Ogni giorno, in ogni momento della nostra vita, siamo portati a confrontarci con persone e situazioni diverse. Ed è proprio da questo confronto e dalle conseguenti interazioni, che scattano tutta una serie di pregiudizi che attuiamo in maniera quasi istintiva. Senza nemmeno rendercene conto, avviamo comportamenti basati su una valutazione preventiva della persona o della situazione che ci troviamo ad affrontare, una valutazione che prende vita da stereotipi capaci di farci mettere in pratica i pregiudizi senza nemmeno accorgercene.
Com’è possibile mettere in pratica i pregiudizi senza accorgercene? In realtà è molto più semplice di quanto si possa pensare e succede davvero a tutti, anche a chi ha un’attenzione particolare verso chi ha di fronte e si mostra sensibile nell’affrontare tematiche delicate che richiedono un alto grado di empatia e comprensione. Ecco in che modo mettiamo in pratica i pregiudizi senza accorgercene e come possiamo imparare a migliorare le nostre interazioni.
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Come ben sappiamo, la società in cui viviamo è ricca di stereotipi duri a morire. Alcuni di essi sono negativi, altri sono altamente dannosi e tutti si basano su un pregiudizio di fondo che spesso si canalizza alla base del pensiero comune diventando una generalizzazione che sfocia nella credenza collettiva. Sganciarsi da queste convinzioni non è così facile e immediato.
E gli esempi che stiamo per farvi lo dimostrano. Se la discriminazione e l’ emarginazione delle persone in base all’etnia, al genere o all’orientamento sessuale sembrano essere lontani anni luce dal modo di pensare della generazione Z e dei millennialls, altri tipi di pregiudizi e stereotipi non sono poi così distanti dai noi e li mettiamo in pratica con estrema facilità. Vediamo di seguito qualche esempio.
Il discrimine della produttività
Viviamo in una società basata sulla competizione, sulla produttività e sul raggiungimento del successo. Siamo costantemente immersi nel mondo tecnologico e lo sfruttiamo per ottimizzare i processi produttivi e per massimizzare le nostre performance all’insegna di risultati eccellenti. Lo facciamo perché il mondo del lavoro ce lo richiede e perché chi non rientra in questa macchina produttiva apparentemente ben oliata, sembra perdere il proprio valore. È proprio in questo quadro che alcune persone perdono, spesso in maniera involontaria, la dignità e il rispetto dovuti.
Un esempio? Gli anziani e i disabili. Le discriminazioni basate sull’età o sull’inefficienza fisica sono all’ordine del giorno, le mettiamo in pratica senza nemmeno rendercene conto. Sempre attenti a promuovere l’inclusione, ci ritroviamo ad escludere a priori persone che possono apportare, in maniera diversa, grandi benefici alla nostra società e lo facciamo basandoci su una serie di stereotipi che ci portano a trattare in modo differente le persone che rientrano in queste categorie. La problematica è talmente radicata che da qualche hanno sono nati termini ad hoc per definire queste discriminazioni: ageismo e abilismo.
Le parole fanno la differenza
Mettere in pratica i pregiudizi, spesso è tutta una questione di linguaggio. È un modo di comunicare che acquisiamo sin dall’infanzia e che ci portiamo dietro, senza dargli troppo peso, anche in età adulta. Frasi del tipo “sei una donna con gli attributi” rappresentano un apparente complimento che cela però, neanche troppo velatamente, uno stereotipo di genere. Una donna forte, assertiva, pragmatica è equiparata a un uomo. I suoi valori infatti, ritenuti principalmente maschili, fanno sì che la sua figura di donna venga affiancata a quella dell’uomo, perché è proprio acquisendo le caratteristiche tipiche di quest’ultimo che viene validata la sua autorevolezza e la sua forza.
Un altro esempio di pregiudizi nascosti dietro le parole è rappresentato da un neologismo utilizzato in maniera massiccia anche dai mass media: parliamo del termine “mammo”. Ecco la definizione che ne dà l’autorevole enciclopedia Treccani: “Uomo che, nella cura dei figli e nella gestione della casa, svolge le funzioni che sono state tradizionalmente proprie di una mamma”.
Il preconcetto nasce proprio dal fatto che la cura dei figli è attribuita, dalla nostra società patriarcale, solo ed esclusivamente alla figura della donna. Non è raro rivolgersi ai padri che si occupano della gestione dei figli con il termine “mammo”, spesso non lo si fa con cattive intenzioni, ma in realtà stiamo mettendo in pratica un vero e proprio pregiudizio.
Sluth shaming
Avete mai sentito parlare di slut shaming? Anche in questo caso parliamo di una serie di preconcetti che interessano in particolare le donne. Letteralmente “denigrazione della sgualdrina” lo slut shaming è un atteggiamento stigmatizzante nei confronti dell’universo femminile, con focus particolare sulla sessualità. Una donna che veste in modo succinto, che parla apertamente della propria vita intima, che non rientra nei classici cliché, viene offesa, umiliata e condannata per il solo fatto di esprimere liberamente se stessa.
Criticare una donna per la sua libertà sessuale non è un comportamento esclusivamente maschile, ma è purtroppo un modo di fare che riguarda anche le donne stesse. Allontanarsi dall’idea che una donna che predilige abiti che mettono in evidenza il corpo o che ha diversi partner sessuali, non sia una poco di buono, ma, al pari di un uomo, una persona che vive liberamente la propria vita, sembra non essere così immediato, anche in una società apparentemente aperta e inclusiva come quella attuale.