Quando si tratta di identità di genere, si è a lungo parlato unicamente in termini di maschile e femminile. Ma le sfumature sono molte di più, e negli ultimi anni è aumentata la sensibilità a riguardo di questo tema. Così è nata una terminologia più vasta, volta ad includere anche coloro che non si identificano nella classica polarità di genere maschio/femmina, il cosiddetto binarismo. Ma che cosa significa davvero essere non binari?
Che cos'è il binarismo
Per capire cosa vuol dire essere non binari, è bene partire dall'inizio. Il binarismo di genere è la classificazione di ciascun individuo in una delle due identità esistenti in natura, quella maschile o quella femminile. Si tratta di un concetto che fa riferimento unicamente alle caratteristiche biologiche di ognuno di noi, sulla base dei cromosomi sessuali (X e Y), dei genitali e dei caratteri sessuali secondari con i quali nasciamo.
Ma il binarismo è un ostacolo anche per tutti coloro che, al di là della propria appartenenza biologica ad un determinato sesso, non si identifica con un genere specifico - o quantomeno non con quello che è stato assegnato loro alla nascita. Negli ultimi anni si è sviluppata una sensibilità molto più acuta nei confronti di questa situazione, che può provocare grave disagio sociale in chi la vive. Il termine non binario risponde dunque all'esigenza di dare rappresentanza anche a tutti quegli individui che non si sentono a proprio agio nel dualismo maschio/femmina.
Le identità di genere non binarie
Il non binarismo trova una molteplicità di termini sotto cui viene espresso: si parla di identità di genere non binarie, ma anche di genderqueer o di nonbinary. Alcuni utilizzano anche l'abbreviazione enby, da NB (le iniziali di "non binarismo"). Questi sono tutti termini ombrello, ovvero all'interno dei quali ricadono tutti coloro che non si identificano unicamente nel genere maschile o in quello femminile. Esplorare questo universo è molto difficile, perché le identità di genere non binarie sono molte e ricche di sfumature complesse.
C'è chi, ad esempio, percepisce se stesso come appartenente ad un terzo genere, che è fisso e non soggetto a variazioni nel tempo. In diversi Paesi, questa opzione è prevista anche nei documenti di identità (solitamente come genere X, in alternativa a maschile e femminile): un grande passo avanti nell'inclusività, anche se non racchiude ancora i tantissimi volti che contraddistinguono l'argomento del gender. Essere non binario può infatti significare anche identificarsi come genderfluid, ovvero con un'identità di genere che cambia con il tempo.
Alcuni si sentono bigender, identificandosi a volte come maschio e a volte come femmina. Altri invece non sentono di appartenere ad alcun genere, definendosi quindi agender. Sono davvero molti i volti del non binarismo: vi rientrano definizioni come pangender e demigender, tutte intese a dare rappresentazione ad ogni possibile sfumatura dell'appartenenza di genere. È giusto inoltre notare che questo è un mondo in continuo mutamento (e in continua crescita), con la nascita di nuovi termini che permettono ad un sempre maggior numero di persone di trovare la propria identità.
VEDI ANCHE LifestyleLGBTQIA+: dall’acronimo alla storia del movimento, tutto quello da sapereNon binari e transgender: le differenze
Anche il termine transgender è un termine ombrello: vi rientrano tutti coloro che non si identificano con l'identità di genere e/o il sesso assegnati loro alla nascita. Tra l'essere transgender e l'essere non binari vi sono delle caratteristiche che collimano, ma anche molte differenze. È infatti possibile che un transgender sia non binario, in quanto non si identifichi in nessuno dei due generi (maschile o femminile). Ma in molti casi si tratta di una persona che si identifica con un genere ben specifico, il quale semplicemente non è quello che ha ricevuto nel momento in cui è venuto al mondo.
L'utilizzo dei pronomi e dello schwa
Lo sappiamo bene, l'inclusività passa (anche) attraverso il linguaggio. Ma come possiamo appellarci alle persone che si identificano non binarie? Questo può essere a volte uno scoglio che ci mette in imbarazzo, tuttavia ci sono alcune soluzioni utili. Nella lingua italiana, siamo soliti declinare nomi, aggettivi e pronomi al maschile o al femminile, a seconda dell'occorrenza. Se non sappiamo qual è l'identità di genere della persona con cui stiamo parlando, è meglio usare locuzioni o verbi impersonali, e quando possibile pronunciare il nome al posto di un pronome "scomodo".
Sono proprio i pronomi uno degli ostacoli da superare per un linguaggio inclusivo. Alcune persone esplicitano con chiarezza la loro scelta, affermando quale sia il pronome che vorrebbero veder utilizzato nei loro confronti. C'è chi preferisce comunque l'impiego di un pronome maschile o femminile, e chi invece preferisce quello neutro, che abbiamo mutuato dall'inglese (dove a "he" e "she" si aggiunge "they", che ha valenza neutrale). Per quanto riguarda invece la lingua scritta, viene spesso utilizzato l'asterisco o lo schwa al posto della vocale finale delle parole che vengono solitamente declinate al maschile o al femminile.
Non binarismo e orientamento sessuale
È importante infine ricordare che essere non binari non riguarda obbligatoriamente anche la sfera sessuale. Si tratta infatti di una questione di identità di genere, che può riflettersi o meno sull'orientamento sessuale di una persona. È pur vero, tuttavia, che di fronte al non binarismo spesso anche le più semplici "categorie" come eterosessualità, bisessualità e omosessualità vengono a cadere. Molte persone che non si identificano nel dualismo maschio/femmina vivono una sessualità più aperta e meno limitata dalle etichette.