La notizia ha fatto il giro del mondo in poche ore: la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso di non sospendere la legge promulgata in Texas che proibisce l’aborto dopo le sei settimane di gravidanza, anche nel caso in cui la gravidanza sia frutto di stupro o incesto. Le donne texane non potranno dunque abortire una volta superato il mese e mezzo di gravidanza, lasso di tempo in cui “molte persone non sanno neanche di essere incinte”, come ha fatto notare l’American Civil Liberties Union (Aclu).
L’Alta Corte ha confermato la validità di quella che è diventata la più restrittiva legge d’America, varata nello stato più conservatore degli Stati Uniti e firmata lo scorso maggio dal governatore repubblicano Greg Abbott. Una legge, conosciuta con il nome “Senate Bill 8”, “SB8”, che secondo le associazioni in difesa delle donne incentiva la tendenza a diventare “cacciatori di taglie”. Questo perché, come spiegato dall’Aclu, chiunque - compresi gli attivisti anti-abortisti che non hanno alcun tipo di legame con i pazienti - può denunciare chi pensa stia praticando un aborto o prestando assistenza a chi decide di abortire dopo sei settimane: oltre ai medici, anche i dipendenti delle cliniche e dei consultori, le persone che aiutano la donna a sostenere le spese per l’intervento e addirittura quelle che la accompagnano.
“Questa legge non soltanto consente queste cause legali - tuona l’Aclu - ma le incoraggia attivamente, premiandole con 10.000 dollari nel caso in cui abbiano successo in tribunale. È una catastrofe giudiziaria razziale ed economica, decenni di razzismo e disuguaglianza strutturale nel sistema sanitario hanno lasciato persone appartenenti alla comunità Nera e Latina e chiunque sia in difficoltà economica con pochissime alternative rispetto alla crudele realtà che i politici texani hanno creato. È un assalto ai pazienti, al nostro sistema sanitario e al nostro sistema di supporto. Questa legge è chiaramente incostituzionale, e non smetteremo di lottare sinché non sarà fermata”.
A sancire il diritto all’aborto, in America, è stata la sentenza Roe contro Wade della Corte Suprema: era il 1973, e i giudici stabilirono il diritto delle donne a interrompere la gravidanza sino alle 22esima settimana, o comunque sino a quando il feto non è in grado di sopravvivere fuori dall’utero, cosa che avviene generalmente tra le 22 e le 24 settimane di gravidanza. Ma tanto sono vasti gli Stati Uniti tanto sono differenti le norme, e diversi Stati hanno sposato la linea repubblicana più conservatrice iniziando a promuovere leggi e restrizioni sull’aborto. È accaduto per esempio in Idaho, Oklahoma e South Carolina, dove ancora non c’è stata però una pronuncia, e anche in Mississippi, dove la legge che vieterebbe l’aborto dopo le 15 settimane dovrebbe essere votata in autunno.
I Paesi in cui l'aborto è illegale, vietato e osteggiato
Gli Stati Uniti non sono comunque l’unico Paese in cui infuria il dibattito sull’aborto. Lo scorso gennaio in Polonia è entrata in vigore la norma che sancisce il divieto assoluto di abortire, stabilita da una sentenza della Corte Costituzionale dell’ottobre del 2020 ed entrata in vigore diversi mesi dopo proprio a causa della gigantesca ondata di proteste che ha sollevato. In Polonia vigeva già una delle normative più restrittive d’Europa in termini di aborto, ammettendolo soltanto in caso di malformazioni del feto, gravidanze causate da stupro o incesto e pericolo di vita per la donna. Se gli ultimi due casi restano legali, con la sentenza di ottobre è stata vietata l’interruzione di gravidanza anche in caso di malformazioni del feto, che rappresentano nella stragrande maggioranza dei casi il motivo per cui le donne polacche ricorrono all’aborto.
In Slovacchia invece è stata la popolazione a scendere in piazza per chiedere di rendere l’aborto illegale. Nel settembre del 2019 migliaia di persone hanno manifestato per chiedere leggi più restrittive sull’accesso all’interruzione di gravidanza, che oggi è concessa sino a 12 settimane (l’aborto per ragioni mediche è permesso sino a 24 settimane). La Slovacchia è un paese a maggioranza cattolica, e i partiti di destra ed estrema destra avevano proposto di vietarlo del tutto, o quantomeno di limitarlo alle prime sei o otto settimane di gravidanza.
In Brasile, dove l’aborto è consentito solo in caso di stupro, pericolo di vita della donna o gravi problemi congeniti del feto, il ministero della Sanità ha dato un’ulteriore stretta alle norme stabilendo che, in caso di interruzioni di gravidanza per stupro, il medico è obbligato a offrire alla donna la possibilità di vedere l'embrione o il feto attraverso l'ecografia e a informarla sui rischi di azioni legali se non riesce a dimostrare che è stata violentata. Il presidente Jair Bolsonaro ha inoltre ribadito l’intenzione di combattere in ogni modo la “marea verde” - così è stato ribattezzato il movimento trainato dalle associazioni femministe argentine - e di continuare a ostacolare l’aborto legale: «Una legge come quella dell'Argentina (di cui parleremo più avanti, ndr) non sarà mai approvata. Combatteremo sempre per proteggere le vite degli innocenti».
Ci sono poi i Paesi in cui l’aborto è da sempre vietato o comunque osteggiato - El Salvador lo punisce con il carcere, così come Malta e Andorra, situazione simile in molti Paesi dell’America Latina e dell’Africa - ma negli ultimi mesi sono arrivate anche decisioni che hanno radicalmente cambiato le normative, liberalizzando l’aborto in Paesi in cui farvi ricorso per le donne era, se non impossibile, quantomeno molto difficile.
Aborto, la "marea verde" nel mondo
In Sud Corea, da gennaio 2021 non esiste più la legge contro l’aborto istituita nel 1953, anche se manca una nuova normativa che regoli l’accesso all’interruzione di gravidanza. L’aborto è diventato legale anche in Argentina, dove era ammesso solo in caso di stupro o di rischio per la salute della donna ma dove di fatto neppure questa parte della legge veniva praticamente mai applicata: dall’1 gennaio 2021 la nuova legge approvata dalla Camera legalizza, depenalizza e riconosce il diritto a un aborto legale, sicuro e gratuito fino alle 14 settimane di gestazione.
Anche la Thailandia si è mossa in questo senso, legalizzando a gennaio 2021 l’aborto entro le 12 settimane, mentre la Corte costituzionale dell’Ecuador (dove era concesso solo in caso di stupro su donna affetta da infermità mentale o di pericolo per la salute) lo ha depenalizzato in caso di stupro. E poi l’Irlanda: paese estremamente cattolico, sanciva a livello costituzionale il divieto all’aborto. Nel 2018 il parlamento ha approvato una legge che lo autorizza sino alla 12esima settimana.
Anche Gibilterra, dove l’aborto è illegale, ha modificato le sue rigidissime norme con un referendum che a giugno ha gettato le basi per l’entrata in vigore di una legge che permette di abortire sino alla 12esima settimana di gravidanza in caso di rischio per la salute mentale o fisica della donna e in caso di malformazioni del feto. In precedenza l’aborto era concesso solo in caso di pericolo di vita.
Un altro esempio in questo senso arriva da San Marino. Il 26 settembre i cittadini della Repubblica di San Martino saranno chiamati a votare un referendum popolare promosso dall’Unione Donne Sammarinesi (Uds) per decidere se rendere legale l’aborto entro i confini dello Stato. A San Marino l’aborto è illegale senza eccezioni, e il referendum consentirebbe di ricorrervi entro le 12 settimane di gravidanza, e anche oltre in caso di pericolo di vita per la donna o per gravi malformazioni del feto. Il codice penale di San Marino, "rimasto praticamente invariato dal 1865", come dicono dall'Uds, prevede a oggi agli articoli 153 e 154 “la reclusione da tre a sei anni per ogni donna che abortisce e per ogni persona che la aiuta e che procura l’aborto”.