In questa intervista esclusiva, Viviana Colais si apre con sincerità e autenticità, condividendo con noi il suo viaggio fatto di passione, determinazione e ricerca costante della verità. Dalla sua esperienza sul set del film Romeo è Giulietta al suo personale percorso di crescita e accettazione, Viviana ci guida attraverso le sfumature della sua vita e della sua carriera, offrendoci uno sguardo intimo e profondo sulla donna dietro ai riflettori.
Attraverso le sue parole illuminanti, scopriremo come Viviana Colais sfida gli stereotipi, abbatte le barriere e rimane fedele a se stessa, trasformando i suoi sogni in realtà e ispirando chiunque abbia il privilegio di ascoltarla. Accompagnateci in questo viaggio di scoperta e ispirazione, mentre ci immergiamo nel mondo affascinante di Viviana Colais.
Intervista esclusiva a Viviana Colais
“Sono abbastanza meteoropatica e, quindi, quando c’è il sole, va tutto molto meglio”, esordisce con il sorriso Viviana Colais quando le chiedo come sta. E il sorriso è uno degli elementi che ricorrerà spesso durante la nostra conversazione, anche quando si affronteranno temi delicati o dolorosi. “Per me, si tratta sempre di un lavoro di squadra: si crea un clima più armonico e si lavora meglio tutti insieme verso una direzione”, aggiunge nel raccontarmi perché qualche minuto prima abbia voluto mandarmi, insolitamente per chi fa il suo lavoro, un messaggio di “presentazione” su WhatsApp per rompere il ghiaccio.
Il desiderio di rimanere umana e umile accompagna da sempre Viviana Colais, anche perché in totale coscienza è così che si dovrebbe restare. “A meno che non si abbia inventato l’iPhone, un vaccino per qualcosa o scoperto la terapia per una malattia particolare, saremo tutti ricordati in egual misura”, per usare le sue parole. “Viaggiando spesso per lavoro, ho conosciuto attori che nonostante fossero famosissimi, non se la tiravano così come ho visto fare invece a certi colleghi dopo due pose in una serie tv… anche meno: siamo tutti uguali e unici allo stesso tempo”.
Ti stiamo vedendo al cinema in Romeo è Giulietta, il film di Giovanni Veronesi con Pilar Fogliati in cui interpreti Fiorella, una casting director… una figura con cui ti sarai dovuta confrontare molto nel tuo percorso professionale.
È stato estremamente ironico ma anche catartico per molti versi: ho conosciuto così tanti e così tante casting director che avrei avuto l’imbarazzo della scelta. La mia ispirazione è ovviamente arrivata dalla sceneggiatura, da un copione da cui si evinceva come Fiorella fosse estremamente austera, professionale, e si sentisse superiore agli attori stessi, tanto da essere molto severa con loro e metterli in difficoltà. Mentre con gli attori non è tenera, diverso atteggiamento ha nei confronti di Federico, il regista impersonato da Sergio Castellitto: è il suo datore di lavoro e davanti a lui si sgretola e diventa del tutto imbranata e succube.
È un atteggiamento ambivalente il suo che ho avuto modo di riscontrare spesso non solo ai casting ma anche in altri ambiti non cinematografici: ho quindi colto dall’esperienza personale con chi ricopre posizioni di potere per restituire quella sorta di doppia faccia fatta da un lato da molta sicurezza di te e dall’altro di fragilità (per me, l’aspetto più ironico e più bello delle persone).
I casting director sono spesso dei distruttori di sogni. Tu invece ti definisci una dream builder, una costruttrice di sogni…
È una definizione che mi ha dato una tua collega, una giornalista che, essendo mia amica, conosce un po’ la mia vita e la mia quotidianità: non mollo mai il sogno. Ho un percorso lavorativo abbastanza frastagliato: faccio l’attrice a livello professionale ma ho anche una laurea in Economia aziendale e ho fatto lavori che nulla avevano a che vedere con la recitazione cercando però di tenere sempre impostata e corretta la direzione del mio GPS. Anche quando la strada davanti a me non era del tutto percorribile o presentava ostacoli, ho cambiato rotta e sono andata avanti rimanendo in direzione parallela.
Nei momenti in cui la vita mi ha presentato fasi e periodi che non erano belli, ho sempre cercato e cerco di aggrapparmi al sogno, qualsiasi esso sia, aspirando a qualcosa di più grande. La nostra società ci porta a rassegnarci o ad accontentarci ma questo non fa altro che depotenziarci: io voglio continuare invece a credere nel mio potenziale, nell’essere umano e nel potenziale degli altri.
Quando hai fissato la direzione del tuo GPS?
Avevo 25 anni da qualche giorno. È stato allora che ho capito che la mia laurea in Economia o un lavoro diverso da quello dell’attore sarebbe stato da ostacolo al mio sogno. Con il tempo, ho poi capito che quello che reputavo un ostacolo era invece una risorsa: quando fai cose che non hanno nulla da spartire con quelle che ami, ti ricordi quanto le ami. So che può sembrare assurdo: quasi tutti i grandi calciatori hanno alle spalle contesti difficili da cui provengono prima di diventare fenomeni… se avessero avuto la pappa pronta, sarebbero mai stati dei campioni? Si sarebbero mai prodigati in ore e ore di allenamento?
Ho dunque visto tutto ciò che mi portava verso la “normalità” come una risorsa in più: come dico spesso ai ragazzi, non crediate che la distrazione vi porti da qualche altra parte, è semmai una risorsa in più sulla via dell’affermazione di chi siete o sarete. Da piccola, mi sono autosabotata tantissimo: avevo tre anni quando dicevo che da grande avrei fatto l’attrice prima che in me maturasse la voglia di cantare e smettessi di farlo quando una volta mio padre d’estate, mentre alla chitarra suonava una canzone di Battisti, mi disse che ero stonata perché non avevo preso una nota. In quel momento lì, mi sono sentita giudicata: avevo diciotto anni e misi da parte ogni mia aspirazione artistica.
A 24 anni, invece, è tornata nuovamente prepotente la voglia di recitazione ed è stato per me come un ritorno alla madre: mi piace ancora da morire la musica ma il primo amore è sempre stato il palco e capirlo mi ha permesso di farlo diventare una professione, trovando il coraggio di dirmi che sarebbe stata la mia strada.
E in tutto questo da cosa è nato il desiderio di frequentare Economia Aziendale all’Università?
All’epoca, non c’era tutta l’offerta che c’è oggi. Ero fissata con il mondo della pubblicità, della comunicazione e del marketing. Mi affascinava l’idea del brand e l’unico percorso che mi permetteva di capirne di più era quello. Quella di proseguire con gli studi non è stata nemmeno una scelta tanto cogitata: sono andata avanti perché comunque lo facevano tutti i miei amici: in qualche modo, era un continuo del liceo, un modo per continuare a rimanere piccoli e non diventare grandi. Non ero nemmeno ferrata sui numeri ma, da ariete, se vedo una parete dura, devo necessariamente sfondarla. Di cornate ne ho prese ma, crescendo, ho deciso che avrei dovuto fare scelte che mi riportassero nella mia zona comfort.
Ed è stato poi facile spiegare che alla stabilità di un lavoro d’ufficio che la laurea ti garantiva preferivi la precarietà della recitazione?
Non sempre. Ci sono persone che di fronte alla diversità, rimangono aperte e curiose di ciò che sei o vuoi. E altre invece che mi guardavano con sospetto, come se la mia scelta valesse molto meno della loro. Non mi sono però mai lasciata condizionare: ho continuato ad aspirare alla mia dimensione. Avevo preso la mia laurea (diventate poi due), avevo fatto tutti felici e contenti anche se dai miei non era arrivata nessuna pretesa in tal merito: sono stato io a pensare che lo volessero… a casa, la mia tenacia e la mia concretezza sono state capite: mio padre è ora il mio primo fan, così come lo era mamma, colei che mi ha insegnato a sognare.
Cosa ha significato per te la morte di tua madre, avvenuta all’incirca un anno fa?
Non vorrei sembrare arrogante ma solo chi vive quella situazione può comprendere a pieno cosa accade: perdi la terra, l’utero, la parte più intima di te. Per me, mia madre era la persona migliore che io abbia conosciuto in vita mia: non è stato solo perdere un genitore ma ogni certezza, il porto di partenza e di ritorno.
Oggi ne parlo con più serenità perché vorrei che finalmente si imparasse tutti quanti a normalizzare la morte o la malattia: è una fase della vita come le altre, di cui spesso non si parla forse per paura o per tabù… paradossalmente, anche sui social parliamo più di ciò che facciamo a letto che della perdita di qualcuno caro quando starci male è normale e giusto: probabilmente è un dolore che non si metabolizzerà mai ma reputarlo un tabù fa sì che diventi davvero un macigno.
Come ti definiresti oggi che per metà non sei più figlia?
Se dovessi definirmi oggi, direi che sono diventata molto più terra: mi sento più concreta e reputo ogni cosa fattibile. Direi di me che sono una viaggiatrice mossa dalla curiosità di scoprire nuovi mondi. Ma le definizioni sono fatte per essere smontate in qualsiasi istante: non amo le etichette… so che devo essere fortissima ma posso anche essere fragile pur mantenendo un atteggiamento solare: non posso mollare.
Neanche per le “cose da uomini”, tanto per citare un tuo spettacolo?
Anche le cose da uomini sono possibili: non ci sono cose da uomini o cose da donna. È stata la società semmai a dirci che qualcosa è femminile e altro è maschile. Ma così come una donna anche un uomo soffre, si emoziona, sorride. Essere una donna non è facile ma l’importante è riuscire a navigare in modo naturale nella società in cui siamo cresciute. Nella nostra, ad esempio, essere un’attrice è ancora spesso sinonimo di meretrice, di poco di buono, di vanitosa, di frivola: c’è sempre un pregiudizio che ti precede. Se si è belle non si può essere brave, se si lavora è perché la si è data a qualcuno…
Sono tanti i luoghi comuni da abbattere e con cui lottare come essere umano e non solo in quanto donna. Come l’essere single: lo sono stata per cinque anni (ho riscoperto da poco cos’è l’amore) e nell’immaginario comune era come se facessi festini tutte le sere. La gente mi vedeva come una delle protagoniste di Sex and the City e una delle domande che mi sentivo rivolgere più spesso era “ma come mai una come te è single?”.
Per non parlare del gender gap sul lavoro, aspetto che Romeo è Giulietta inevitabilmente, seppur in maniera divertente, affronta.
Giovanni Veronesi e Pilar Fogliati hanno fatto un lavoro meraviglioso nel parlare di crisi di identità in generale (e non solo di genere) con il sorriso, in maniera semplice e ironica, prima che ti arrivi la botta nel raccontare la storia di un’attrice che per riprendersi il suo posto, dopo aver in passato già rubato l’identità a un’altra persona, deve fingersi altro ancora. È un tema molto presente e pesante nella società contemporanea, che con i social forse si è dilatata: quante volte ci mostriamo dei fake rispetto a come siamo nella vita reale, con la nostra finta felicità, performatività o bellezza? Persone come Pilar stessa o Elodie dimostrano invece come sia la verità a essere la nuova tendenza: rischiamo altrimenti di non essere mai stessi e di ricercare costantemente un’identità che non sappiamo nemmeno quale sia.
Hanno mai provato a cambiare la tua verità?
Sì e l’avrò fatto anche perché magari in quel momento ero insicura. Ho pensato ad esempio che se mi fossi comportata in maniera più accomodante, avrei conquistato la persona che amavo. L’ho fatto ma oggi lo arei solo in funzione di un miglioramento personale ma non per conquistare il prossimo. Anche perché, come mi cantava mia madre prendendo in prestito una bellissima canzone degli anni Sessanta, “qualunque cosa fai, sempre pietre in faccia avrai”: ci sarà sempre un motivo per cui gli altri avranno qualcosa da obiettare o criticare. Basti pensare a come Charlize Theron per dimostrare di essere brava abbia dovuto girare un film come Monster, in cui ha sacrificato la sua bellezza.
Romeo è Giulietta: Le foto del film
1 / 39Romeo è Giulietta ha al centro la tragedia per antonomasia sull’amore. Cos’è per te l’amore?
È un sentimento che ho riscoperto da poco: è stato il mio miracolo di Natale. Il mio attuale compagno è riapparso nella mia vita lo scorso dicembre, a distanza di vent’anni da quando ci siamo conosciuti. Chiaramente ha un peso diverso da quello che poteva avere anni fa anche se, grazie a un esercizio particolare, già un anno fa avevo scoperto quanto importante fosse l’amore nella mia vita ma non inteso come “amore di coppia”: nel colorare gli spicchi delle aree della mia vita in cui mi sentivo realizzata, avevo lasciato bianco, vuoto, quello dell’amore perché lo pensavo solo in funzione di un eventuale partner. È grazie a chi conduceva l’esercizio che ho capito di quanto amore invece c’era nella mia vita e di quanto fossi stata amata: ho attorno a me un esercito di belle persone a cui dare e da cui ricevere amore.
Quello di coppia si sta costruendo adesso giorno dopo giorno. E ho scoperto che la gioia maggiore è data dalla condivisione con qualcuno dei momenti sia belli sia brutti… è un gioco di squadra in cui ci si può mostrare per quello che si è sapendo che l’altro ti accoglierà, è il posto in cui creare sicurezza e vivere in spensieratezza.
La fine di un amore rappresenta però una perdita di parte della propria identità: non ti spaventa?
La fine mi fa paura in ogni relazione, non solo in quelle sentimentali, perché rimette in discussione chi sei e il percorso condiviso.
Cosa invece ti fa sentire protetta?
Il vedere la purezza negli occhi delle persone che mi circondano. Nell’ultimo anno della mia vita, ho dovuto per forza di cose essere molto selettiva: non sono diffidente per natura, apro la porta del mio cuore a tutti ma inevitabilmente c’è stato chi ha scelto di rimanermi vicino e chi no, alcune persone sono rimaste mentre altre sono andate via. Questo perché il dolore mette paura, molto più della gioia.
Al tuo lavoro di attrice, affianchi quello di formatrice presso Creavità, nata per volere di Chiara Gamberale.
Creavità nasce da un’esigenza artistica di Chiara, che ha deciso di creare un ambiente “protetto”, bello e unico, dove le arti servono per stimolare il pensiero laterale, l’intelligenza logica e quel bambino interiore che si trova dentro ognuno di noi. I miei “allievi” hanno dai 15 agli 80 anni e a loro cerco di trasmettere attraverso l’empatia, l’ascolto, la fiducia e l’essere qui e ora, il training attoriale, quel processo per cui è possibile scoprire momenti e parti di te che puoi riportare nella vita quotidiana.
Ai giovani che vogliono affrontare la mia stessa professione suggerisco sempre di sognare e di non perdere mai il coraggio, anche di fronte alle difficoltà: “siate grati di tutto quello che vivete perché c’è sempre un motivo, nel bene o nel male, per cui accade”. Non è fatalismo: semplicemente si deve imparare a trasformare ciò che si presenta in qualcos’altro per essere felici. Nell’affrontare quel viaggio che è il nostro lavoro occorre creare valore, qualcosa che renda prima di tutto felici noi stessi. E magari auspicare di guadagnarci per viverci dignitosamente perché come qualsiasi altro lavoro deve essere retribuito e nella maniera giusta.
Proprio qualche giorno fa leggevo come la parità di genere nel cinema in Canada verrà raggiunta solo nel 2215 mentre nel Regno Unito nel 2085: è un dato che mi ha messo paura ma che non significa che non si debba smettere di lottare di fronte a un ostacolo o per i nostri diritti.
Quand’è la prima volta che ti sei sentita felice su un palco o su un set?
Al provino di Che disastro di commedia, lo spettacolo teatrale che porto in scena da otto anni e che a breve concluderà la sua vita. È stato il classico provino à la Chorus Line, vinto l’8 agosto del 2016.
Credi nei numeri? 8 agosto ’16… 8 più 8 fa 16.
Non so se credo nei numeri ma ce ne sono alcuni che sono ricorrenti nella mia vita. Tanto che il primo tatuaggio, fatto dopo la morte di mia madre, è stato un numero: nella numerologia, mia mamma era un 9… e il 9 rappresenta il guru, colui che influenza le masse e le porta sulla retta via. Non conosco la cabala ma ho studiato la numerologia: insieme alla fisica quantistica è una delle mie coccole.
La fisica quantistica?
Mi trasmette tranquillità il pensare di essere energia. Ma è un mio guilty pleasure come può esserlo il caffè americano la mattina, la commedia o il trash. Mi piacciono molte cose differenti tra loro per cui viva anche la cellulite o Uomini e donne: usciamo dal cliché dell’attrice che deve essere necessariamente impegnata o che deve avere alle spalle solo una certa dose di libroni letti. Posso essere felice e impegnata anche se ascolto Raffaella Carrà o Tiziano Ferro mentre sono in macchina con una delle mie migliori amiche per andare d’estate a una festa a Rimini!