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Yonv Joseph: “C’è ancora domani per capire che siamo tutti uguali” – Intervista esclusiva

Yonv Joseph
In C’è ancora domani, il film di Paola Cortellesi, Yonv Joseph interpreta William, il soldato che aiuta la protagonista nella sua lotta contro il patriarcato. Abbiamo raggiunto l’attore e musicista per un’intervista esclusiva in cui scopriamo il suo percorso e chi è.
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Yonv Joseph è per tutti Willian, parafrasando il modo in cui Delia, il personaggio interpretato da Paola Cortellesi nel suo C’è ancora domani, storpia il nome del soldato americano William. A lui spetta il compito di aiutare la donna a far esplodere il bar appartenente alla famiglia del fidanzato di Marcella, la figlia della protagonista, per rompere una tradizione di maschilismo e patriarcato che da troppo tempo va vento.

E sul perché Delia in C’è ancora domani si rivolga a William Yonv Joseph non ha alcun dubbio, smorzando qualche polemica che qualche mal intenzionato ha fatto nascere sul web soprattutto sui forum di presunti cinefili: William è l’unica autorità con cui Delia è entrata in contatto, oltre che l’unico a mostrarle, senza nemmeno conoscerla, un briciolo di gentilezza e umanità.

Umanità è una parola che ritorna spesso nel nostro incontro con Yonv Joseph: chiaramente la nostra conversazione parte da C’è ancora domani e concentricamente si allarga ad altro, a partire dal colore di pelle dell’attore e musicista. Sì, musicista: Yonv Joseph è partito infatti dagli Stati Uniti, con una delle sue due mamme, per studiare all’Accademia Santa Cecilia quando un incontro casuale ha deciso per lui quale strada parallela affiancare al suo amore per il pianoforte.

Quello che ne è seguito su Zoom è stato un incontro che ha rivelato quanto riservato sia ad esempio Yonv Joseph ma anche come in lui è vivo il desiderio di un “c’è ancora domani” che aiuti il genere umano stesso a non creare barriere e muri affinché il potere dell’amore sia più forte dell’amore per il potere.

Yonv Joseph.
Yonv Joseph.

Intervista esclusiva a Yonv Joseph

Come ci si sente ad avere preso parte a un film come C’è ancora domani, in grado di incassare a oggi oltre 30 milioni di euro?

Sono molto fortunato e sono, soprattutto, molto, molto contento per Paola Cortellesi, a cui non smetterò mai di dire grazie. Questo è un periodo per me molto particolare perché ci sono tante persone, soprattutto sui social, che non conosco e che mi scrivono per farmi i complimenti. Ed è molto importante per me: come capita spesso a tutti noi attori, si vivono periodi in cui si pensa di mollare e di non proseguire più con questo lavoro. Però, ecco, il trovarsi di fronte a sconosciuti che sono così gentili e felici per te dà la forza di andare avanti e di superare le difficoltà.

L’esperienza sul set è stata bellissima. È stato un set guidato dall’amore e dal rispetto sia verso Paola sia verso il progetto. Non volevo quasi più andarmene: quando ho finito le mie riprese, sono tornato almeno tre volte per vedere come proseguivano. E, quindi, vivo ora il tutto considerandomi molto fortunato: sono contento prima per Paola, poi per tutti i compagni di avventura e poi per me.

La gente ti riconosce in quanto William o come “Devoannà”?

Come William. Anzi, più precisamente come “Willian”, il modo in cui mi chiama la protagonista Delia.

Paola Cortellesi e Yonv Joseph nel film C'è ancora domani.
Paola Cortellesi e Yonv Joseph nel film C'è ancora domani.

A proposito del tuo personaggio, quello del soldato americano che aiuta Delia a liberare la figlia dalla presa di un matrimonio che potrebbe rivelarsi una gabbia, è nata una piccola polemica pretestuosa sul fatto che la regista abbia affidato all’unico nero del film un atto criminale.

Se mi si chiede se quello fosse l’unico modo per aiutare Delia, rispondo che secondo me avrebbero potuto esserci altre possibilità. Tuttavia, Delia doveva distruggere quel bar per essere certa di liberare la figlia dal fidanzamento. Il fatto che William sia nero non è rilevante: si rivolge a lui perché è un soldato americano e, come tale, aveva la possibilità di far quel gesto senza che si creassero ulteriori ripercussioni o problemi. Non c’è nessun elemento discriminatorio alla base: William è la sola forma di autorità con cui Delia ha creato un rapporto basato sulla gentilezza.

Ti ritrovi oggi a far l’attore ma, in realtà, sei arrivato dagli Stati Uniti in Italia per studiare musica a Roma, all’Accademia Santa Cecilia. È stato facile lasciare il mondo in cui sei cresciuto?

Sono arrivato dalla Florida per studiare composizione e pianoforte. La recitazione è arrivata quasi per caso: mi aiuta a mantenermi negli studi, a pagare la scuola e a vivere a Roma. Con me, solitamente, c’è mia madre (anche se in questo momento è negli Stati Uniti e sono da solo). Se è stato facile? Non sono così legato alle città o a un posto: mi sposto senza problemi.

Come ti sei trovato in Italia, nel Paese in cui in molti sostengono il “prima gli Italiani”?

Sono americano e anche negli Stati Uniti vale il “prima gli americani”: nasce forse dal desiderio di tutti quanti di vivere in tranquillità senza la paura dell’altro. Non mi soffermo a pensarci molto: per me, ciò che più conta è studiare e fare musica. Mi sono ritrovato a far l’attore e mi piacerebbe fare ancora di più e avere la possibilità di andare avanti. Il resto non conta.

Yonv Joseph.
Yonv Joseph.

È sempre stato facile per te camminare per le strade d’Italia? Il tuo colore di pelle ti ha mai causato problemi?

Accade ovunque che mi causi problemi. Accadeva anche negli Stati Uniti, dove andava anche peggio che in Italia, dove magari spesso le persone mi guardano semplicemente perché pensano che sia carino o perché mi hanno visto al cinema o in televisione. In America, invece, il colore di pelle è sempre stata una discriminante importante per via della storia che il Paese si porta dietro e che ha ancora ripercussioni sul presente. Mi piacerebbe che si capisse finalmente che non è il colore della pelle a far la differenza: il colore è un fatto biologico e non implica conseguenze sull’intelligenza o sulla bontà di carattere… non mi dà niente in più o meno rispetto all’essere bianco. È una questione di umanità: non si possono definire le persone in base al loro aspetto e non si può, per sentirsi meglio, cercare sempre di prevaricare su qualcun altro.

Quanti anni avevi quando hai cominciato a suonare il piano?

Ho cominciato relativamente tardi. Non ero un bambino, avevo qualcosa come 19 anni.

Cosa ti dà il pianoforte? Quali emozioni ti restituisce?

Con la musica, riesco a comunicare meglio. A me non piace molto parlare proprio perché comunicare è complicato, è difficile trovare le parole giuste: anche quando pensi di averle trovate, spesso si rivelano sbagliate. Con la musica, tale problema non esiste: non ci sono barriere di alcun tipo, posso comunicare quello che sento. La musica non è invadente: lascia spazio all’interpretazione del pubblico, chiunque può interpretare quello che sto suonando come vuole. Si crea una conversazione tra me e gli ascoltatori, ponendo le basi di quella comprensione più intima che a parole non trovo: non crea problemi o distorsioni tra me e gli altri. Quando non suono o non pratico basket, l’altra mia grande passione, preferisco rimanere molto riservato.

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È qualcosa che ritrovi anche nella recitazione? Chi è stato a scoprirti come attore?

Recitazione e musica per me sono sullo stesso piano. A scoprirmi è stato per caso una signora, non avendo chiesto il permesso di citarla, la chiamiamo semplicemente con le sue iniziali, GF. Mi ha visto e mi ha chiesto se avessi voglia di fare l’attore: non avevo mai pensato alla possibilità ma d’istinto ho detto di sì. Sono stato così mandato a sostenere un provino per una pubblicità. Mi hanno preso. Il regista (Niccolò Falsetti, ndr), sorpreso dal fatto che non avessi alcuna esperienza, è rimasto molto colpito: lui e il suo assistente hanno persino provveduto a cercarmi un agente perché avevano intravisto qualcosa in me, un talento, e hanno voluto aiutarmi. Ancora oggi siamo molto amici…

Quel regista ha dimostrato di averci visto lungo. Hai poi lavorato in diversi progetti e ti vedremo prossimamente anche nel thriller Revival, nella serie tv Fuochi d’artificio diretta da Susanna Nicchiarelli e nel live action, attesissimo, Gormiti. Secondo te, cosa vedono i registi in te per sceglierti? Quale particolarità ti riconoscono?

Quando ho terminato ad esempio le riprese di Gormiti, parlando con uno dei registi, mi ha rivelato di essere stato molto contento del lavoro che avevo fatto. Ho risposto che mi ero divertito tantissimo e ha replicato sottolineando che lo aveva visto. Non sono una star, non ho l’ego per dirlo o per affermarlo, ma cerco ogni volta di mettere tutta la mia energia in quello che faccio e ciò, a detta di chi mi dirige, si vede e fa la differenza. Ripeto, mi sento molto fortunato a fare questo lavoro: l’unica cosa che chiedo è che mi paghino per tempo, solo quello (ride, ndr). Sono una persona molto tranquilla sul set, cerco di essere rispettoso del lavoro di tutti e nei confronti di tutti, e mi diverto.

Yonv Joseph.
Yonv Joseph.

Ad accompagnarti in Italia è stata tua madre. Che rapporto hai con lei?

Rispondo solo perché anche a lei ho chiesto se ne potessi parlare: è molto più riservata di me. Io ho due mamme (una biologica e una adottiva, ndr). Tra noi tre, c’è un rapporto molto stretto: ci sentiamo ogni settimana, scherziamo in continuazione e ci vogliamo molto bene… è un rapporto di grande complicità, quasi amicale.

Chi sono stati i primi amici che hai trovato a Roma quando sei arrivato? Chi ti si è avvicinato senza temere nulla e senza pregiudizi?

Tutte le persone con cui ho giocato a basket nel quartiere San Lorenzo. C’è lì un campo che frequentavo tutti i fine settimana ed è lì che ho trovato i miei primi amici italiani. Quando vado in un posto per me nuovo, cerco sempre un campo da basket nelle vicinanze: è il mio sport preferito (e lo sport di squadra è condivisione), potrei giocare in qualsiasi ruolo ma preferisco quello di guardia.

C'è ancora domani: Le foto del film

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C’è ancora domani sul finale affronta una tematica decisiva: per essere liberi occorre anche poter esprimere il proprio voto. Votare per te è sinonimo di libertà?

Sì, ce lo ha insegnato la storia. Spesso la gente pensa che non lo sia ma è fondamentale per tutto ciò che riguarda la sfera sociale.

Qual è secondo te la peggiore ingiustizia sociale con cui ci confrontiamo tutti i giorni?

Devo sceglierne solo una (ride, ndr)? La lista potrebbe essere lunghe ma al primo posto metto sempre il razzismo. Al secondo posto, neanche a dirlo, la violenza nei confronti delle donne e la disparità di trattamento legata al genere sul lavoro: è intollerabile che, a parità di posizione, le donne vengano pagate di meno per un lavoro che magari svolgono anche meglio degli uomini. Proseguendo, direi che occorre anche garantire libertà di movimento su questo pianeta e dare a ognuno la possibilità di migliorare la propria posizione per provvedere a se stesso e alla propria famiglia. Ma ci sono anche l’emergenza climatica, di fronte alla quale non possiamo rimanere indifferenti, e seri problemi legati al cibo.

Si tratta di tematiche e problematiche tra loro connesse, figlie dell’amore per il potere… purtroppo, per i politici accade spesso che l’amore per il potere sia più forte del potere dell’amore. Si fa tutto per il primo e nulla per il secondo, contribuendo alla crescita di ogni ingiustizia o problema sociale.

Muoversi liberamente nel mondo… In questo momento, c’è un film italiano candidato ai Golden Globe, Io capitano, che parla proprio di questo.

L’ho visto. La storia di quei due ragazzi non appartiene al passato, non è un film d’epoca: quello che racconta è qualcosa che accade oggi. Pur non vivendo una realtà tragica, quei due giovani africani sognano di arrivare altrove per cercare e vedere altro da quello a cui sono abituati: è qualcosa che risuona fortissimo in me, anche il quartiere in cui vivevo io in Florida non era proprio bellissimo. Certo, il mio viaggio è stato differente dal loro ma so, per averne parlato con chi quel viaggio dall’Africa all’Italia lo ha affrontato e vive con il sorriso per esserselo lasciato alle spalle senza portarsi dietro rabbia, quanto il loro sia realistico.

La storia di Garrone è un riflesso della realtà di fronte al quale sono rimasto senza parole: sebbene i toni in certi momenti siano anche leggeri, ho sentito il peso di ciò che i protagonisti vivono e, quando arrivano a Lampedusa, avevo il cuore spezzato per loro perché pensavo a cosa sarebbe accaduto dopo… loro erano felici di vedere terra perché non consapevoli di ciò che li attendeva. Capisco le difficoltà politiche legate all’accoglienza ma c’è una cosa che tutti dovrebbero ricordare: siamo tutti uguali. Spesso la gente non ha idea di chi sia l’altro, l’immigrato: Io capitano mostra chi è, da dove viene, come ha vissuto, la famiglia e gli amici che ha lasciato solo per cercare di vivere meglio e concretizzare un sogno. Come chiunque altro, come tutti.

Yonv Joseph.
Yonv Joseph.

Quali sono le tue più grandi paure? E i tuoi sogni?

Non ho grandi paure perché ho già vissuto la più grande di tutte: perdere mia nonna. Il mio sogno? La mia mamma biologica non ha mai potuto fare una vera vacanza in vita sua: mi ha messo al mondo da giovanissima, ha lavorato per tutta la vita senza prendersi mai una pausa e vorrei un giorno ritrovarmi in una posizione tale da guadagnare abbastanza per aiutarla a staccare dalla sua quotidianità, senza dover pensare costantemente a come sopravvivere in questo mondo. Dopo averlo fatto, potrei anche morire ma con il sorriso stampato in volto.

Sorriso… cosa ti fa sorridere oggi?

Ho scritto e diretto una serie, Fangs, un prodotto indipendente low budget con attori italiani neri e non. Tutti quanti abbiamo lavorato con un solo obiettivo: volevamo che ci fosse un qualcosa che raccontasse e mostrasse come siamo realmente, come viviamo e chi siamo. Mi fa sorridere tantissimo che lo abbiamo fatto non per diventare ricchi e famosi ma solo per sentirci orgogliosi: è fondamentale per chiunque riconoscersi sullo schermo e vedersi rappresentato sotto una luce positiva. Solo con l’impegno potremmo riuscire a cambiare lo stato delle cose ed essere visti sotto un’ottica differente, “normale”.

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