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Zuzu: “Libertà è seguire il proprio istinto” – Intervista esclusiva

Zuzu
Partendo dalla sua esperienza nel programma Play Books, la fumettista Zuzu si racconta a The Wom: dalle paure al sessismo alla scelta di essere vegana.
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Zuzu, pseudonimo di Giulia Spagnulo, è una delle voci più interessanti e innovative nel panorama del fumetto italiano contemporaneo. Nata a Salerno, ha scoperto il mondo del fumetto d’autore durante l’ultimo anno di liceo classico, un incontro che ha segnato profondamente il suo percorso artistico. Dopo aver terminato le superiori, si è trasferita a Roma per studiare Illustrazione allo IED, dove si è laureata nel 2017. Il suo nome d’arte, Zuzu, deriva dal soprannome affettuoso che suo padre le dava da bambina, un legame con l'infanzia che continua a ispirare la sua creatività.

Il debutto di Zuzu con Cheese nel 2019 l’ha consacrata come la più giovane autrice mai pubblicata dalla casa editrice. Cheese, nato come tesi di laurea, ha ricevuto recensioni entusiaste e numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio di Satira politica di Forte dei Marmi e il Premio Cecchetto come Autore Rivelazione. Il fumetto, supervisionato da Gipi, riflette il "furore giovanile" e la straordinaria capacità narrativa di Zuzu, caratteristiche che continuano a distinguere il suo lavoro.

In questa intervista esclusiva, Zuzu ci parla del suo approccio unico al mondo del fumetto, delle sue esperienze nel campo e del programma Play Books, la produzione Rai Contenuti Digitali e Transmediali che le ha permesso di riscoprire il fumetto non solo come autrice ma anche come lettrice. Play Books è per lei un modo per esplorare nuovi strumenti, scoprire nuovi libri, fumetti e film, e condividere questa passione con un pubblico sempre più ampio. Ma questo è solo il punto di partenza…

Zuzu (foto di Maria Clara Clarì).
Zuzu (foto di Maria Clara Clarì).

Intervista esclusiva a Zuzu

Come descriveresti il programma Play Books e cosa significa per te?

Play Books per me è un modo sia per scoprire nuovi strumenti che per esplorare tantissimi libri, fumetti e film. È come avere un amico appassionato che ti consiglia cosa leggere o guardare. Ho sempre amato ricevere consigli piuttosto che trovare libri da sola. Inoltre, è anche un modo per rileggere e rivedere ciò che conosci attraverso gli occhi di qualcun altro: parliamo spesso di libri o di fumetti che magari chi segue il programma conosce già ma noi cerchiamo di offrire una chiave di lettura diversa, uno sguardo su un aspetto specifico piuttosto che un altro. I temi delle puntate rendono ogni discussione su un libro o un fumetto davvero unica, offrendo una nuova prospettiva su opere già note.

Questo programma mi ha permesso anche di riscoprire il fumetto come lettrice, distaccandomi dal mio ruolo di fumettista e apprezzando il lavoro degli altri in modo più oggettivo. Sono una fumettista e nel leggere per la prima volta le creazioni altrui ho dovuto mettere da parte il mio lato professionale che nota alcuni dettagli in modo quasi utilitaristico. Forse questo è anche il motivo per cui in vita mia non ho mai letto tanti fumetti: non mi piace farmi influenzare troppo: mi piace semmai dare spazio alla mia immaginazione per creare qualcosa di nuovo. E, anche se non ci riesco, mi piace coltivare l’illusione di farlo.

“Non hai mai letto molti fumetti”: sembra un po' un controsenso per una fumettista, che di solito introietta molto materiale prima di dare vita al proprio.

Non è stato il mio caso e credo sia stata anche una fortuna perché quando ami tantissimo un genere corri il rischio, quando ti cimenti tu con lo stesso, di caricarlo di una tale aspettativa da non riuscire a lasciarti andare completamente, a raccontare quello che vuoi veramente nel modo in cui lo desideri. Se avessi letto tanti fumetti prima di scrivere il primo, Cheese, sicuramente mi sarei lasciata condizionare da ciò che amavo ma sarebbe stato rischioso: non è detto che quello che ti piace leggere sia poi quello che ti piace fare. A volte, ci piace leggere anche cose che sono molto lontane.

Questo mi ha dato la libertà di trovare il mio stile senza preconcetti. Ora che sono più consapevole del mio stile, mi sento libera di leggere quello che voglio senza il timore di essere troppi condizionamenti. Ora che sono più consapevole di quello che mi piace scrivere e di come farlo, sono anche libera di leggere ciò che voglio: il rischio è oramai scongiurato. Ma sarebbe stato alto nel caso dell’opera prima quando hai tutte quelle storie dentro che vorresti raccontare, non sai a quale dare priorità e come realizzarla. Probabilmente, da non appassionata mi sono sentita più libera io di altri.

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Spesso tante idee spostano l’attenzione da quella principale ad altre: come hai dato ordine ai pensieri per il primo fumetto?

A volte succede che vorresti raccontare qualcosa e finisci invece con lo scrivere altro. Nel mio caso, mi ha aiutato molto avere una scadenza: era la mia tesi di laurea. Avendo a disposizione solo un mese e mezzo, ho dovuto concentrarmi su cosa avesse maggiore importanza. Un po’ come quando un aereo sta per cadere e puoi permetterti solo una telefonata, devi fare una tua scelta e fidarti del tuo istinto. Sembra facile ma spesso la difficoltà consiste proprio nel riuscire ad ascoltarlo e seguirlo.

Il fumetto è un medium e spesso racchiude molto della biografia di chi lo realizza.

È la vita che viviamo la cosa più interessante di tutte. Chi scrive, vive due volta: la sua vita vera e quella del racconto, due esistenza che comunicano e scorrono in parallelo.

E non rende l’esistenza più complicata?

Tutti i giorni (ride, ndr). Ma è l’aspetto più bello del mio lavoro. Di fronte ai problemi legati alla sicurezza economica o alla concezione di un mestiere che viene visto come un hobby, tutto perde di importanza quando hai la fortuna di vivere più vite. Per me, il fumetto ha il valore del rifugio, del luogo sicuro a cui tornare ogni giorno.

Quando hai realizzato che il fumetto sarebbe stata la tua strada e non un hobby?

Durante l'ultimo anno di liceo, quando ho anche scoperto l’esistenza dei fumetti intesi come autoconclusivi, quelli che tutti chiamano graphic novel. Mi stavo chiedendo cosa volessi fare nella vita, non avevo ancora le idee chiare (l’aver frequentato il liceo classico non mi aveva portata ad approfondire la mia passione per il disegno). Ho fatto allora una lista delle cose che mi piacevano e in maniera metodica ho cominciato a spuntare quelle in cui non mi vedevo per tutta la vita: alla fine, erano rimaste scrivere e disegnare. Non riuscivo ancora a unirle perché non pensavo al fumetto…

Ho scelto poi di frequentare lo IED e di seguire il corso di illustrazione per migliorare le mie capacità di disegno: la mia insicurezza più grande era, prima ancora che scrivere, di non sapere disegnare. I miei genitori sono sempre stati molto supportivi, nonostante le aspettative della società di fare lavori considerati più "seri". Ricordo ancora quando i miei professori al liceo mi chiesero cosa avrei fatto dopo la maturità e rimasero scioccati dalla mia decisione di iscrivermi a un corso di illustrazione, dicendomi che con la mia intelligenza avrei dovuto fare medicina o legge.

Ma io ero determinata a seguire la mia passione e forse in qualche modo ero anche predestinata: già da piccola, in viaggio a Venezia, davanti a un cartellone pubblicitario dello IED mia madre nel guardarlo mi disse “chissà, magari da grande ti interesserà”. Aveva intuito che mi piaceva creare cose. Tuttavia, lo sottolineo, ho avuto la fortuna di avere due genitori che mi hanno lasciata libera di scegliere, qualcosa che mio padre e mia madre non hanno invece potuto fare.

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È stato semplice il tuo percorso di affermazione come donna nel mondo del fumetto?

All'inizio, forse per la mia ingenuità, non mi sono mai sentita diversa in quanto donna, anche perché il mondo del fumetto autoriale è molto femminile rispetto ad altri generi: sono entrata in un universo quasi “protetto”, dove le autrici hanno lo spazio che si meritano e la possibilità di essere pubblicate. Tuttavia, alcune esperienze nel corso degli anni mi hanno fatto capire, infastidendomi, che il sessismo è presente. Ma da donna ci ho fatto l’abitudine: non dico che va bene ma, purtroppo, fa parte dell’esperienza di essere donna.

Mi chiedono spesso ad esempio perché parlo di sesso nei miei fumetti, mentre non vedo la stessa insistenza sul coraggio che serve nel farlo nelle interviste agli uomini. Mi sono resa conto che ci sono aspettative diverse quando una donna affronta certi temi. Ma penso che sia importante continuare a parlare di queste cose, anche se a volte può essere scomodo: non c’è niente che faccia più paura di una donna che parli di sesso, è una combo micidiale!

I riconoscimenti arrivati ti hanno in qualche modo agevolata?

No. Dopo Cheese per un bel po’ di tempo non sono riuscita a lavorare o a creare: i premi mi hanno bloccata tantissimo a livello psicologico. Mi hanno spaventata molto le aspettative: non mi sentivo per niente all’altezza. Non è finta umiltà ma verità: la classica sindrome dell’impostore. Non essendo stata una divoratrice di fumetti, al mio primo lavoro mi sembrava spropositata e incongrua l’attenzione che avevo ricevuto.

Con il senno di poi, erano giusti i riconoscimenti ma in quel momento mi sono sentita sovraccaricata, cominciando anche a pensare al lettore. E non c’è niente di peggio che possa capitare a chi scrive di immaginare la voce o lo sguardo della persona dall’altro lato: pensare alla sua reazione limita la tua creatività. Il sentire invece i possibili commenti nella mia testa mi ha impedito di scrivere fino a quando il realizzare una storia breve per una rivista americana mi ha sbloccata. È in quel momento che ho capito che scrivere e disegnare continuava a piacermi e che era più importante del pensiero di chi avrebbe poi letto la storia: era per me quella la parte entusiasmante, non quello che arrivava dopo la pubblicazione.

Pubblicare un lavoro è quindi una liberazione. Che significa per te la parola libertà, un tema che ricorre spesso nei tuoi lavori?

La libertà per me è seguire il proprio istinto, è ciò che di più importante abbiamo ma spesso è molto sottovalutato. Credo sia fondamentale ascoltarlo e seguirlo: spesso ci illudiamo di essere esseri razionali, ma l'istinto gioca un ruolo cruciale nelle nostre decisioni. La vera libertà, secondo me, è poter ascoltare e seguire quell'istinto senza essere ostacolati da paure o pregiudizi.

E da donna in Italia ti senti libera?

No, per niente. Ad esempio, da adolescente amavo uscire di notte, ma ora la paura mi condiziona. Non mi sento sicura come lo ero prima di certe esperienze che mi hanno impaurita. È triste, ma è la realtà: mentre da ragazzina aprivo la porta di casa per camminare per strada, oggi non posso più farlo. La paura mi impedisce di seguire quello che vorrebbe il mio istinto, vivere quella parte del giorno che è la notte, e per me è a volte anche molto deprimente.

Zuzu in Play Books.
Zuzu in Play Books.

Pensi che la paura possa essere superata?

Ci sto provando, ma quando lo faccio succede, incredibilmente, qualcosa che mi fa tornare sui miei passi. Una volta, ad esempio, ho provato a uscire di notte: non riuscivo a dormire e volevo parlare con qualcuno. L’ho fatto, sono stata ferma a chiacchierare con un senzatetto ma dopo qualcuno ha cominciato a seguirmi: ho dovuto chiedere aiuto. E ciò mi ha fatto ripassare la voglia di ritentarci un giorno.

Che qualcuno ti abbia aiutato è segno che forse stiamo riscoprendo un po’ di senso civico.

Credo molto nella bontà degli altri, tendo a vedere più il buono che il brutto nelle persone, ma la verità è che sono diventata fifona.

Incanalare la tua paura nei fumetti, no?

Di solito scrivo di cose che riesco a vedere da fuori: quelle che ho dentro non riesco a raccontarle. Non ho forse ancora introiettato la paura e non riesco a osservarla dall’esterno ma arriverà il giorno in cui ci riuscirò e potrò raccontarla.

Ti sei mai sentita diversa nel tuo percorso personale?

Sì, e sbagliavo. È solo crescendo che ho capito di non esserlo perché erano in tanti a provare ciò che io stessa provavo. Realizzarlo mi ha aiutata sia nella crescita personale sia nelle relazioni con gli altri perché quel senso di isolamento che avvertivo non era solo mio. Pensare che nessuno potesse capirmi non mi aiutava né a stare meglio né a stare bene con chi mi circondava.

A proposito di rappresentazione e rapporto con gli altri, hai mai ricevuto messaggi da lettori che si sono riconosciuti nelle tue opere?

Sì, tantissime volte. Mi ha sorpreso e commosso vedere quante persone si riconoscevano nelle mie storie, nelle mie emozioni e nelle mie paure. Non mi aspettavo che così tante persone di qualsiasi età e distanti da me per background mi scrivessero per dirmi che i miei fumetti li avevano aiutati a sentirsi meno soli. Mi ha particolarmente colpito, ne ero felicissima e mi ha dato molta gioia e motivazione per continuare a creare.

Zuzu in Play Books.
Zuzu in Play Books.

A cosa si deve Zuzu, il tuo nome d’arte?

Mio padre mi chiamava così da piccola. Ho voluto mantenere questo soprannome perché il disegnare e creare sono legati alla mia infanzia e alla parte di me che avevo paura di perdere crescendo. Per me, avere un nome d'arte legato a quel periodo della mia vita è un modo per mantenere viva quella parte creativa e spontanea di me.

Sei ottimista riguardo al futuro?

Non molto. Non credo nel concetto di progresso come inevitabile, dell’uomo si eleva solo con lo scorrere del tempo e delle esperienze maturate tant’è che spesso la storia è ciclica: torniamo indietro su molte cose e ciò che crediamo di esserci lasciati alle spalle accade nuovamente... non abbiamo spesso la capacità di fare nostra l’esperienza di chi è venuto prima.

Cerco, quindi, di essere realista e di non farmi troppe illusioni: non mi illudo di una società incredibile e meravigliosa in un futuro chissà quanto ma spero nei cambiamenti, così come ce ne sono stati, anche se i cambiamenti purtroppo non sono mai definitivi.  Tuttavia, questo non mi rende una persona pessimista: nonostante i limiti che abbiamo come genere umano, vivo con l'idea che possiamo fare dei piccoli cambiamenti, ma senza aspettative troppo elevate. Sono molto realista, un’osservatrice della realtà.

Non hai fiducia nel genere umano?

Non molto. Credo che finché non accetteremo di essere anche noi animali e non daremo dignità alla vita degli altri animali, non potremo veramente progredire come specie. La nostra incapacità di riconoscerci come parte del mondo naturale e di rispettare gli altri esseri viventi riflette i limiti del nostro progresso. Fino a quando non impareremo a trattare gli animali con dignità, non saremo in grado di fare veri progressi anche nei confronti degli esseri umani stessi.

Tant’è che sei vegana…

È stata una scelta consapevole e importante per me. Adottare il mio cane mi ha aiutato a fare questo passo. Non potevo più ignorare il fatto che tutti gli animali meritano di essere trattati con rispetto. Per me, essere vegana non è un sacrificio, ma un modo per vivere in coerenza con i miei valori.

Zuzu (foto di Maria Clara Clarì).
Zuzu (foto di Maria Clara Clarì).
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