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Femminicidi, emergenza silenziosa: altri due casi in meno di 24 ore

Accanto al bollettino dei morti di Covid-19, ce n’è un altro altrettanto drammatico. Quello delle donne che – ormai a ritmo quotidiano – vengono uccise dai loro compagni. Ieri, lunedì 13 settembre, altri due omicidi a Brescia e Cosenza

Giuseppina de Luca aveva 46 anni e si era trasferita in Valsabbia, nel Bresciano, dopo la separazione dal marito Paolo Vecchia. La sua decisione di trasferirsi non faceva seguito a nessuna denuncia di stalking, anche se non è da escludere che fosse vittima di violenze fisiche e psicologiche. Si era quindi allontanata, forse presagendo quello che le sarebbe successo. L’uomo l’ha colpita con dieci coltellate mentre usciva di casa. “Era una famiglia normale” - ha raccontato il sindaco di Agnosine Giorgio Bontempi - “Due grandi lavoratori”.

Una famiglia normale. Difficile pensare che lo fosse davvero.

Poi c’è la storia di Sonia Lattari, 43 anni, di Fagnano Castello, a Cosenza, uccisa dal marito Giuseppe Servidio con un coltello da cucina dopo l’ennesimo litigio. Negli ultimi tempi l’uomo la accusava di tradirlo, un’ossessione che non aveva ragioni, come tutte le ossessioni. La donna era stata tentata più volte di sporgere denuncia ma non l’aveva mai fatto, rifiutando anche l’aiuto del centro anti-violenza.

Storie da cui sgorgano varie riflessioni sulle cause che hanno generato – e generano tutt’ora – lo stillicidio di cui siamo testimoni. Una riguarda un punto essenziale, che rivela l’aggravarsi di una situazione di per sé drammatica: il fatto che queste donne non avessero sporto denuncia. Perché, ci si chiede? Forse dev’essere balenato loro un pensiero doloroso: “Tanto non serve a niente”. Perché sono centinaia le donne assassinate negli ultimi anni (addirittura 1055 dal 2012), che si erano affidate alla giustizia per difendersi dai loro compagni violenti, donne che le autorità e le leggi attualmente in vigore non hanno saputo salvare. Le storie di Giuseppina e Sonia dovrebbero dunque far riflettere sul dramma – enorme, una piaga da risanare il prima possibile - della perdita di fiducia nei confronti della giustizia, della paura che le autorità non riescono a sradicare. Cosa si può fare per rassicurare le donne che non verranno uccise dai loro mariti?

Un'altra riflessione riguarda la narrazione dei femminicidi da parte dei media. Si indaga sulla vita delle donne assassinate – la loro intima tragedia, le botte, i litigi, i tentativi di allontanamento – senza approfondire la storia degli uomini maltrattanti. Chi sono, questi uomini? Cosa li spinge ad arrivare a uccidere le loro donne, quale malessere covano nel profondo? Debolezza, ci si risponde, la debolezza dell’uomo contemporaneo che non accetta di essere lasciato dalla propria donna. Oppure, con una terminologia molto di moda negli ultimi tempi, si derubrica il tutto parlando di mascolinità tossica. In questa banalizzazione del fenomeno potremmo invece arrivare a porci una domanda scomoda: come potremmo aiutare questi uomini a liberarsi dall’odio prima che arrivino a uccidere? O ancora: come potremmo evitare che si generi questo odio? Un pensiero sicuramente disturbante, quasi un tabù. Perché aiutare il carnefice non si fa, semmai lo si punisce. E invece, analizzare le cause e le concause sistemiche del femminicidio potrebbe aiutarci a comprendere che il problema non sta (solo) nel singolo, ma risiede nella struttura sociale che lo accoglie. Una struttura che va riformata partendo dalle sue fondamenta.

Altrettanto disturbante è poi il silenzio della politica, l’indifferenza strisciante che dilaga, la mancanza di voci autorevoli che sensibilizzino, che parlino col cuore, che ci diano un’immagine vivida di ciò che sta accadendo. Sono sole, le donne. E sappiamo che con l’emergenza sanitaria le loro case sono diventate delle prigioni ancora più soffocanti. Il Ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna ha recentemente proposto di istituire dei corsi di difesa gratuiti per le donne. E qui si torna al punto di prima, ovvero all’incapacità di riconoscere la complessità e l’ampiezza del problema. Proporre alle donne di imparare a difendersi è come curare un sintomo con una medicina senza indagare la causa di quel sintomo. Fa sorridere amaramente, l’idea della ministra Carfagna, e l’amarezza nasce dal fatto che al momento la sua sia l’unica proposta concreta che si spinge al di là di un approccio puramente punitivo del femminicidio.

La Legge sul femminicidio

Emanata nel 2013, prevede un’aggravante nel caso in cui, a uccidere la donna, sia una persona legata a lei da relazione affettiva, anche senza convivenza. Inoltre, prevede la possibilità da parte della polizia giudiziaria di disporre, previa autorizzazione del magistrato pubblico ministero, l’allontanamento urgente dell’uomo dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla donna.

A rinforzare queste misure è stata poi la Legge sul codice rosso del 2019, che ha introdotto una particolare procedura d’urgenza per tutti i casi di violenza domestica, di stalking e, più in generale, di abusi e maltrattamenti familiari.

Le leggi ci sono, dunque. Spesso, però, manca il controllo da parte delle forze dell’ordine. Difficile, del resto, controllare che un uomo non si avvicini alla donna senza dispositivi di controllo (come i braccialetti elettronici imposti ai detenuti agli arresti domiciliari). Oppure, capita che l’uomo, dopo aver commesso l’omicidio, si suicidi. Come evitare dunque queste morti?

A livello internazionale, il Parlamento Europeo sta discutendo su un documento che renderebbe il femminidio un “eurocrimine”, ovvero un reato di massima gravità, equiparabile ai reati di mafia, terrorismo, di tratta di esseri umani. Se il testo venisse approvato, il femminicidio diventerebbe una priorità internazionale, comportando anche l’abbreviazione dei tempi dei processi.

Provvedimenti utili e necessari, che però non rispondono all’urgenza di riformare nel profondo il nostro sistema culturale. Un'urgenza che non può (più) aspettare. Si attendono dunque le idee e le voci della politica ma non solo, anche dei cittadini, delle donne e degli uomini. Perché quello delle morti femminili è un fenomeno che ci riguarda tutti e che ci dà l'occasione di cambiare davvero. Finalmente.

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