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“To be in the closet”: quando affermare la nostra identità sessuale è difficile

Donna triste con pioggia
Mai sentito parlare del "To be in the closet"? Cosa accade quando la paura di affermare l'identità sessuale blocca la nostra esistenza
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Oggi si parla spesso di identità di genere, orientamento sessuale e di coming out, ma nessuno si chiede cosa accade a chi, invece, sceglie di non parlare al mondo del proprio orientamento. “To be in the closet” è la frase che viene utilizzata spesso per raccontare la condizione di chi sceglie – per un motivo o per un altro – di “restare nell’armadio”, senza condividere con gli altri ciò che prova, sente e come vive le relazioni sentimentali.

"To be in the closet": cosa significa

Quando una persona è "in the closet", ossia “nell’armadio”, significa che non ha ancora fatto coming out, parlando apertamente della sua identità sessuale con le persone che fanno parte della sua vita. Perché parliamo di armadio? Gli armadi notoriamente sono luoghi piccoli e bui, ma soprattutto privati, in cui ci si può nascondere alla vista degli altri. Chi si trova nell’armadio, dunque, ha la possibilità di non rivelare nulla sulla propria sessualità.

Oggi si parla sempre di più del diritto di vivere liberamente la propria sessualità e di non sentirsi discriminati in base alla propria identità di genere. Dunque potrebbe sembrare strano che ci siano persone che scelgono di non fare coming out e vivere la propria esistenza alla luce del sole. Ma è una realtà che esiste e che è legata a resistenze e pregiudizi che, purtroppo, continuano ancora a sopravvivere in alcuni settori della società. Luoghi in cui non ci si sente al sicuro – sia fisicamente che mentalmente – e dove chi appartiene alla comunità LGBTQIA+ è costretto al silenzio, perché altrimenti non avrebbe vita facile.

Perché si sceglie di non fare coming out

Le persone che decidono di non fare coming out dunque prendono questa strada per diversi motivi, tutti totalmente legittimi. Alcune persone lo fanno perché temono per la propria incolumità fisica. E questo è un fatto: le aggressioni, fisiche o verbali, ai danni di persone LGBTQIA+ compaiono regolarmente tra i fatti di cronaca. I dati confermano che le persone LGBTQIA+ sono maggiormente esposte a questo pericolo rispetto a chi è cishet.

In altri casi la decisione di “restare nell’armadio” arriva perché si teme che la famiglia non capirà e che non accetterà. Dai genitori alle zie sino ai nonni, si teme di essere giudicati, allontanati e guardati in modo diverso, una paura che può spingere a tacere e fare un passo indietro.

A questo si aggiungono le discriminazioni che si teme di subire sul posto di lavoro. Le statistiche dimostrano che non sempre sul lavoro il coming out è accolto con il giusto spirito. Ma le capacità della persona vengono valutate – sbagliando – anche a partire dalle considerazioni sulla sua vita privata.

Le conseguenze

Cosa significa scegliere "To be in the closet"? Non affermare la propria identità sessuale può avere, nel lungo periodo, delle conseguenze anche molto pesanti nell’esistenza di una persona. Un disagio che diventa ancora più forte quando si trova l’amore e si inizia a vivere una relazione.

Chi vive una love story, ad esempio, potrebbe soffrire di fronte all’impossibilità di portare il proprio partner in famiglia, vivendo la storia alla luce del sole, senza impedimenti o limiti. Con il tempo queste limitazioni potrebbero trasformarsi in vere e proprie catene, influenzando fortemente la salute mentale e la qualità della vita di chi “vive nell’armadio”.

Va sottolineato – ovviamente – che ognuno ha alle spalle la propria storia personale, le proprie ragioni per non fare coming out e la propria sensibilità. In ogni caso sarebbe importante indagare le motivazioni di questa scelta e comprendere se è davvero quella giusta da fare, chiedendo, in questo caso, un aiuto concreto.

Come aiutare chi è bloccato "in the closet"

Il coming out è qualcosa di molto delicato e personale. Non esiste una regola, non ci sono manuali di istruzioni su quando e come farlo. Ognuno sceglie il momento che reputa giusto per sé, le parole usate cambiano da persona a persona perché siamo unici e irripetibili. E ognuno merita il più totale rispetto per quanto riguarda la sua scelta.

Per questo il primissimo consiglio per gli amici e i parenti è quello di non forzare in alcun modo il coming out, ma – al massimo – di accompagnarlo. Cosa puoi fare se conosci qualcuno che è “nell’armadio”? Per prima cosa dimostragli che non deve avere paura, non farlo sentire escluso, ma, un passo dopo l’altro, costruisci e rafforza la fiducia. Essere felici è un diritto che tutti abbiamo ed è qualcosa di inderogabile. Diffondere questo messaggio, conferirgli la giusta forza e valore è essenziale per cambiare le cose. In questo la famiglia dovrebbe rappresentare un porto sicuro in cui imparare, sin da piccoli, il significato vero e profondo di amore. Scoprire la forza e il valore dell’inclusività, riconoscere l’importanza della propria unicità e la necessità di affermare la propria identità – qualunque essa sia – senza nessun timore, per essere davvero felici.

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