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Yile Yara Vianello: “Sogno di seguire ciò che mi fa star bene” – Intervista esclusiva

Yile Yara Vianello
Protagonista del film Il vento soffia dove vuole, presentato al Festival del Cinema di Porretta Terme, Yile Yara Vianello racconta il suo percorso di attrice ma anche i suoi sogni e le sue paure.

Yile Yara Vianello è protagonista insieme a Jacopo Olmo Antinori, Fiorenzo Mattu e Gaja Masciale di Il vento soffia dove vuole, il film di Marco Righi che, dopo essere stato presentato in concorso al Karlovy Vary Film Festival, approda in Italia nella prestigiosa cornice del Festival del Cinema di Porretta Terme. Giunto alla sua 22esima edizione, il Festival del Cinema di Porretta Terme, diretto da Luca Elmi in collaborazione con l’associazione Porretta Cinema terminerà sabato 10 dicembre dopo nove giorni di proiezioni, incontri e l’omaggio alla fotografa Luciana Mulas.

Tra i film del Concorso fuori dal giro, giunto alla XI edizione, spicca anche Il vento soffia dove vuole, in cui Yile Yara Vianello interpreta Marta, la sorella del protagonista Antimo (Antinori), un giovane devoto che, in un piccolo paese degli Appennini, vive una vita tranquilla tra la chiesa locale, i casti appuntamenti con la fidanzata (Masciale) e la stalla dove lavora pigramente con il padre (Andrea Bruschi). Tuttavia, l’incontro con Lazzaro (Mattu), un uomo semplice e selvaggio che lavora in una vicina fattoria, spinge Antimo a cercare di convertirlo ma la religione che comincia a insegnarli non è però quella che ha imparato al catechismo.

Portando una di fantasia che esplora temi sacri al Festival di Porretta Terme, Il vento soffia dove vuole è solo uno dei tanti progetti che hanno vista impegnata quest’anno Yile Yara Vianello, una delle giovani attrici più interessanti della sua generazione. In questi giorni, è possibile ad esempio ammirarla al cinema nel ruolo di Beniamina in La chimera, lo splendido film di Alice Rohrwacher, la regista ha scoperto Yile Yara Vianello quand’era ancora una bambina scegliendola come protagonista del suo altrettanto straordinario Corpo celeste.

All’epoca, Yile Yara Vianello aveva solo 12 anni, viveva nell’ecovillaggio degli Elfi (vicino Pistoia) e forse mai avrebbe sognato di diventare attrice, un lavoro che l’ha portata ad esempio a essere la protagonista di La bella estate, il film di Laura Luchetti che, tratto dall’opera di Cesare Pavese, oggi risuona più attuale che mai. Grazie alla presenza al Festival di Porretta Terme, abbiamo avuto modo di intervistare Yile Yara Vianello e di addentrarci nel suo percorso, cercando di capire ad esempio cosa sia per lei la recitazione.

Yile Yara Vianello.
Yile Yara Vianello.

Intervista esclusiva a Yile Yara Vianello

Nel film Il vento soffia dove vuole, Marta è la sorella del protagonista Antimo. Come ce la descriveresti? Cosa c’è di te in Marta e cosa Marta ha lasciato in te?

Marta è stata forse la sorella minore con cui non sono mai cresciuta. L’ho immaginata molto cercando la me del liceo: più schiva, silenziosa e con molta voglia di farsi gli affari propri - vista dallo sguardo dei miei fratelli. Mi aiutava a distaccarmi dalla storia di Antimo. Poiché di fatto, per gran parte del film il mio personaggio è un elemento diverso che osserva, che soffre anch’esso ma senza farne lo stesso motivo di estroversione

Il vento soffia dove vuole affronta come tema principale quello della fede, un argomento che torna nella tua carriera dopo l’esordio in Corpo celeste. Cos’è la fede per te? Quali domande ha sollevato in te il film mentre lo giravi? E quali sono state le indicazioni di Marco Righi a tal proposito?

Penso che la maggior parte delle persone nella propria vita cerchino una fede ceca per qualcosa, sia essa per la religione, l’arte, la famiglia, i libri, o lo sport, rinvigorisce l’animo e ci da la “certezza” di un’appartenenza alla verità. La fede per me è trovare la propria granitica convinzione in linea con i propri desideri più profondi, così da trovare le risposte ai dubbi esistenziali o poterne accettare la mancanza. Durante le riprese, pensavo al concetto di fede e di cristianità come si pensa alle favole sentite da piccoli, e lasciate andare poi nell’adolescenza. Per questo personaggio non c’è stato bisogno di sviscerare attentamente il tema con Marco, attraverso i vari tentativi arrivavamo a una versione comune cercando di non far mai trapelare troppo.

Sei cresciuta in una comunità molto particolare, nella Valle degli Elfi. Il film è ambientato in un posto meglio precisato degli Appennini. Ha avuto il luogo qualche risonanza in te?

Il paesaggio naturale degli Appennini è sempre un luogo che mi sa di casa, dove mi sento protetta e a mio agio, e viverci sotto l’occhio della macchina da presa mi ha fatto venire una gran voglia di mettermi dall’altra parte e scegliere io cosa guardare, come quando ti innamori di qualcosa.

Il vento soffia dove parla inevitabilmente anche di vita di provincia. Riguardando indietro al tuo percorso, la provincia o comunque la comunità ti ha privata di qualcosa? Eventualmente, di cosa?

Il tempo rallenta di qualche battito quando vivi fuori dalle città, lasciandoti lo spazio per esplorare e sentire meglio cos’hai intorno, la vita di provincia può essere molto legata alla natura, aiuta a crescere lontani dalla qualità nevrotica delle città

L’incontro tra Antimo e Lazzaro è al centro della storia del film. E anche la tua esistenza è stata stravolta da un incontro: quello con Alice Rohrwacher. Hai ritrovato la regista anche per La Chimera. Chi era Yile prima di Corpo celeste e cosa è rimasto di quella bambina in La Chimera?

Girare un film, soprattutto da molto giovani, è po’ come intraprendere un bel viaggio intenso e difficile, e quindi ti forma, ti influenza e ti cambia molto come qualsiasi esperienza importante. Sono le esperienze che inevitabilmente ti porti dietro qualunque percorso tu scelga, spero di non lasciare mai indietro la curiosità bambina che avevo allora, e che ho cercato nel personaggio di Beniamina.

Il vento soffia dove vuole: Le foto del film

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Il vento soffia dove vuole tratteggia anche un ritratto intimo e privato di famiglia. Com’è stata la tua famiglia? Come è stata accolta la decisione di dedicarsi poi alla recitazione?

Ho la fortuna di essere cresciuta in una famiglia sensibile e piuttosto indipendente, ugualmente avrebbero accolto la decisione di aprire una gelateria in paese, per esempio, se fosse stato qualcosa di stimolante che mi piaceva e che mi avrebbe fatta stare bene.

Cos’è per te la recitazione?

La recitazione è uno dei mezzi che ho per conoscere me stessa e la vita che ho intorno. Simulare emozioni e sentimenti, le reazioni ai vari contesti, mettere in scena, è qualcosa di intensamente reale e complesso. Per me è necessario capire i personaggi di finzione con cui lavoro, come se fossero reali, passarci del tempo, conoscerli e mettermi nei loro panni. Per questo penso che recitare sia profondamente educativo.

Qual è l’ostacolo maggiore che hai dovuto affrontare a livello professionale per affermare la tua autodeterminazione?

L’ostacolo maggiore è stato sempre quello di superare i limiti, le barriere che si erigono per proteggere la propria emotività, per andare oltre e scoprirne di nuovi.

In La bella estate di Laura Luchetti affronti una scena di nudo integrale davanti agli occhi del tuo collega Alessandro Piavani. Che rapporto hai con il tuo corpo? È stato complicato denudarsi non solo psicologicamente per Ginia ma anche fisicamente?

È il rapporto che ho con me stessa, non ne farei differenze. Non mi piace pensare che “si possiede” il proprio corpo; quindi, crollare emotivamente o spogliarsi davanti a qualcuno rimangono sullo stesso piano, quando si parla di lavoro. In questo caso, basta che il contesto sia professionale e attento, per far sì che la difficoltà della scena sia la stessa che nello “scoprirsi” a livello emotivo, e così è stato.

La bella estate: Le foto del film

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Ti abbiamo appena vista a Torino nel docufilm I 400 giorni. Che esperienza è stata? Cosa rappresenta per te il tuo agente?

Purtroppo, non sono riuscita a partecipare né a vederlo per ora. Ancora non saprei dire qual è l’agente ideale, ma di certo è un rapporto che presuppone una grande fiducia, a cui mi affido delegando tutto ciò che si discosta dalla parte creativo artistica per potermi concentrare solamente su quella. È lo stesso agente a guidarmi nelle scelte professionali e ad immaginare con me un percorso a lungo termine che mi sia adatto, una linea da seguire

Da giovane attrice, hai la percezione che il cinema sia maschile? È un problema di sguardi o di dinamiche di potere?

Non è più ammissibile parlare di “percezione”, quando il patriarcato è un sistema sociale che influenza strutturalmente tutta la nostra vita nella quotidianità. È quindi un problema strutturale, che ha origine nell’educazione familiare, nei modelli di comportamento sociale, nella scuola, in tutti quei luoghi che attraversiamo e che ci formano e educano, spesso a nostra stessa insaputa. Chi può pensare che il cinema non faccia parte di quei luoghi, visto che è abitato dagli stessi uomini e le stesse donne educate dal sistema in cui viviamo?

A proposito di comunità non conformi, hai preso parte al film L’anno dell’Uovo, in cui la tua Gemma persegue il desiderio di un modello di vita diverso da quello imposto dalla frenesia della moderna società. Qual è invece il modello di vita oggi di Yile Yara Vianello?

Vivo a Roma ormai da due anni, a contatto con quella frenesia più spesso di quanto vorrei; quindi, appena posso salgo su un treno e vivo altri spazi. In questo senso le trasferte per lavorare sono ottimi pretesti per incuriosirsi e farsi rapire da un luogo diverso.

L'anno dell'Uovo: Le foto del film

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Ansie, paure e sogni. Quali sono i tuoi?

Sogno, spero di poter seguire sempre ciò che mi fa stare bene, che un giorno la scuola sia il luogo che si prefigge di essere anziché una fabbrica di traumi e attentati al senso critico e alla salute mentale, ho paura che non verrà mai quel giorno finché sono in vita e l’ansia di dover fare qualcosa visto che potrei, come tutti quelli che hanno i miei privilegi o ne hanno di maggiori.

Senti mai addosso il peso delle aspettative? Cosa chiedi a te stessa?

Come non sentirle? È un gran peccato, ma l’iper-produttività che richiede il nostro modello culturale permea tutte le attività sociali, lavorative, educative, etc.., uccidendo la creatività e la qualità della vita. Quello che chiedo a me stessa è di coltivare il buon senso e l’empatia, che spesso ci salvano da queste situazioni, e di non abbandonarmi a quelle aspettative.

Tra fidarsi e affidarsi, cosa scegli di fare su un set?

Credo sia necessario fare un po’ entrambe, per viverlo nel migliore dei modi. Immagino che alle volte non sia possibile farlo davvero, ma dipende molto dal grado di umanità nei rapporti.

Yile Yara Vianello.
Yile Yara Vianello.
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