Pe quanto ci si sforzi, non è sempre facile guardarsi allo specchio e amare e accettare ciò che si vede. La body positivity, ovvero osservarsi da vicino e apprezzare ciò che si vede senza paragonarsi ad altri (quasi sempre in senso negativo), non è una capacità innata, ma un esercizio da praticare, un po’ come accade per discipline come lo yoga e la meditazione. Lo sa bene Jessamyn Stanley, insegnante di yoga, imprenditrice e scrittrice, una delle voci più autorevoli nel campo del wellness e della body acceptance.
Stanley, 34 anni, ha fondato “The Underbelly”, un brand che offre lezioni di yoga in streaming e che abbraccia una filosofia di benessere a 360 gradi fondata sull’accettazione di sé, l’inclusione e una profonda consapevolezza. Stanley è anche l’autrice di un libro diventato bestseller intitolato “Every Body Yoga”, in cui invita, tra le altre cose, a non ossessionarsi con la body positivity, ma a dedicarsi piuttosto alla body acceptance, ad accettare cioè ciò che si è e si sente anche nei momenti in cui di pensieri positivi proprio non ce ne sono. Una visione che supera insomma quella della “positività a tutti i costi” che rischia di diventare una gabbia: difficile, per Stanley, amare il proprio corpo ogni giorno, e la spinta sempre più mainstream a farlo finisce per produrre l’effetto opposto. E cioè a far sentire sbagliati perché non si riesce a essere, appunto, positivi nei confronti del proprio corpo.
Ai suoi 471.000 follower Stanley lo ripete ogni giorno attraverso foto, video e riflessioni: “Sto postando queste immagini e invadendo la vostra timeline perché mi è stato recentemente fatto notare che la fobia per il grasso è ancora viva e sta bene. Mi hanno fatto notare che è ancora un mondo in cui le persone sentono che non possono essere loro stesse, e per me non funziona così”, ha replicato ad alcuni commenti a una serie di scatti che la ritraggono nuda e sorridente.
Alla body acceptance, Stanley ha dedicato il suo nuovo libro, uscito poche settimane fa: intitolato “Yoke” (e edito da Wokman Publishing), contiene una serie di brevi saggi autobiografici in cui affronta con ironia pungente e senso dell’umorismo gli argomenti più disparati: chiama in causa un brand americano specializzato in yoga che dibatte sui pro e contro dei tessuti dei leggings ma non affronta quella che definisce “evidente bianchezza”, oppure si chiede perché la visione del mondo occidentale dello yoga così spesso accantoni l’aspetto più spirituale di questa disciplina. E soprattutto, spiega perché amare se stessi “è un lavoro a tempo pieno”, e come tutti i lavori si deve imparare e non sempre piace.