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Wally Pain: “Il mio corpo non è la mia identità” – Intervista esclusiva

Wally Pain, l’autrice di Corpi, un mix di letteratura e disegno che descrive e viviseziona le moderne relazioni, si racconta con un’intervista in esclusiva in cui ripercorre il suo lavoro ma anche la sua giovane parabola personale. Senza filtri o tabù, così com’è lei.

È uscito in libreria Corpi (Feltrinelli Comics), il primo libro di Wally Pain. Tra letteratura e disegno, Wally Pain esplora l’intimità in tutte le sue forme offrendo uno spettro delle relazioni interpersonali ma anche con se stessi del XXI secolo, senza pudore o tabù. L’intreccio dei corpi del titolo permette a Wally Pain di affrontare tematiche come il ghosting, il sexting, la ricerca del piacere, la stabilità delle relazioni o la loro fine, la complicatezza delle stesse e il groviglio di emozioni che comportano.

Il linguaggio di Wally Pain è viscerale, crudo e spinto, ma allo stesso tempo poetico, sofferto e trasognante. Le declinazioni delle relazioni non lasciano fuori nessuna variante: eterosessuali, omosessuali, poliamorose, solitarie, virtuali… l’intimità descritta esplode e implode a seconda dei casi, i corpi si avviluppano o si allontanano, e la penna e la matita di Wally Pain scalfiscono non solo il cuore ma anche la mente.

Corpi che si accoppiano in maniera diversa, corpi che si respingono, corpi che si attraggono ma che scappano, corpi che non si accettano o che hanno risolto i problemi con loro stessi. Tutti accomunati dal disperato bisogno di amare e di essere amati.

Dietro ai corpi di Wally Pain si cela la giovanissima Luana Francesca Belsito. Classe 1992, la cosentina Luana Francesca Belsito ha chiaro sin da subito qual è l’intento della sua opera: offrire sì un ventaglio di situazioni in cui riconoscersi ma anche la possibilità a chi in nome del moralismo le obietta di capire cosa si cela dietro a forme di amore che amore rimangono.

Da sempre appassionata di fumetto, ha lasciato la sua città per trasferirsi a Firenze e studiare all’Accademia delle Belle Arti e lasciarla a un passo dal diploma per iscriversi alla Scuola Internazionale di Comics di Roma, diplomandosi nel 2018. Corpi è il suo primo libro, la prova del nove che le ha permesso di vincere (in parte) la sua sindrome dell’impostore e le sue manie di perfezionismo.

Di questo e di tant’altro abbiamo parlato nell’intervista in esclusiva che ci ha concesso. Un’intervista senza regole, guidata dal solo desiderio di raccontare quanto lecito sia essere chi si è, senza lasciare agli altri la possibilità di definirci a partire dalla nostra fisicità.

Wally Pain.
Wally Pain.

Intervista esclusiva a Wally Pain

Come stai? è la prima cosa che chiedo all’inizio di ogni intervista, dopo aver realizzato che ci si può dare del tu. “Bene, ma con quel leggero pizzico di dissociazione dall’interno per capire chi sei e dove stai”, è la risposta di Wally Pain, travolta dalle presentazioni di Corpi, il suo primo libro.

“Nel libro ho cercato di far vedere tutte le diverse prospettive di un rapporto, anche quando finisce. Solitamente si tende a dividere tra vittime e carnefici ma io non ho voluto metter nessun moralismo nelle storie. Sono ad esempio monogama e non riuscirei mai a stare con una persona impegnata ma questo non mi vieta di immedesimarmi negli altri o di provare empatia nei confronti di chi gestisce l’emotività in maniera diversa. Sono affascinata dai rapporti umani sostanzialmente”.

La copertina di Corpi, il libro di Wally Pain.
La copertina di Corpi, il libro di Wally Pain.

Ogni racconto è formato da una pagina di scritto e da una di disegno alla sua destra.

A me è sempre piaciuto disegnare. In passato ero più per la ritrattistica ma poi ho approfondito anche la sfera erotica. La cosa curiosa è che mi sono approcciata al disegno erotico in un periodo della mia vita in cui rifiutato del tutto il sesso. È nato come sorta di esercizio spontaneo per far pace con il pensiero di essere asessuale: non amo etichettarmi ma ho dei periodi in cui provo più interesse per le persone e altri in cui non ci penso proprio. Penso sia una cosa abbastanza comune il bisogno di starsene da soli…

Sono partita da corpi con un tratto anche abbastanza semplice ma non li troverete mai su internet: soffro della sindrome dell’impostore e, quando un disegno non mi piace, lo cancello. Consegnare il libro è stato da questo punto di vista un bello sforzo: non avrei più potuto togliere nulla e le mie manie di perfezionamento ne hanno sofferto non tanto per i disegni ma per i testi. Ho sempre coltivato la scrittura parallelamente al disegno ma era qualcosa che tenevo riservata: è stato un bel salto nel vuoto.

Quei primi disegni erano molto di studio, non avevano dietro nemmeno una ricerca. Non sapevo nemmeno perché li facessi ma ho capito di recente da cosa erano dettati: dal desiderio di restituire una sorta di ventaglio di visioni diverse sulla sessualità da far leggere soprattutto a tutti coloro che sono respingenti verso determinate relazioni. La mia mania di onnipotenza mi dice ad esempio che il libro può anche servire a convertire un omofobo: in quel caso, avrei vinto io.

Ma c’era dietro anche la volontà di rappresentare esperienze diverse dentro cui qualcuno avrebbe potuto rivedersi e sentirsi capito. Mi ha fatto piacere come alla presentazione di Corpi a Cosenza, ad esempio, un signore abbia comprato due copie: una per sé e una per la figlia. L’ho trovata una cosa bellissima: non siamo abituati, almeno quelli della mia generazione, a vedere genitori e figli che affrontano insieme determinate tematiche… mi ha emozionata!

A proposito di genitori, i tuoi che ne pensano di Corpi?

Mia madre purtroppo non c’è più ma niente pietismo in tal senso: è una di quelle cose che non sopporto. Preferito l’umorismo nero alla consolazione di chi davanti alla tua voglia di pubblicare sui social una foto ricordo parte con i suoi “mi dispiace” figli della pornografia del dolore. Spesso si vuole semplicemente condividere un ricordo senza trasformarlo in un dramma. Non capisco da dove nasce la tendenza a doverti necessariamente consolare: la morte è una cosa brutta, traumatica, ma fa parte di ‘sto cacchio di senso della vita.

Mio padre sa del libro, ovviamente, ma sono io quella che ha maggior “pudore” nel chiederglielo. Sa dei disegni che faccio ma non gli ho chiesto di leggerlo, anche per via dei termini che uso: mi farebbe molto strano.

Nel libro si parla molto di intimità. Tu che rapporto hai con la tua?

Do molta importanza, in generale, agli altri quando vivo qualcosa di sentimentale. Do il giusto peso a tutti gli incontri che faccio e alla gente che conosco, anche quelli che sono entrati nella mia vita da poco. Ogni esperienza, del resto, lascia qualcosa, che sia positiva o negativa è poi da vedere. Quando trovo qualcuno con cui parlare ed entrare in sintonia, vado avanti senza fermarmi e non capisco più niente, anche se spesso c’è il timore di mostrare un po’ troppo di sé

Tuttavia, come ti accennavo prima, ci sono periodi in cui non riesco a trovare gli altri attraenti: è una questione che va al di là del corpo, è di mente. E non mi va di conoscere nessuno. Ma tu sai che fatica si fa nel conoscere qualcuno o nello stargli dietro?

E, poi, parliamoci chiaro: i primi incontri sono sempre stressanti. Per quanto si può essere se stessi senza sovrastrutture, tutti quanti cerchiamo di camuffarci per mostraci migliori. E per me è faticoso!

Una mia amica, Romina Falconi, dice che per sopravvivere ai primi appuntamenti occorre sin da subito mostrare il lato peggiore di sé.

Ci ho provato anch’io ma non ha funzionato. Mi è successo con persone che non mi piacevano ma che puntualmente non se ne andavano più via. Una volta, ho provato anche a essere il più repellente possibile, non è servito a nulla.

I corpi in cui si parla nel tuo libro non sono corpi che rispondono ai cosiddetti canoni estetici condivisi. Quanto era importante per te soffermarti sull’importanza del corpo?

Una delle cose strane di un libro che si chiama Corpi è quanto poco in realtà si parli dei corpi. Si, sono presenti ma non si parla solo di quelli, diventano semmai motore per altro: c’è ad esempio un racconto che ha per protagonista una ragazza con la cicatrice ma la storia non ha a che fare con la cicatrice ma con il suo modo di relazionarsi agli altri e di non far trasparire le emozioni. Quando ho pensato al libro, non sono partita dall’idea di disegnare determinati corpi per ragioni di marketing, body positive o politically correct. Tutt’altro, non volevo che venisse nemmeno percepita la diversità dei corpi.

Ho talmente tanto rispetto per le persone che non mi andava l’idea che si pensasse che lo facessi solo perché andava fatto inseguendo la cultura del momento. L’ho fatto semmai perché io vedo il mondo così.

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In uno scambio di battute fuori intervista ti sei definitiva cicciottella. Quanto ha pesato la tua fisicità sul tuo percorso?

I termini usati variano di contesto in contesto e dal modo che ognuno ha per riferirsi a se stesso ma se qualcuno mi dicesse che sono grassa lo stendo: tutto sta nell’intenzionalità. La caratterizzazione fisica non è la mia identità, così come non deve esserlo di nessun’altro: siamo tutti persone in continua evoluzione e mutamento.

Sarei un’ipocrita se dicessi che il mio corpo non ha influenzato la mia vita. Fin da quando ho memoria, dalle scuole elementari al liceo ho subito atti di bullismo, alcuni più pesanti altri più sottili. È stato un crescendo continuo che ha avuto il suo apice nell’adolescenza, quel periodo brutto per tutti quanti: sono pochi gli adolescenti che non vengono intaccati da quella bestia degli ormoni.

Mi ha causato molti problemi di autostima. Sono cresciuta in una provincia, uguale a tante altre, in un vortice che ti risucchia per via di un pensiero grezzo, chiuso e legato molto all’esteriorità di una persona: sei bella, sei anche brava, una roba imbarazzante. Anche chi non mi prendeva di mira direttamente, provava a incentivarmi con frasi del tipo “ah, ma se dimagrisci saresti più carino, anche perché hai un bel viso”. E io mi sentivo morire. È stato traumatico.

Poi si cresce e pensiamo di essere esenti da certe cose prima di scoprire che, ogni volta che torno al mio paese, in qualche modo regredisco. È brutto da dire ma sono fastidiosi certi sguardi perché sono capaci anche di generarti un grande senso di colpa. Negli anni, gli sguardi hanno fatto sì che si innescassero, pur non volendo, delle manie di “persecuzione”: se entravo in un locale e la gente rideva per i fatti suoi, pensavo automaticamente che stesse ridendo di me.

Oggi vivo la relazione con il mio corpo in maniera abbastanza strana. Sto seguendo un percorso dietetico per perdere peso ma lo sto facendo solo per sentirmi bene: i disturbi del comportamento alimentare sono un argomento abbastanza complesso. Avevo la tendenza a ingrassare sin da piccola e seguivo una dieta già allora ma non c’era la consapevolezza di quello che stavo facendo: occorrerebbe maggior sensibilità nell’accompagnare un bambino in quel percorso, destabilizzante a livello sociale perché ti fa sentire escluso. Ricordo ancora la tristezza dei crackers a ricreazione quando gli altri mangiavano la pagnotta.

Corpi: Alcune illustrazioni di Wally Pain

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In Corpi si parla di tabù infranti. Cos’è per te un tabù?

Per me è tabù non esprimere i propri sentimenti e disagio tenendosi tutto dentro. Viviamo in una società che ci vuole sempre infallibili e forti e mostrare le proprie debolezze è diventato un tabù mentre non dovrebbe esserlo. Come non dovrebbe esserlo più la vita sessuale di ognuno: chiunque dovrebbe essere libero di viverla senza giudizi o repressione. Il contrario è anacronistico.

Cos’è per te il disegno?

A parte che vorrei che si concretizzasse sempre più come lavoro, il disegno è qualcosa che mi fa star bene e mi tormenta. C’è sempre dietro una ricerca spasmodica tesa a migliorarmi e al trovare un tratto che mi soddisfi di più. È qualcosa che non si esaurirà mai: non potrei mai sentirmi arrivata, sarei veramente finita.

Hai paura che possa accadere?

No, la mia maggior paura è quella di non riuscire a tenere ben saldi i piedi per terra e di non essere coerente. Sono una persona controversa, credo molto nelle mia capacità e soffro contemporaneamente nella sindrome dell’impostore, ma so che tutto quello che faccio lo faccio con il cuore. Se arriva anche un briciolo d’amore agli altri, sono molto contenta.

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