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Cosa è il quiet quitting e perché se ne parla tanto su TikTok?

Donna stressata sceglie il quiet quitting
La cultura della competizione e della produttività ha stressato le generazioni attuali e portato alla nascita del quiet quitting, fenomeno di cui si parla moltissimo su TikTok. Ecco in cosa consiste
Nell'articolo:

Millennials e generazione Z sembrano far fronte comune tramite un fenomeno diventato virale su TikTok e non solo. Risponde al nome di quiet quitting e se fate parte di una di queste due generazioni ne avrete sicuramente sentito parlare e probabilmente lo avete già preso in considerazione. Quiet quitting significa letteralmente “Quieto abbandono” e riguarda in particolar modo il mondo del lavoro e dello studio.

Tutto parte dall’estrema competizione e la sfrenata gara al raggiungimento di obiettivi ambiziosi che la nostra società sembra richiedere ad ognuno di noi. Gare e competizioni che hanno indebolito psicologicamente due delle generazioni più promettenti di questo secolo dando vita a persone che troppo spesso si trovano a fare i conti con ansia e stress. A ciò si aggiunge il malessere legato a tutto quello che sta succedendo negli ultimi anni: pandemie, lockdown, guerre, crisi economiche e paura per il cambiamento climatico. È proprio in questo clima che nasce questo nuovo approccio al mondo del lavoro. Ecco, nello specifico, cos’è il quiet quitting e perché prenderlo o meno in considerazione anche per la tua vita.

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L’alternativa alla cultura della competizione

Tutto nasce sulla piattaforma più amata dai giovani, TikTok e in particolare con un video postato dall’ingegnere Zaid Khan, 24 anni, che in un esaustivo discorso spiega il concetto di quiet quitting.  

Il tuo valore come persona non è definito dal tuo lavoro.

Zaid Khan

Questa semplice frase racchiude in sé tutta l’essenza di questo fenomeno. Millennials e generazione Z sono spinti giorno dopo giorno a credere che solo producendo ed essendo ambiziosi e dando il massimo anche per compensi non all’altezza dello sforzo, si possa essere in grado di vivere una vita appagante. Lo stress, l’ansia da prestazione e le poche soddisfazioni economiche sono condizioni normali da vivere quotidianamente per ambire ad uno stile di vita precostituito che negli anni è diventato poco più che un miraggio.

Ed è così che il quiet quitting diventa un’alternativa alla cultura della competizione che spesso ha poco a che fare con i reali desideri dei giovani di oggi, inseriti in una gara senza esclusione di colpi ancor prima di scegliere cosa voler fare della propria vita.

Stabilire dei limiti

Il lavoro è una parte fondamentale della vita di tutti noi, ma quando comincia a fagocitare ogni giorno e ogni ora della nostra quotidianità, allora c’è un problema. Lavorare per vivere è molto diverso dal vivere per lavorare ed è questo il concetto alla base del quiet quitting. Stabilire dei limiti quando si lavora, non sovraccaricarsi, non dire sì a tutta una serie di straordinari può essere vitale per il nostro equilibrio psicofisico.

Produrre, macinare task, essere notati per il nostro instancabile impegno, è deleterio per la nostra mente e per il nostro corpo. Non andare oltre con il carico di lavoro che ci spetta non vuol dire smettere di lavorare o essere un cattivo professionista. Vuol dire dare il giusto valore al proprio lavoro, far sì che faccia parte della nostra giornata e non che ne diventi la parte preponderante.

Prendere il controllo sul proprio lavoro

Quando lavoriamo ci sembra quasi scontato essere immerse nei progetti e farci assorbire completamente da essi. Secondo il quiet quitting invece siamo noi a dover avere il controllo sul nostro lavoro e non il lavoro a dover avere il controllo su di noi. Siamo noi le artefici del nostro destino e lo siamo anche del nostro lavoro. Farci assorbire completamente da esso complica, e di molto, l’equilibrio tra lavoro e vita privata, che nel quiet quitting diventa una vera e propria necessità.

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L’influenza della pandemia da Covid-19

E non è un caso che il quiet quitting sia esploso in concomitanza con la pandemia da Covid-19. I giovani impegnati nel mondo del lavoro hanno avuto per la prima volta l’opportunità di prendersi carico dei propri progetti in maniera più autonoma e di gestirli con modalità più soft attraverso lo smart working.

Questo ha permesso a molti di loro di assaporare una quotidianità ben diversa dalle infinite ore di lavoro in ufficio e di beneficiare di periodi di pausa da dedicare alla famiglia e alle proprie passioni, pur senza rinunciare a portare a termine in maniera meticolosa i propri task.

Quiet quitting: quali sono i contro?

E se i pro del quiet quitting sono davvero tanti, soprattutto per la propria salute mentale, questa pratica non è esente dai contro. Il mondo del lavoro, soprattutto nei Paesi capitalisti, è rimasto sconvolto dalla filosofia alla base di questa pratica e ha riscontrato un grande impatto negativo sulla produttività.

Non è un caso che le big tech come Google e Facebook, dopo la concessione a tempo indeterminato dello smart working abbiamo fatto un passo indietro richiamando i dipendenti in ufficio. Ma se per le aziende, la pratica del quiet quitting rischia di essere dannosa per il proseguo della produttività, sembra non esserlo per chi lo sceglie. Impostare dei confini e stabilire dei limiti si sta rivelando infatti un modo efficace per aumentare il benessere di chi lavora e proteggere dal rischio burnout.

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