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Dead name: cosa è, e perché usarlo è una violenza

Passaggio di transizione donna-uomo
Non è solo una mancanza di rispetto, ma un vero e proprio calpestamento del diritto di essere ciò che si è: il deadnaming è una pratica mortificante, sulla quale si dovrebbero accendere ulteriormente i riflettori

Accettereste mai di farvi chiamare in un modo che non sentite vostro? Vi fareste mai riconoscere con un nome che non vi appartiene? La risposta è sicuramente un no. Ed è per questo che occorre parlare del deadnaming, una pratica più che mai diffusa, che calpesta i diritti di chi percorre il già complesso cammino della transizione di genere.

Utilizzare il dead name di una persona o assecondare chi lo fa, sia in privato che in pubblico, significa infliggere un dolore profondo. Significa rifiutare un'identità che chi abbiamo di fronte sta duramente costruendo, passo dopo passo. Significa violare e annichilire. Perciò occorre avere una più forte consapevolezza di quanto peso possa avere. Andiamo a spiegare in modo preciso cosa è il dead name, e cosa significa fare deadnaming.

Che cos'è il deadnaming

Ma che cos'è, nello specifico, il deadnaming? Con questo termine si descrive la pratica di chiamare o riferirsi ostinatamente a una persona transgender, di genere non conforme o non binaria con un nome che non usa più (il cosidetto "dead name").

Generalmente il dead name è quello attribuito alla nascita, che per forza di cose presenzia ancora su tutto ciò che è legato alla burocrazia e compare su documenti fondamentali come carta d'identità, patente, tessera sanitaria e via continuando. Ricordiamo infatti che la modifica del nome sui documenti è un procedimento burocratico piuttosto lungo, tanto che è uno dei primi passi del processo di transizione delle persone transgender.

In altre parole, il nome rifiutato dalla persona transgender è destinato a permanere (almeno per un certo lasso di tempo) nero su bianco, prima che il procedimento burocratico venga concluso. Ma anche se il dead name è ancora nero su bianco, fa parte dell'altrui sensibilità smettere di usarlo e far sentire accettat*, compres* e riconosciut* chi ha scelto la transizione.

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I segni indelebili del deadnaming in famiglia

In alcune parti del mondo (comprese alcune aree italiane) il deadnaming è tutt'ora un'arma violenta, dolorosa e distruttiva che viene praticata persino in famiglia. Sono ancora moltissime le persone che, rapportandosi a chi affronta un percorso di cambiamento e transizione, continuano a usare il nome di nascita come forma di resistenza.

Una resistenza passivo-aggressiva, giustificata da frasi come «è così che ti chiami», «questo è il tuo nome», che però lascia dei segni indelebili nel cuore, nell'anima e nella psiche di chi ascolta. Gli effetti del deadnaming in famiglia, specie se si tratta di una prassi protratta nel tempo e riferita agli adolescenti, può portare conseguenze serie e devastanti.

Infatti, mentre si afferma la propria identità di genere, ci si trova in una fase di costruzione. Il deadnaming contribuisce invece a minare la sicurezza, a generare traumi e a distruggere: ciò che ne deriva è ansia con somatizzazione, depressione e, purtroppo, in alcuni casi, istinti suicidi.

Il deadnaming nella società

Se il deadnaming in famiglia è dannoso, quello in società non è da meno. Tutti affrontiamo un processo di affermazione sociale, a un certo punto della nostra vita: ci palesiamo, indossiamo la nostra personalità e la nostra sessualità e ci aspettiamo di essere accolti dagli altri, non di essere respinti, malgrado ciò possa accadere.

Le persone transessuali, di genere non conforme o non binarie affrontano questo processo per la seconda volta, con un rischio di rifiuto più alto. Il secondo processo può prevedere anche l'associazione dell'identità a un nome che permetta di avere un io riconoscibile, in linea con la propria interiorità e la propria sessualità.

Quando in società questo nome viene rifiutato, sia in ambito relazionale che in ambito istituzionale, l'io della persona in questione viene depotenziato, sminuito e ridotto all'osso. Le azioni più dannose sono l'invalidamento dell'identità che si sta tentando di costruire e lo schiaffo emotivo. Atti che possono condurre a isolamento, emarginazione e traumi non sempre risolvibili.

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L'importanza di parlare del deadnaming

Perché parlare del deadnaming è importante? Non solo perché, come abbiamo già detto, è ancora una pratica diffusa a livello familiare, relazionale e istituzionale, ma anche perché è una prassi che abbiamo sotto gli occhi più spesso di quanto immaginiamo.

Per esempio sarà capitato a tuttə, almeno una volta nella vita, di imbattersi in un articolo di giornale nel quale una persona transgender viene appellata con il nome datole alla nascita, senza alcun rispetto per il suo percorso. Parlare di deadnaming significa sensibilizzare chi abbiamo intorno, cercando di far comprendere che se è vero che ogni parola ha un peso, ciò vale ancora di più quando si tratta di nomi associati a persone.

Partendo dal presupposto che la transizione è un viaggio individuale, che può avere molti passaggi e fasi differenti e che non tutte le persone transessuali, di genere non conforme o non binarie decidono di cambiare nome, quando ciò succede occorre subito comprendere che questo atto è sempre associato a un miglioramento del benessere mentale ed emotivo.

Ostinarsi a usare il nome precedente significa urlare alla persona che sta cercando di trovare la sua dimensione che non c'è spazio per lei e per la sua nuova identità. Che non c'è accoglienza, che non c'è empatia. E non c'è niente di peggio.

Il deadnaming e i pronomi

Infine, piccolo appunto: il deadnaming può essere rafforzato dall'uso scorretto dei pronomi. L'importanza di riferirsi a qualcuno con il pronome corretto (lui/lei), oggigiorno è fondamentale. Anche se in italiano non è contemplato il genere neutro, cercare di capire come tutte le persone vogliono essere definite dovrebbe essere alla base dei rapporti sociali, per costruire un mondo migliore, più sano e inclusivo.

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