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Toxic positivity, quando essere positivi a tutti i costi è nocivo

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Vivere meglio grazie al potere della consapevolezza: celebra le tue giornate no e inizia a trovare un posto per le emozioni difficili

Prende il pensiero positivo e lo porta all'estremo: è l'atteggiamento noto come “toxic positivity”, positività tossica. Se ne parla sempre di più anche a causa della pandemia, che a livello individuale e sociale ha aperto uno squarcio sulla facciata, un tempo decorosa e discreta, della nostra vita emozionale.

Siamo più nervosi, stanchi, scontenti: ci sentiamo più fragili e arrabbiati. E non abbiamo più timore di dirlo, anche a chi non conosciamo troppo bene. Se da un lato le lamentele possono esplodere con facilità anche nel bel mezzo di una banale chiacchierata, dall'altro esiste un atteggiamento opposto. Appartiene a chi non si lamenta mai, non vuol sentir parlare di “cose brutte” e si rifugia nel lato brillante liquidando ogni dubbio con il classico “Andrà tutto bene”. E se così non fosse?

Quando il pensiero positivo è tossico

Positivi… a tutti i costi: sono quelli che amano dare una pacca sulla spalla e dire “Coraggio, andrà tutto bene”. Spesso si spazientiscono di fronte a chi scoppia in lacrime; non vogliono sentir parlare di fallimento, depressione, crisi e parlano per slogan come coach motivazionali.

Ecco il punto è proprio questo: motivare, noi stessi e gli altri, trovare un conforto e non arrendersi ovviamente non è sbagliato, anzi essere costruttivi aiuta ad affrontare gli alti e bassi della vita con più energia.

Ma il problema accade quando lo sforzo di uno sguardo positivo si trasforma in dover-essere e nel frattempo mette a tacere le “emozioni difficili” ricacciando giù, in fondo alla gola, verità che non ci permettiamo di dire. Siamo fatti anche di tristezza, rabbia, momenti di scoraggiamento in cui tutto sembra senza soluzione. Siamo fatti anche di incertezza, inquietudine, confusione, anzi spesso è da un autentico “non lo so” che possono nascere le più grandi trasformazioni. Ecco perché individuare l'atteggiamento positivo di superficie e andare dentro le reali sensazioni profonde può diventare un esercizio che allena a cambiare atteggiamento.

La verità delle nostre emozioni

Conosci l'origine della parola ”coach”? Oggi i percorsi di coaching si propongono come affiancamento e aiuto alla persona. Il coach trae la forza del suo essere in ambito sportivo: non è solo chi allena la squadra, ma sa essere vicino all'atleta, lo conosce e sostiene perché sa tirar fuori da ogni giocatore la passione che serve per vincere.

Il californiano W. Timothy Gallwey è considerato uno dei padri del moderno life coaching. Allenatore della squadra di tennis dell'Università di Harvard, negli anni Settanta scriveva: "C’è sempre un gioco interiore in corso nella nostra mente, non importa in che altro gioco siamo impegnati. Il modo in cui lo affrontiamo è quello che spesso fa la differenza tra il nostro successo e il nostro fallimento”.

Quando c'è un obiettivo da raggiungere, avere un appoggio può fare la differenza perché alza il livello di motivazione e la spinta che mettiamo nell'azione è legata a doppio nodo con l'impegno e la dedizione che servono per raggiungere il risultato desiderato. Eppure, esiste un immenso spazio che non ha a che fare con obiettivi, successi o fallimenti, profitti e svantaggi o tornaconto: è lo spazio del nostro mondo interiore, gratuito. Può diventare un arido deserto o fiorire all'improvviso come un giardino tropicale, ma non è semplicemente proporzionale agli obiettivi conseguiti altrimenti non si spiegherebbe come persone di successo, ricche e potenti abbiano terribili abissi in cui rischiano di cadere esattamente come ognuno di noi.

Fare pace con la paura

La recente pandemia ha portato allo scoperto un sentimento di fragilità che appartiene a ognuno di noi: è la vulnerabilità che è parte della vita stessa perché non ci pensiamo mai, eppure è un miracolo se oggi siamo qui. Il momento della nascita di un essere umano è stato addomesticato grazie ai progressi della medicina, ma rimane uno dei momenti più pericolosi e ricchi di incertezza dell'esistenza, sia per la madre, che per il bambino. Un virus invisibile nell'ultimo anno ci ha ricordato che possiamo ammalarci, morire, perdere d'un colpo tutta la nostra vita così come la conosciamo e non domani, quando saremo vecchi e stanchi, ma oggi.

La malattia e la morte fanno paura. Fa paura attraversare la strada, cominciare un nuovo lavoro, affrontare un'interrogazione, chiederci se ce la faremo. Ecco perché l'ottimismo a tutti i costi diventa tossico: conservare dentro di noi uno spazio per la nostra paura, da abitare e percorrere, significa rimanere in contatto con l'esistenza. Onorare il fatto di essere vivi significa essere consapevoli di camminare nell'incertezza, un concetto che gli antichi conoscevano bene, loro che nei riti di passaggio da adolescenti affrontavano pericoli per sfidare la morte e celebravano la paura.

Toxic positivity - i segnali

Ti vedi in qualcuno dei seguenti atteggiamenti?

  1. Hai sempre il sorriso sulle labbra
  2. Reciti citazioni a tema resilienza in ogni occasione difficile
  3. Cerchi di frenare la tua rabbia
  4. Ti senti “strana” e in colpa quando provi tristezza, fastidio, sfiducia
  5. Ripeti a te stessa e agli altri: “ce la faccio”, “passerà”, “va tutto bene”, “posso sopportarlo”
  6. Provi fastidio di fronte fronte alle lacrime e alle “emozioni difficili” degli altri

Training emozionale

Ecco quello che puoi fare per allenarti a tornare in connessione con le tue emozioni autentiche.

  1. Ti va davvero di sorridere? Se la risposta è no… allora oggi non farlo. Purtroppo il finto sorriso in molti casi viene direttamente dall'infanzia. Si tratta di una difficile eredità che ci portiamo dietro, e continuiamo a diffondere, quando ci ostiniamo a far sorridere a tutti i costi i più piccoli, elargire baci o “essere graziosi”. Un conto è l'educazione, un altro è un segno di affetto spontaneo… o forzato.
  2. Hai mai pensato di immergerti nell'emozione che stai provando? Per fare un esempio, se oggi ti senti triste anziché scacciare le sensazioni che provi cerca libri e film a tema, che possano fungere da stimolo per entrare in quello che senti. Esplora la tua tristezza, vivila, apri uno spazio dove possa esprimersi. Scoprirai che la tristezza che abita in te è in grado di parlarti, rivelarti lati inediti, permetterti di scoprire cose che non sapevi di te.
  3. “Io sono felice di sapere che sei capace di arrabbiarti”, riporta Arun Gandhi nel suo ultimo libro “Il dono della rabbia e altre lezioni di mio nonno Mahatma Gandhi” (Giunti), tradotto da Elena Cantoni. La rabbia possiede un'enorme carica di energia: è come decidiamo di utilizzarla ciò che fa la differenza. La maggior parte delle volte la lasciamo esplodere così della rabbia vediamo solo la parte più distruttiva.
  4. Non sai bene perché, ma ci sono delle volte in cui qualcosa si muove dentro, ma non sei in grado di dare il nome. Scava dentro la sensazione di quel fastidio: dentro con tutta probabilità ci troverai un'emozione. La rabbia nasconde spesso la tristezza di un dolore inascoltato. Il fastidio è un alleato quando ci prendiamo tempo e coraggio per ascoltare il suo messaggio.
  5. E se non ce la facessi? Chiedere aiuto è un comportamento sano, ma è possibile solo se ci rendiamo conto… di averne bisogno. Smettere di mentire a se stessi ha un doppio vantaggio: all'effetto liberante e devastante della verità si aggiunge il reale potere delle soluzioni. Perché ogni soluzione arriva solo al momento giusto, una volta riusciti a sintonizzarci sulla realtà di ciò che sentiamo e i bisogni del momento.

Il dramma del pensiero positivo

Gabriele Oettingen, oggi docente di psicologia alla New York University e presso l'Università di Amburgo, all'inizio dei suoi studi si occupa dell'ottimismo sostenuta dalla convinzione che il pensiero positivo possa avere un felice influsso sulla nostra esistenza. In seguito, le ricerche smentiranno questa rosea convinzione. Non senza un certo sbigottimento (e numerosi test effettuati sulla popolazione studentesca dell'università di Amburgo) la ricercatrice scopre che quando ci lasciamo andare all'immaginazione assaporando solo le nostre fantasie più positive, andiamo incontro a una sorta di rilassamento, che alla fine rischia di produrre un blocco. Sì, perché il potere della visualizzazione è indubbio: attraverso le nostre immagini mentali siamo in grado di “assaggiare” il domani e prefigurare la realtà.

Tuttavia, anticipare un evento necessita di un profilo a tutto tondo, un'apertura a 360°. Concentrarsi unicamente sul pensiero positivo, invece, rischia di farci tralasciare dettagli fondamentali: uno fra tutti la sostanza e dimensione degli ostacoli, i quali possono rivelarsi preziosi alleati perché una volta individuati trasportano il sogno nella realtà e sono in grado di ispirarci le azioni concretamente necessarie per la realizzazione dei nostri progetti. Non solo. I bisogni giocano a nostro sfavore perché arrivano a “edulcorare” e farci giustificare azioni che altrimenti considereremmo in modo diverso. Come scrive l'autrice nel suo libro, “Io non penso positivo” (Edizioni Tlon), resoconto di anni di ricerche, la variabile dei bisogni agisce cercando di convincere la mente sull'esito positivo immaginato, esito che… potrebbe essere quanto più lontano dalla realtà dei fatti.

Terribile, vero? Tutto questo è tanto più considerevole (e impegnativo!) perché accade nel grande cono d'ombra della mente inconscia. Si tratta di processi che sfuggono al controllo di cui siamo consapevoli e fluiscono in noi in maniera sotterranea. Accade anche con i nostri pensieri. Dietro alle storie che raccontiamo a noi stessi e agli altri esiste una verità e non è detto che essa coincida con quanto riversiamo all'esterno. Non è una verità assoluta, ma semplicemente riguarda l'autenticità di ciò che sentiamo veramente.

Fare pace con la vita è accettare la morte

Nascondere la polvere sotto al tappeto è una grande tentazione. Tuttavia, ignorare i problemi non aiuta a risolverli. Al contrario, genera un sottofondo di sfiducia che continuiamo a respirare attimo dopo attimo pur senza rendercene conto. Essere positivi a tutti i costi si ritorce contro di noi quando è speranza di un miglioramento che si traduce in una generica attesa. Questo vale, per esempio, sul lavoro o nei rapporti di coppia: prima ancora di ogni tentativo di miglioramento è necessario prendere coscienza della situazione. Quando osiamo lasciare libertà alle emozioni, a salire a galla è un groviglio di sensazioni che ci prendono alla sprovvista. La chiave è lì, capace di spalancare una porta sull'infinito e metterci in connessione con la nostra visione autentica delle cose. Focalizzare è il primo passo per definire l'immagine: mettere a fuoco e, finalmente, vedere.

E se non andasse tutto bene? E se non guarissi dalla malattia? Se fossi bocciato? Se non ottenessi quello che desidero? Sono domande legittime. Ricorda che ognuno di noi ha il diritto di sentirsi triste. Hai il diritto di piangere, avere paura, sentirti in ansia: anche questo fa parte della vita. Se una persona di fianco a te si sta lasciando andare evita atteggiamenti da pacca sulla spalla o le cose che si dicono in questi casi, come “coraggio”. Sono le sue emozioni, rispettale. Che sia un figlio, il partner o la collega la soluzione non è trovare una consolazione, ma semplicemente… poter esprimersi. Impariamo a essere a fianco di chi amiamo nella tempesta, come alberi da abbracciare silenziosamente.

Lo psicologo statunitense Martin Seligman, autore di diversi libri sull'ottimismo e la costruzione della felicità, è considerato il fondatore della psicologia positiva, la quale si propone lo studio dei fattori in grado di influenzare la qualità di vita e concorrere a ciò che nell'antica Grecia veniva chiamato “eudaimonia”, un concetto che va oltre la felicità e intende il ben-essere (da “eu”, bene) che è saper vivere bene. Per dirla con le parole di Christopher Peterson, professore di psicologia presso l'Università del Michigan che per anni ha studiato l'ottimismo, saper vivere bene è ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Forse questa è la vera sfida: essere resilienti significa accettare la vita in tutte le sue sfumature e vivere pienamente ogni capitolo del grande libro della nostra esistenza, anche quelli più difficili, fino alla fine.

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