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Cos’è il minority stress model e perché interessa la comunità LGBTQIA+

minority stress model
16-06-2023
Nessuno è immune dallo stress, specialmente chi fa parte di una minoranza spesso ostracizzata. La comunità LGBTQIA+ soffre di quello che in psicologia è conosciuto come il minority stress model

Lo stress da minoranza, o minority stress model, identifica quel modello di insorgenza degli stati d’ansia provocato dalle situazioni in cui l’appartenere a una minoranza può generare discriminazione, attrito, pregiudizio. Nei casi peggiori emergono anche fenomenI di esclusione, bullismo, persecuzione e ostilità aperta, sia verbale che fisica.

Le persone con un orientamento sessuale o un’identità di genere considerati non conformi ai modelli culturali possono arrivare a soffrire del modello da stress di minoranza, un fenomeno che può avere alcuni punti in comune con il disturbo da stress post traumatico in riferimento però a comunità di piccole dimensioni. Pensiamo per esempio alla discriminazione etnica, religiosa o di qualsiasi altro genere.

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Identità di genere e orientamento sessuale

Prima di parlare del minority stress model, non esiste articolo più importante per fare un po’ di divulgazione. Aiutare la comunità LGBTQIA+ significa anche diffondere informazioni corrette, chiare e capaci di raggiungere quante più persone possibili. Chi conosce un tema non ne ha paura, né si sente in qualche modo minacciato da esso. E questo è un disinnesco molto importante per il minority stress model, vedremo presto il perché.

L’identità di genere è la percezione individuale di appartenere a uno o l’altro sesso, oppure nessuno di questi due (non-binario). Quando una persona si identifica nel proprio sesso biologico, viene definita cisgender. Tuttavia, non tutte le persone che nascono con gli organi genitali maschili si sentono uomini, e viceversa. In questo caso, la definizione passa da cis a transgender.

L’orientamento sessuale non ha niente a che vedere con l’identità di genere e riguarda invece l’attrazione di una persona verso individui di un certo tipo. Potrebbero essere, nel caso degli eterosessuali, individui del sesso opposto. Ma non per forza: la sessualità è uno spettro, e non per forza una persona si sente al 100% attratta da membri del sesso opposto. Qualcuno si sente attratto da entrambi (bisessuale), da nessuno (asessuale) o dallo stesso genere (omosessuale).

Il discorso è molto più complesso di così, e la fluidità di identità di genere e orientamento non sono scritti nella pietra: ciò significa che possono variare col tempo.

Perché anche l’eterogeneità di genere può causare stress?

Per comprendere a fondo il minority stress model in relazione alla comunità LGBTQIA+ bisogna innanzitutto capire da cosa nasce questa fonte di stress. Come spesso accade in questo modello, la fonte di stress deriva dalla scelta di non conformarsi a quelli che sono i modelli convenzionalmente accettabili dalla società.

Quando anche una cosa semplice e naturale come la propria preferenza sessuale, o il guardarsi allo specchio identificandosi in se stessi diventa un problema, la convivenza nella società diventa costante fonte di attrito, pericolo, e dunque di stress. Uscire per fare una passeggiata non è più solo un momento per schiarirsi le idee, ma è letteralmente una decisione che provoca ansia, dubbi, incertezze, e mette la persona appartenente a questa bandiera in un costante chi va là.

Le discriminazioni e i pregiudizi, infatti, hanno il potere straordinario di arrivare in qualsiasi occasione.

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Minority Stress Model: l’odio (degli altri) che si trasforma in stress

Le discriminazioni perpetrate ai danni della comunità LGBTQ+ sono il risultato di un insieme di credenze culturali, sociali, religiose e quant’altro che si fondano sulla paura di ciò che non si conosce, o comunque di chi non si adegua e si conforma.

Omofobia e transfobia vengono utilizzati per descrivere paura e atti d’aggressione nei confronti di chi non è eterosessuale (un gay o una lesbica, per esempio) o cisgender (una donna trans, per esempio). E basta guardarsi intorno per capire che questi due fenomeni di paura sono endemici, e iscritti nel DNA della società tanto quanto lo sono i comportamenti di matrice patriarcale.

Un tempo la violenza nei confronti della comunità LGBTQ+ era più aperta e dichiarata. Al giorno d’oggi, invece, adotta modelli più sottili e pericolosi. Frasi, non detti, commenti o invalidazioni, giudizi sull’unghia espressi in maniera non richiesta e che in qualche modo mettono in discussione una scelta tanto naturale quanto la sessualità o l’identità di genere. Reiterate esposizioni a queste fonti di stress, più o meno esplicite, mettono le persone in una situazione di conflitto interiore, dove anche parlare con qualcuno può finire per far loro mettere in discussione la loro identità.

Vergogna, paura, senso di inferiorità sono inneschi pericolosi e velenosi che sfociano nel minority stress model: una stigmatizzazione che si trasforma nel terrore di rivelare se stessi.

I tanti livelli del minority stress model

Gli esperti psicologi ritengono che le fonti di stress capaci di generare questa dinamica possano dipendere da diversi fattori. L’elemento culturale gioca un ruolo importante, ovvero ciò che nasce dal pregiudizio e dai comportamenti delle persone nella società. È un elemento oggettivamente presente e che permea la vita di ognuno di noi.

L’altro elemento è quello soggettivo, poiché ognuno di noi percepisce lo stress in maniera differente, ed è in grado di resistere alle aggressioni in maniera diversa. Questo fattore non riguarda solo ciò che si percepisce, ma anche gli eventi discriminatori effettivamente subiti.

Il minority stress model può tradursi spesso in stati d’ansia costanti, problemi psicologici di convivenza con il resto della società e l’omofobia interiorizzata. Quest’ultima si riferisce alla tendenza della comunità LGBTQ+ a dare per scontata l’idea di trovarsi davanti a stereotipi omofobi o transfobici, partendo così prevenuti.

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