Che ci piaccia oppure no, viviamo in una società dove tutto o quasi viene esibito, mostrato, reso pubblico. Anche quando si tratta di dolori e/o sofferenze. E sa da un lato in alcuni casi, può anche fare bene, dando l’opportunità a tanti di capire che non si è soli ma che spesso ciò che si vive è un’esperienza vissuta e condivisa anche da altri, mostrandoci vie possibili di “guarigione”, dall’altro, troppo spesso può sfociare nella cosiddetta sofferenza paragonata.
VEDI ANCHE LifestyleParagonarsi agli altri aumenta l’ansia sociale: ecco come smettereUn bruttissimo vizio sempre più diffuso di mettere a confronto le proprie vite con quelle degli altri. E in particolare nei momenti di dolore o sofferenza vissuti, elevando a giudici chi li ha già provati e portando a credere che, chi vi si approccia in seguito, lo farà comunque con un impatto minore rispetto a quanto accaduto a noi.
Cos’è la sofferenza paragonata
In poche e semplici parole, quindi, quando si parla di sofferenza paragonata, non si fa altro che sottolineare la tendenza di molti a paragonare le proprie esperienze emotive con quelle degli altri, giudicandole in base a quanto vissuto in prima persona e mettendo su una scala i vari disagi. E arrivando anche a classificarli e sminuirne l’impatto su chi li vive.
Così facendo, oltre a porsi su un gradino più alto nella scala delle sofferenze (spoiler: non esiste), si arriva anche a negare la possibilità di chi si ha di fronte di vivere ed esprimere ciò che prova. Come se non avessero il diritto di farlo poiché non necessario o coerente con quanto vissuto. Un modus operandi che pone chi sta soffrendo in quel momento a credere di non aver diritto a farlo. Perché c’è chi ha subito sofferenze ed eventi peggiori, voi nello specifico, delegittimando la persona a soffrire. A vivere ciò che prova con l’intensità che sente e portandolo a provare fino anche un senso di vergogna verso ciò che sente.
VEDI ANCHE LifestylePerché gli altri ci sembrano tutti migliori di noi?Sofferenza paragonata: quando lo si fa verso se stessi
Un comportamento che, se è vero che spesso si è pronti ad attuare verso gli altri, è vero anche che in molti casi si riserva a se stessi. Come? Molto semplicemente auto sminuendo ciò che si sente perché, dopo tutto, c’è chi sta peggio, chi ha passato di peggio, ecc. E ponendo la propria sofferenza alla base dell’inesistente scala sopra citata, privandosi della possibilità di vivere le emozioni e il dolore che si sente in favore della sofferenza paragonata che si sta attuando.
Così facendo, oltre a inibire i sentimenti, non si da modo di sfogare il dolore che si prova, né di comprenderlo e superarlo. Intrappolando se stessi e/o gli altri, in un turbinio di emozioni che impediscono di crescere.
Quello che è importante capire, quindi, è che il dolore è dolore. Ogni situazione è a sé e ognuno vive le proprie esperienze in modo diverso, a seconda della propria maturità emotiva, della propria capacità di gestire le emozioni e del proprio bagaglio esperienziale. Niente e nessuno ci da il diritto di paragonarci e/o giudicare la sofferenza altrui così come mai dovremmo farlo noi stessi verso gli altri. Ma anzi, dovremmo lasciare da parte la cattiva pratica delle sofferenza paragonata, imparando a comprendere e comprenderci e usando maggior empatia verso chi si ha davanti e maggior delicatezza verso ogni emozioni che si prova. Anche e soprattutto le proprie.