Hai mai sentito parlare della metafora della rana bollita? Se la risposta è no forse dovresti soffermarti un po’ a scoprire una “piccola storia” che però contiene una grande verità e che, come ci svelano gli esperti, si può applicare anche alle relazioni tossiche o violente.
Molto spesso infatti ci chiediamo perché di fronte a soprusi, inquietanti red flags e campanelli d’allarme non si fugge dal partner. Cosa spinge a restare in una relazione tossica in cui ci sono violenze psicologiche o fisiche, senza chiudere o scappare al primo segnale negativo da parte del partner? La risposta – in parte – sta proprio nella metafora della rana bollita. Il principio è piuttosto semplice (ma dannatamente vero): se la violenza e la tossicità crescono attorno a noi gradualmente non ci accorgeremo, un giorno dopo l’altro, di essere rimaste impantanate e prigioniere di una storia sbagliata, dalla quale diventa sempre più difficile uscire.
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Ma andiamo con ordine: cosa ci racconta la metafora della rana bollita? Immagina una rana e una pentola d’acqua bollente. Se getti la rana nel recipiente questa si scotterà e salterà via, fuggendo. Al contrario se metti la stessa rana in una pentola d’acqua tiepida resterà lì dentro, posandosi placidamente sul fondo. Ora pensa di accendere il fuoco sotto la pentola e di aumentarlo gradualmente: la rana cadrà, a poco a poco, in uno stato di torpore e continuerà a galleggiare tranquilla. In sostanza si farà bollire senza tentare di fuggire, arrivando alla morte quasi senza accorgersene. Non solo: se proverà ad un certo punto a scappare via non ci riuscirà perché sarà ormai troppo tardi. La temperatura infatti sarà talmente alta da aver provocato dei danni irreparabili alla sua muscolatura, impedendole di fuggire.
La metafora della rana bollita venne presentata per la prima volta da Noam Chomsky. Il noto filosofo infatti la utilizzò per evidenziare la tendenza dei popoli ad accettare e adattarsi a situazioni opprimenti e negative. In seguito questo principio è stato più volte applicato e segnalato in sociologia per descrivere le dinamiche di potere. Negli ultimi anni, infine, la storia triste di questa rana è stata usata per raccontare ciò che accade in alcune relazioni di coppia.
L’adattamento (proprio come accade per la rana nell’acqua) è un elemento chiave all’interno di una relazione. Nel tempo infatti il rapporto cambia, i partner arrivano a dei compromessi, crescendo e mutando insieme. La situazione però diventa pericolosa quando scegli di trasformarti totalmente per l’altro e decidi di sopportare anche ciò che non avresti mai sopportato per amore di quella relazione. Con il tempo questo atteggiamento ti porta ad accettare sempre di più situazioni e atteggiamenti sbagliati, portandoti di fatto a una sorta di desensibilizzazione.
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Prova a rispondere a questa domanda: perché la rana alla fine è morta? Se ci pensi bene aveva tutte le possibilità di salvarsi. Sarebbe potuta saltare via dalla pentola prima di morire eppure non l’ha fatto. Il motivo è molto semplice: ha accettato il dolore che le veniva imposto, a piccole dosi, convinta che nella pentola sarebbe rimasta al sicuro. Proprio come accade quando accettiamo la sofferenza quotidiana, continuando a sopportare quei piccoli dolori nella convinzione di poterlo fare e rendendoli quasi una “normalità”. Si tratta di un meccanismo psicologico che – studi alla mano – si attiva spesso nelle situazioni negative. Non riusciamo a cogliere e percepire azioni e parole come dannose perché ci vengono “somministrate” in dosi piccole quotidianamente, portandoci a sopportare sempre di più.
“Ho sopportato/accettato questo, allora posso sopportare/accettare anche quest’altro”: è la frase che è capitato a qualcuno di noi, almeno una volta, di ripetersi in testa. Si arriva così a normalizzare una situazione che di normale non ha proprio nulla e a credere che la realtà sia tutta lì, che continuare a sopportare sia più facile e semplice, anziché fuggire. Proprio come la rana, che ad ogni livello successivo di calore si abitua, accettando una temperatura sempre più alta, anche le persone che si trovano in relazioni tossiche possono arrivare ad attivare questo meccanismo. Ritrovandosi alla fine stanche e con poche energie, troppo poche per poter affermare la propria volontà e liberarsi dalle catene emotive.
Questo non significa che chi si trova in una relazione tossica commetta un errore, semplicemente la metafora della rana bollita evidenzia ancora di più quanto sia complicato rendersi conto di essere in una storia sbagliata. D’altronde quando iniziamo una relazione il partner tende a mostrarci solo il meglio di sé. Nessuno si presenta da noi con una “pentola con acqua già bollente”, mostrandoci un reale pericolo. Non scappiamo semplicemente perché quel pericolo non lo vediamo, proprio come accade alla rana.
Cosa possiamo fare dunque? La soluzione non è semplice. Partire da ciò che desideri può essere un buon inizio. Impara a non sminuire i tuoi bisogni in una relazione, comunica ciò che vuoi e ciò che senti all’altro con la consapevolezza che l’amore per te stessa debba venire prima di ogni cosa.