alessio Russo (prodotto da Red Private) e presentato alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia - Venice Production Bridge. Come è facile dedurre all’omonimia di titoli, Virginio ha composto la sua Non dirlo a nessuno per il film, che uscirà nelle sale e nelle piattaforme in primavera.
Nella storia di Russo si raccontano le vicende di due giovani, Leo (Michelangelo Vizzini) e Tom (Enea Lorenzoni), due giovani della generazione Z le cui esistenze sono vincolate e determinate dalla paura del giudizio degli altri, che sia degli amici, dei familiari o di un’ex fidanzata (Federica Carta). “I fatti raccontati in Non dirlo a nessuno sono successi veramente al 98%. Ho conosciuto un Leonardo e un Tommaso anche nella vita reale, anche se i loro nomi non sono questi. Posso assicurarvi che avrei talmente tante storie da raccontarvi su di loro che basterebbero per una serie di sei stagioni!”, ha dichiarato Russo, che ha anche diretto il video della canzone di Virginio.
Tuttavia, il nuovo singolo di Virginio nel film sarà in versione spagnola con il titolo No le digas a nadie. E il perché lo trovate nelle righe successive. In cui, però, non trovate le risate di Virginio, qualcosa che lo scritto non riuscirà mai a tradurre o a trasmettere.
Intervista esclusiva a Virginio
Veniamo fuori da due anni terribili, in cui i piani di tutti noi sono stati stravolti. E i tuoi ancora di più visto che sei stato costretto ad annullare un tour negli Stati Uniti. C’è la possibilità che venga recuperato?
Tutti quanti siamo stati colpiti dal lockdown e gli impegni sono saltati. Si, avevo un tour negli Stati Uniti che ovviamente non sono riuscito a fare. C’è stata la chiusura di tutti i voli, purtroppo, quel tour non è più recuperabile. Era legato a un progetto con il Ministero dei Beni Culturali e aveva un suo termine. Ma sto lavorando nel frattempo ad altre cose che verranno e che sono in progress… non mi sovviene il termine in italiano.
In divenire. È strano per uno come te che scrive magnificamente in italiano essere a corto di parole.
Ormai nella mia testa ci sono tre idiomi differenti: italiano, spagnolo e inglese. Ogni tanto mi mancano le parole e le cerco in un’altra lingua. L’importante è comprendersi.
E la comprensione è ciò che manca all’inizio della storia ai protagonisti di Non devi dirlo a nessuno, il film di Alessio Russo presentato allo scorso Festival di Venezia. Tom e Leo, i due protagonisti, vivono in uno stato di solitudine enorme, chi per una ragione chi per un’altra. Cosa ti ha convinto a prendere parte al progetto sia come autore del pezzo portante della colonna sonora sia come attore?
Conosco Alessio Russo, il regista e sceneggiatore del film, da un po’ di tempo. Mi ha fatto un enorme piacere quando mi ha parlato della storia che voleva girare: mi ha catapultato nel mondo dei due ragazzi, i protagonisti principali, e dei vari personaggi che vi gravitano intorno, compreso quello per cui mi sono prestato per un breve cammeo. Interpreto il gestore di un pub, una scena girata all’interno di un pub molto conosciuto a Milano: un’ex chiesa sconsacrata.
Chi mi segue, sa che da tempo il tema dell’inclusione è qualcosa che mi sta molto a cuore. E non poteva che colpirmi la storia di questi due ragazzi che devono imparare a capirsi e a capire il loro mondo interiore. E che, soprattutto, hanno paura di raccontarsi, una paura che è un po’ quella che abbiamo tutti quanti.
Quando ci si racconta a qualcuno, ci si apre. E, nel momento in cui ci si apre, si sta in un certo senso mostrando il fianco, ci si rende fragili. Ma aprirsi è anche una delle cose più importanti e più belle quando si sconosce qualcuno e si vuole instaurare una relazione, altrimenti tutto resta superficiale.
Quando il regista mi ha detto che il film si sarebbe chiamato Non devi dirlo a nessuno, in me è partito un flusso di pensieri sul concetto e l’omonima canzone contenuta nella colonna sonora è venuta fuori in un lampo. Avevo voglia di raccontare il desiderio di proteggersi dall’essere giudicato. Chiunque si espone, sui social in particolare, è comunque condizionato dal giudizio degli altri. C’è chi poi impara a fregarsene e chi se ne fa un cruccio.
Non dirlo a nessuno: Le foto del film
1 / 5Quella del giudizio altrui è una questione di estrema attualità, alla luce dell’episodio increscioso accaduto recentemente anche in un reality tv, in cui un concorrente è stato costretto ad abbandonare il programma anche perché costantemente vessato dal giudizio degli altri.
Ho letto quanto avvenuto, la notizia ha giustamente avuto una grande eco. Ed è giusto parlarne. Si parla di tantissime cose ma non di ciò che significa veramente inclusione. Inclusione vuole dire accettare e includere nella nostra vita ciò o chi è diverso o lontano da noi. Sulla Terra siamo più di 7 miliardi e per forza di cose siamo tutti diversi: se non impariamo a non farci condizionare dalle caratteristiche differenti da noi, l’è dura, come dicono a Milano.
In maniera diversa, ognuno di noi ha provato o prova nella sua vita momenti di non inclusione, dalla professoressa al giornalista passando per il musicista, in ogni ambito lavorativo. In ambito personale, va ancora peggio. C’è il grasso, il magro, l’alto, il basso, chi porta gli occhiali, il gay, l’etero, e così via. Siamo un crogiolo di tante cose, per fortuna. E se non impariamo ad accettare chi è diverso da noi diventa complicato.
E tu lavorativamente ti sei mai sentito non incluso?
Mai. Non è una sensazione che ho provato a livello lavorativo. Quando sei un cantautore o un artista, tendi a essere concentrato sul tuo percorso. Il tuo lavoro sei tu. Certo, ti relazioni con tante persone, però di base sei tu che crei, com’è nel mio caso. Sono un cantautore, creo io i miei contenuti e nelle mie canzoni porto il mio punto di vista. Quindi, in realtà, dovrei auto escludermi: magari nei momenti complicati lo si fa!
Nei miei confronti ho sempre percepito grande stima dai miei colleghi e dalle persone che mi stanno intorno. È qualcosa che mi rende felice. Ciò che più voglio è guardarmi allo specchio e dirmi che sto continuando a fare ciò che mi piace, dando valore alle cose in cui credo veramente. Anche perché ho scelto di dare maggiore valore alla musica evitando vie più commerciali, sebbene io faccia pop. Ma se ami il pop e ci credi veramente, gli attribuisci il grande valore che ha. Il pop arriva a tutti: non mi spaventa il nazional popolare se portato avanti a un certo livello.
Chiaramente chi fa pop, proprio perché arriva a un numero maggiore di persone, nel tuo caso milioni e in tutto il mondo, ha una responsabilità maggiore a chi fa jazz che, senza sminuirlo, è comunque destinato a una nicchia di estimatori.
Io amo il jazz però hai perfettamente ragione. Si tratta di due generi diversi: il pop è comunicazione a tutto tondo, dalla musica all’immagine.
E dal punto di vista privato, invece, hai provato l’esclusione?
Diverse volte, ho avuto un’adolescenza travagliata. Il mio essere magrolino, molto gracile, con gli occhialoni, e tutta un’altra serie di caratteristiche, tra cui anche un carattere molto chiuso, non mi hanno aiutato da piccolino. Con ciò non dico che non avessi la mia cerchia di amici perché poi ci si crea sempre una propria “famiglia” ma sono stati tanti gli episodi in cui sono stato preso di mira.
Spesso si rimane colpiti da una persona estroversa, ma quando sei introverso è più facile che gli altri decidano di escluderti. È anche vero che l’inclusione deve essere reciproca e la timidezza è stata per molto tempo un mio limite: non ci ho messo molto di mio per farmi capire dagli altri.
Come hai reagito alla non inclusione da parte degli altri?
Sembrerà banale ma la musica mi ha salvato e continua a salvarmi. Tutte le volte in cui mi sono sentito messo all’angolo, la cosa più semplice che potevo fare era mettermi a scrivere una canzone o cantarla. È questo che mi ha sempre aiutato a uscire dai miei buchi neri personali o a capire che strada prendere. Per me, le canzoni hanno sempre avuto una dimensione catartica sono una terapia.
Va bene che le canzoni servano anche a divertirsi, piace anche a me divertirmi. Non demonizzo la canzone leggera ma per me le canzoni che fanno la differenza sono quelle che ti raccontano qualcosa di te, che ti aiutano a farti sentire meno solo o a farti uscire dal tuo guscio.
In qualche modo anche Il panda con le ali, la canzone che hai scritto per il prossimo Zecchino d’Oro, parla di accettazione della diversità.
Il panda con le ali parla di come tante volte le caratteristiche che vediamo negli altri e che ci spaventano perché non le conosciamo in realtà possono rivelarsi utili anche per noi. Il panda viene escluso da tutti per le sue ali. Tuttavia, quando comincia a usarle per volare, tutti quanti le vorrebbero. E c’è ancora un altro risvolto che spero emerga: occorre guardare le cose dall’alto per averne la giusta prospettiva. Che è un po’ un concetto à la Calvino.
Un concetto abbastanza semplice se solo imparassimo a metterlo in atto.
Noi siamo piccoli e siamo circondati da tante cose che ci sembrano grandi. Non ci rendiamo conto che, se guardassimo tutto con uno sguardo diverso, le cose ci apparirebbero nella loro giusta dimensione. Un po’ come quando bloccati nel traffico ci arrabbiamo per futili motivi: se solo riuscissimo a riportare tutto alla giusta dimensione, saremmo anche più felici.
E tu sei felice?
È una domanda complicatissima questa però rispondo di sì. Nell’inquietudine che mi accompagna da sempre, ci sono tratti di felicità, più o meno ampi o brevi.
Al concetto di felicità preferisco personalmente quello di serenità.
La serenità ti fa stare tranquillo, va benissimo e ti porta ad avere un momento di felicità. Però, per me la felicità è anche inquietudine per qualcosa che voglio che arrivi. È una cosa bellissima che ti accade. È lo svegliarsi di notte per buttare giù le belle parole di una canzone o il voler cantare un pezzo di una canzone: non sono sereno in quel momento, per niente, ma sono felice. L’attesa della felicità è essa stessa felicità (ride, ndr).
È bello sentirti ridere.
Mi piace molto ridere, anche se sono un grande malinconico. Mi piace da morire la malinconia: mi permette di mettermi più a fuoco o di capire il valore di qualcosa. Non ricordo chi lo diceva ma è vero: la mancanza è la più grande presenza che possiamo sentire. Pensiamo ai nostri genitori: abbiamo tutti rapporti più o meno complicati con loro. Magari sbuffiamo di fronte a ciò che ci dicono. Ma, se non ci sono, ci mancano, rimproveri compresi: l’assenza diventa presenza. La malinconia per me è un momento di felicità: mi fa mettere a fuoco un sentimento fortissimo.
Torniamo allora a ciò che ti rende felice: stai lavorando a un nuovo disco in piena indipendenza artistica. C’è già una data per la release?
Non so ancora di preciso quando uscirà. Ci stiamo ancora lavorando e, come sempre capita, ci sono ancora tanti aspetti da incastrare.
La mia domanda era tendenziosa e aveva qualcos’altro dietro. Ti volevo portare con la mente al 2006. Pensi di avere un conto in sospeso con Sanremo o che Sanremo abbia dei conti in sospeso con te? Dopo la partecipazione e l’eliminazione a Sanremo Giovani, non sei più tornato al festival.
Non ho mai ragionato in termini di rivincita: non penso ai conti in sospeso ma mi concentro su chi è Virginio oggi e su cosa sto facendo. Sanremo? Che ben venga se è nel mio percorso, ne sarei felice. Chi non lo sarebbe? Sanremo ti dà la possibilità enorme di raccontarti a un vasto pubblico. Ma non ho alcun livore o senso di rivincita. Non ne ho mai fatto un cruccio personale: sono sempre curioso di vedere la musica dove mi porta.
E dove ti ha portato finora?
Lo scopriremo man mano. Anch’io sono molto curioso di capire come si sta evolvendo tutto, di guardare in avanti.
Come mai per Non dirlo a nessuno hai scelto la versione spagnola della canzone e non quella in italiano, il cui video è stato diretto dallo stesso Alessio Russo?
È stata una scelta consapevole: si spera che il film abbia un percorso internazionale.
È un momento particolare per i cantanti e il cinema: abbiamo visto Elodie protagonista in un film. Vedremo anche Emma e Casadilego, oltre che te e Federica Carta in Non dirlo a nessuno. Cosa porta un cantante a volersi mettere alla prova come attore o cosa porta un regista a scegliere un cantante come attore?
Credo sia qualcosa che nasce da scelte individuali e che varia da persone a persone. Personalmente, ho studiato per tanti anni recitazione: è sempre stata una mia grande passione. Poi, la musica ha preso il sopravvento. Tuttavia, tutti noi attori siamo nel nostro piccolo chiamati a confrontarci, per via dei videoclip, con il linguaggio del cinema. Nell’arco della sua carriera, un artista realizza molti videoclip: è un modo anche per imparare a stare a stretto contatto con una telecamera. Il videoclip non è altro che una versione cinematografica, visiva, della canzone. Sia chiaro, la recitazione è un’altra cosa ma forse non è così distante, diversamente da come si pensa.
Non a caso sia un attore sia un cantante vengono definiti interprete.
Siamo tutti interpreti. Anche un cantautore lo è: non è detto che ciò che canti sia collegato alla sua esperienza personale.
Nel tuo percorso hai anche dimostrato una certa sensibilità verso svariati temi sociali. Quanto pensi che sia importante che la musica guardi alla società a 360 gradi?
Da Woodstock in poi, la musica ha sempre avuto tale ruolo, in maniera più o meno diretta. Anche i movimenti di Elvis con il rock’n’roll avevano una loro accezione sociale: chi lo vedeva o lo ascoltava si sentiva libero. Con gli anni, il legame tra musica e sociale è più dichiarato ed evidente.
E quando ne ho la possibilità sposo subito progetti che possano essere legati all’impegno. È un valore aggiunto per il modo in cui intendo io la musica: la musica è una cura non solo a livello personale ma anche a livello sociale. Una canzone può aiutare molte persone o sensibilizzare su una determinata tematica.
Per me la musica è unione e non separazione. Oggi c’è una certa tendenza a fare gli spacconi, qualcosa che non mi appartiene. Spesso trovo che sia più un atteggiamento di facciata che la realtà: capisco chi lo è realmente o lo si sente, un po’ meno chi finge qualcosa che non è. Ognuno è libero di fare ciò che vuole ma la gente vuole verità, almeno per quanto riguarda la musica.
Hai appena citato la parola “libero”. Cos’è per te la libertà? In molti si stanno chiedendo se la libertà è pericolo per via dei recenti risultati elettorali.
Dovremmo preoccuparci maggiormente della situazione di guerra all’orizzonte più che del resto. Quando ti viene garantita la possibilità di dire ciò che pensi e di esprimerti è la più grande delle libertà. È chiaro che ci siano delle correnti di pensiero che spingono a non scadere nel politicamente scorretto: è giusto. Ma fin quando si esprime la prima opinione in maniera rispettosa, spiegando le sue ragioni, che male c’è?
Tra le tante canzoni che hai scritto negli anni per vari interpreti qual è quello a cui sei maggiormente legato?
È come scegliere tra un figlio e l’altro. Sicuramente, ci sono dei brani che hanno rappresentato un punto di cambiamento anche nella mia vita. Parlo, per esempio, di Limpido, cantata da Laura Pausini e Kylie Minogue: è bello vedere una canzone che scrivi nella tua camera con il pianoforte cantata in Brasile da un ragazzo che sta dall’altra parte del mondo o cantata al Madison Square Garden. È la grande magia della musica.
Ma anche Milleluci o E.sta.a.te. Ce ne sono tante ma anche tra quelle che ancora non sono uscite!
Temi il giudizio degli altri sul tuo lavoro?
La verità? No. Sono però curioso, mi piace leggere e capire come una canzone venga percepita in maniera diversa dalle varie persone. Leggo per una questione di curiosità ma non temo il giudizio. Non per arroganza ma perché so quello che ho fatto e perché l’ho fatto: ho fatto per me il massimo. E sono felice se ciò arriva.
Eppure, il giudizio era alla base dei due programmi televisivi a cui hai preso parte: Amici di Maria De Filippi, vincendolo, e Tale e Quale Show.
Siamo tutti costantemente giudicati a livello lavorativo. Ma lo siamo anche nella realtà: i social, ad esempio, non hanno fatto altro che rispecchiare come ci comportiamo in società. Certo, sarebbe assurdo se potessi mettere dei like o dei dislike alle persone che conosciamo, anche se in realtà è un pensiero che facciamo tutti.
Basti pensare alle prime impressioni o alla frase “quella persona non mi piace”.
Ho scoperto tantissime volte come ero felice nell’aver conosciuto persone che a prima vista mi stavano antipatiche!
Quanto sei cambiato dal 2006 a oggi?
È una domanda che mi faccio spesso anch’io. C’è una parte di me che è cambiata tantissimo e una che non è cambiata per niente. Credo che faccia parte di tutte le persone: una parte cresce e capisce determinate cose e un’altra che rimane meno esposta. Mi piace di più quella esposta, è quella per cui scrivo le canzoni, per cui canto e che mi aiuta a non perdere mai il baricentro di quello che sono.