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Walter Rolfo: “La felicità delle persone al primo posto” – Intervista esclusiva

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Presidente della Fondazione della Felicità ETS, ingegnere e psicologo, coach ed esperto di processi percettivi, ex autore televisivo e mago detentore di 5 Guinness World Records, Walter Rolfo racconta a The Wom il suo ultimo libro nato con il desiderio di farci comprendere meglio il concetto di “ingegneria della felicità” nelle aziende. Ma anche nella vita di tutti i giorni.
Nell'articolo:

Le aziende felici lo fanno meglio *il budget è il titolo del nuovo libro di Walter Rolfo edito da Sperling & Kupfer. Si tratta di un titolo intrigante che porta alla luce un concetto rivoluzionario per il mondo delle imprese. Oggi, non basta più dire che i dipendenti sono al centro delle priorità aziendali; è necessario dimostrarlo concretamente. Con l’avvento dei social media, le persone sono più consapevoli e informate, e le aziende devono realmente prendersi cura del benessere dei propri dipendenti per evitare di perderli.

Walter Rolfo, nel suo nuovo libro, sottolinea come la felicità e il benessere dei dipendenti siano fondamentali per il successo di un’azienda. Le "Happy Companies" si distinguono per la loro capacità di creare emozioni e far sentire le persone apprezzate, sia sul lavoro che come clienti. Questo approccio empatico e umano rende le aziende più produttive e creative, mentre le aziende che non riescono a generare queste emozioni rischiano di essere sostituite da macchine o applicazioni.

Walter Rolfo tratta la felicità come una scienza misurabile, capace di migliorare l’organizzazione e il benessere economico delle imprese. Nel libro, attraverso storie personali, esempi di buone pratiche e strategie basate su ricerche scientifiche, offre un modello per misurare la felicità aziendale e individuarne punti di forza e debolezze con un linguaggio semplice e immediato.

Il libro, con la prefazione di Oscar Farinetti, è rivolto a imprenditori, manager e tutti coloro che lavorano in un’azienda. In un mercato sempre più competitivo, è essenziale far battere il cuore delle persone, emozionarle e rendere più piacevole la loro esperienza di consumo. Le "Happy Companies" si distinguono per la loro attenzione al benessere dei dipendenti e per la capacità di creare esperienze emozionanti per i clienti.

Il successo di un’azienda, secondo Walter Rolfo, deriva dall’equilibrio tra testa e cuore: ispirare fiducia, risolvere problemi e far risparmiare tempo (testa) e coccolare, stupire e far sentire unici (cuore). In un mondo dove la tecnologia avanza rapidamente, solo le aziende che mettono al centro l’umanità e l’empatia possono davvero distinguersi.

Walter Rolfo evidenzia nel suo testo che siamo entrati nell’era delle emozioni, che ci differenziano dalle macchine. Le aziende devono saper emozionare dipendenti e clienti, altrimenti rischiano di essere superate dalla tecnologia. In un contesto dominato dalla YOLO economy ("You Only Live Once"), le aziende devono valorizzare tutte le generazioni, ascoltare e dare importanza ai bisogni dei dipendenti, specialmente della Gen Z.

Infine, nel suo libro presenta una formula per misurare la felicità: GASP (Godersela, Accogliere, Sognare, Persone). Questa formula permette di calcolare la propria felicità e di agire per migliorarla. La felicità è una scelta quotidiana che richiede impegno, ma che porta enormi benefici sia personali che aziendali.

Walter Rolfo, con la sua esperienza di ingegnere, psicologo, coach e consulente, ha fondato la Fondazione della Felicità ETS per promuovere la felicità come fondamento di una vita piena e soddisfacente. Con il suo tour della felicità, ha coinvolto migliaia di persone, dimostrando che la felicità è un obiettivo raggiungibile e fondamentale per il successo. Come ci racconta anche in quest'intervista in esclusiva.

Walter Rolfo (Press: Andrea Mongini per Mongini Comunicazione).
Walter Rolfo (Press: Andrea Mongini per Mongini Comunicazione).

Intervista esclusiva a Walter Rolfo

Le aziende felici lo fanno meglio *il budget: un titolo che è di per sé molto intrigante…

Per anni, le aziende hanno dichiarato di mettere le persone al centro delle loro priorità ma viviamo n un momento storico per cui non possono più permettersi di fare greenwashing o happy washing, come l’ho definito io per millantare una felicità che le faceva apparire più appetibili sul mercato. I tempi sono cambiati: con i social media, le informazioni circolano rapidamente e le persone sono più consapevoli. Le aziende devono quindi realmente prendersi cura del benessere dei dipendenti, altrimenti rischiano di perderli.

Ci sono innumerevoli dati che dimostrano che le aziende che si occupano del benessere dei loro dipendenti ottengono migliori performance, meno assenteismo e maggiore produttività. Questo è il concetto centrale del mio libro: la felicità e il benessere dei dipendenti sono fondamentali per il successo aziendale.

Secondo te, qual è l'ostacolo principale per creare un'azienda felice? È possibile quantificare il costo della felicità?

Tutte le cose preziose hanno un costo, ma il costo della felicità non è solo economico. È soprattutto un costo in termini di attenzione e cura. Ci sono due tipi di fattori che contano in un’azienda: quelli igienici e quelli motivanti. I fattori igienici, come uno stipendio giusto e spazi di lavoro puliti, sono il minimo indispensabile. Ma per far sì che le persone siano realmente soddisfatte, bisogna investire in fattori motivanti, che richiedono tempo e dedizione.

Di recente, ho fatto una semplice ricerca al Politecnico di Torino chiedendo agli studenti cosa volessero da un ambiente di lavoro per sondare in ambito Gen Z il concetto di azienda felice. Spesso, le aziende sono convinte che basti dare ai giovani un progetto di welfare legati a temi ambientali o ecologici: va anche bene ma la realtà è che la gente non desidera altro che avere qualcuno che si prenda cura di loro.

Il costo, dunque, è un costo emozionale: consiglio ai manager di trattare i loro dipendenti con rispetto e di investire tempo per conoscerli e capire le loro necessità. Prendersi un caffè con un dipendente e chiedergli sinceramente come sta può fare una grande differenza. È importante creare un ambiente dove le persone si sentano apprezzate e supportate.

Come si può far capire ai manager con parole semplici?

Spesso, quando chiedono consulenza alla mia agenzia, rispondo in maniera diretta: non fatelo perché siete una bella anima ma fatelo pensando al profitto… Rispettare i dipendenti fa sì che la gente lavori anche in maniera differente e ciò li renderà più ricchi anche in termini economici. È questa una delle ragioni per cui il benessere del dipendente dovrebbe rientrare tra le priorità centrali.

 Oggi assistiamo anche a un confronto transgenerazionale interessante e per parlare ai giovani non occorre condividere la stessa lingua o avvicinarsi al loro linguaggio: occorre semmai avere dei valori che siano trasversali per guadagnarsi rispetto e attenzione. Di conseguenza, noi boomer, aspiranti tali o quasi, non dobbiamo avere l’ansia di dover parlare come i ragazzi e le ragazze per essere capiti: dovremmo semmai essere riconosciuti come il bravo capo che rispetta dei valori che non dipendono dall’età anagrafica: la correttezza, la lealtà, la meritocrazia, il rispetto o il prendersi cura.

Non credo che un manager possa essere bravo con un cinquantenne e scarso con un ventenne. Un bravo manager è tale se si relaziona allo stesso modo con tutti, in maniera giusta, corretta ed equa. Per fare un esempio, quand’ero a scuola, il professore che ha lasciato un segno maggiore su di me è stato colui che non ci trattava come dei bambini scemi o ci faceva fare quello che volevamo ma chi invece credeva in valori che non lo portavano a essere iniquo. Anche perché altrimenti il rischio è quello di aumentare la confusione: per adeguarci a una società che cambia velocemente, si rischia di non avere chiaro nemmeno dove andare.

La copertina del libro di Walter Rolfo.
La copertina del libro di Walter Rolfo.

Il lavoro contemporaneo ha però assunto anche forme che in passato non esistevano, come ad esempio lo smart working: rappresenta un ostacolo per le happy companies?

Lo smart working è una rivoluzione necessaria che sarebbe avvenuta entro il 2030 ma che è stata accelerata dalla pandemia che in tre mesi ci ha fatto fare un salto di ben otto anni. Ciò ha fatto sì che ce ne inebriassimo senza aver capito bene cosa fosse. Il problema fondamentale dello smart working è la mancanza di interazione fisica tra i dipendenti: le riunioni online sono efficaci, ma mancano le interazioni informali che avvengono di solito vicino alla macchinetta del caffè, dove si creano legami e si rafforza il senso di appartenenza.

C'è bisogno di un bilanciamento tra lavoro da remoto e incontri fisici per mantenere un ambiente di lavoro coeso e motivante: il rischio è quello di perdere la fidelizzazione delle persone. Lontano dagli occhi lontano dal cuore: le multinazionali non sono notoriamente delle onlus e, purtroppo, è forte la percezione che chiunque possa fare il lavoro di uno.

Credo fortemente nella componente sociale del lavoro. Lavorare non vuole dire prendere uno stipendio e produrre ma anche dare un senso alla propria vita, agli obiettivi, ai sogni, ai progetti… il diventare solo un animale da tastiera fa sì che a soffrirne sia il lavoratore, facendo del male non solo a se stesso ma anche all’azienda.

E per quanto riguarda la cura del datore di lavoro? Chi si prende cura di loro?

Essere un datore di lavoro è un po' come essere un genitore: ti prendi cura dei tuoi dipendenti come faresti con la tua famiglia, ascoltandone esigenze, fabbisogni e problemi non solo professionali ma anche personali. Ma non puoi aspettarti che i tuoi dipendenti si prendano cura di te nello stesso modo, sarebbe sbagliato: è un rapporto unilaterale. La gratificazione arriva dai successi collettivi e dalla crescita dei tuoi dipendenti. Un buon imprenditore deve trovare le risorse per ricaricarsi altrove, sapendo che il proprio ruolo è quello di supportare e guidare il team.

Eri consapevole di ciò quando ti sei ritrovato a far l’imprenditore?

Probabilmente a vent’anni non me la sarei sentita. Poi, crescendo, ho realizzato cosa significa gestire un gruppo: è un po’ come quando vai a far le passeggiate in montagna e qualcuno del gruppo si prende l’onere di portare sulle spalle lo zaino con i panini degli altri. Nel momento in cui decidi di gestire un gruppo hai la responsabilità di far sì che stia bene per stare bene tu stesso. Usando la metafora del film American Sniper, il cane da pastore si prende cura del gregge e lo difende dai lupi: un bravo imprenditore si prende cura della propria squadra affinché performi e fatturi. Se non si fattura, l’azienda smette di essere tale e si trasforma in semplice gruppo d’ascolto e non va bene.

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Dedichi questo libro ai tuoi genitori. È un modo per sottolineare quanto si siano presi cura di te?

Dedico il libro a mio padre e mia madre perché mi hanno insegnato valori fondamentali. Mio padre faceva il contadino e mi ha insegnato il valore del duro lavoro mentre mia madre, che rispetto a mio padre lavorava 25 ore al giorno, mi ha insegnato a essere felice con poco. Entrambi nati nel 1930, hanno lavorato duramente per tutta la vita e mi hanno amato a modo loro, secondo le capacità della loro generazione.

Non hanno mai usato parole dolci, complimenti o abbraccio, ma il loro amore era evidente nei gesti e nelle azioni. Dicono che l’affetto dei genitori si misuri in calorie e mio padre è colui che, quando vado a far loro visita, senza dirmi niente compra le croste di parmigiano perché sa quanto mi piacciano fritte: è il suo modo di dirmi “ti voglio bene”.

Una delle supercazzole gigantesche di cui vogliono convincerci è che la vita debba essere facile. Non lo è: ci sono momenti belli e brutti. Non è vero che tutto è perfetto e magnifico anche se non si fa nulla ed esistono anche i cattivi (non capisco perché ad esempio la Disney abbia cominciato a toglierli dai suoi nuovi film d’animazione, creando una illusione non veritiera), la malattia, la morte e la competizione.

E questo i miei genitori me l’hanno insegnato, così come mi hanno insegnato a sorridere mentre fatico: se sei fortunato, arriveranno dopo anche cose più semplici. E io sono grato loro per avermi insegnato la dedizione e il rispetto. Mio padre, ad esempio, non è mai mancato alla sua parola in vita sua: valeva più di una firma, anche se non è mai venuto a vedere una mia partita. Questo per dire che dovremmo imparare a guadare a quello che ci viene dato e non a quello che vorremmo.

Cosa ti restituiscono i tuoi interventi pubblici?

Gli interventi sono uno scambio di energia. Il palco è il posto che più preferisco del mondo: ho cominciato da piccolo a fare il mago perché cercavo fuori casa tutte le attenzioni che dentro non ricevevo, per sentirmi dire “bravo”. È stato solo con gli anni che ho capito che dovevo semplicemente divertirmi tanto che ho smesso di fare il mago e ho cominciato a fare interventi di coaching in cui non curo nessuno. Non sono un guru ma salgo su un palco perché voglio che almeno una delle persone che viene a sentirmi stia bene. Forse sono un po’ egoista in questo: lo faccio perché la gente mi regala le sue emozioni.

Hai mai trovato il modo di dirti "bravo" da solo?

Il mio "bravo" si riflette negli occhi delle persone che sono felici grazie a ciò che faccio. Non ho mai avuto bisogno di dirmi "bravo" da solo perché la soddisfazione viene dal vedere la felicità negli altri. È un tipo di gratificazione che viene dall'esterno, ma che per me è profondamente soddisfacente: è quello il mio “bravo”. Non mi sono mai fatto complimenti nella vita perché sono figlio di una famiglia in cui i complimenti non c’erano: non perché fosse anaffettiva ma perché venivano dati per scontati… di mio, oggi faccio invece i complimenti e le coccole alle persone che amo.

Walter Rolfo.
Walter Rolfo.
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