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Perché il film “Spencer” ci ricorda che Lady Diana era un simbolo di libertà e femminismo, non una vittima

Lady Diana
Rivivrà sul grande schermo grazie a Kristen Stewart nel film "Spencer", in concorso al prossimo Festival di Venezia, dimostrando come la sua eredità sia ancora preziosissima: ecco perché Lady Diana è oggi più che mai icona femminista e simbolo di un’esistenza libera.

A ventiquattro anni dalla sua scomparsa, il ricordo di Lady Diana, icona intramontabile e senza tempo, è più vivido che mai. A breve la sua leggenda rivivrà sul grande schermo nel film Spencer, del regista Pablo Larrain, in concorso al prossimo Festival di Venezia, in programma dall’1 all’11 settembre 2021.

Interpretata da Kristen Stewart, la Lady D raccontata da Larrain, già autore del film Jackie, sarà un omaggio al suo animo libero e anticonformista, che l’ha portata negli anni a sfidare regole e convenzioni rigidissime in cerca della sua indipendenza. È un’icona femminista quella di Larrain, che sceglie di concentrare la sua opera su quei tre giorni del dicembre 1991, quando, durante le vacanze di Natale, nella tenuta di Sandringham, a Norfolk, Lady Diana matura la decisione di divorziare da suo marito, il principe Carlo.

Va dunque in scena con Spencer l’attimo prima in cui la crisalide si trasforma in farfalla. L’inizio di quell’atto secondo, che segna la nuova vita di Diana e ci consegna di lei l’immagine più bella, forte e luminosa.
Non è un caso, del resto, che il titolo scelto sia semplicemente “Spencer”.

Su Lady Diana, negli anni, si sono spesi fiumi interi di parole e d’inchiostro, quasi sempre, però, per raccontarne le vicende drammatiche, gli scandali, i beffardi tiri del destino fino a quel maledetto 31 agosto del 1997, quando, a soli 36 anni, Diana Frances Spencer muore in un incidente automobilistico sotto il tunnel del Pont de l'Alma a Parigi, segnando la fine di un’era.

Quasi sempre, quando si parla o si scrive di lei, ci si imbatte nell’appellativo “principessa triste” e nella narrazione vittimistica e passiva della donna sofferente che ha portato sulla pelle i segni di una vita infelice e ostile. Eppure, ciò che più raramente di Lady Diana viene ricordato è la sua libertà, il desiderio disperato e ardente di scegliere una vita che le appartenesse davvero, a costo di far tremare e ribaltare tradizioni millenarie e mettere in discussione un’intera monarchia, da sempre sacra e intoccabile.

Così, l’immagine della donna tradita, della principessa triste, viene facilmente scalzata da quella di una moderna femminista che detta le sue regole e trova finalmente il suo posto nel mondo.

Ed è proprio questa l’immagine della principessa del Galles che vogliamo celebrare, ricordando come la sua sia stata prima di tutto una testimonianza disperata e modernissima di libertà e indipendenza.

Il femminismo di Lady Diana nei suoi gesti più rivoluzionari

Qui di seguito abbiamo scelto di ricordare alcuni dei suoi più celebri gesti rivoluzionari che ne hanno fatto un’icona femminista e il simbolo di un’esistenza coraggiosa e libera.

La scelta di divorziare

La sua fu la scelta di una donna che ha rivendicato fino all’ultimo il diritto e il desiderio di essere amata e che, preso atto dell’impossibilità di esaudirlo, rifiuta di scendere a compromessi per salvaguardare il suo status di futura regina, dandosi la possibilità di essere felice. Il suo, in definitiva, fu un coraggioso e rivoluzionario atto d’amore verso se stessa. Non è difficile notare il cambiamento fisico che manifestò a seguito di questa decisione: il suo look, la sua salute fisica, il suo sguardo, il suo portamento, tutto in lei era espressione di vitalità e rinascita. E sono proprio quegli ultimi anni a definire meglio Diana, la sua forza e la sua personalità.

La rottura dei tabù e delle regole dell’etichetta

Fu la prima sposa Windsor a non pronunciare nella promessa nuziale la formula di obbedienza nei confronti del marito e la prima della Royal Family a pretendere di partorire in ospedale.

Fu sempre lei ad aprire il suo cuore al popolo, annullando la distanza fino a quel momento incolmabile tra la corte e i sudditi: parlò apertamente dei suoi problemi con la bulimia, dei tradimenti subìti e inferti, della depressione post-partum, dei suoi cinque tentativi di suicidio. Passò alla storia la sua frase “il nostro matrimonio era un po’ troppo affollato”, in riferimento ai tradimenti continui del marito con la sua storica amante Camilla Parker Bowles. Scelse con coraggio di mostrare la parte più intima e personale della sua vita, avvicinando ancora di più a sé la gente comune.

Il linguaggio non verbale e l’empatia

Sin dall’inizio Diana si distinse dagli altri membri della Royal Family per una forte espressività, uno dei tratti più caratteristici della sua personalità, che in futuro ne decreteranno l’indiscutibile fama e il carisma innato. I suoi occhi, timidi e impauriti, il volto abbassato e un portamento incerto sono all’inizio i modi con cui il mondo intero conosce Diana. Ma negli anni, quell’espressività vulnerabile e così sincera diventa la sua più preziosa ricchezza: la sua capacità di empatia resterà sempre un dono insostituibile.

Fu proprio quel suo modo di comunicare, quella sua fisicità, l’annullamento della distanza emotiva e fisica con i sudditi, a renderla speciale e a farne l’indiscussa principessa del popolo, specie in un mondo come quello reale che segnava fortemente la distanza e faceva dell'autocontrollo un valore supremo.
Fu la prima reale a toccare le persone: stringeva mani, accettava mazzi di fiori dalla folla, si inginocchiava per salutare i bambini e ne accarezzava il capo. Fu interprete di un linguaggio di rottura potentissimo che contribuì a definire nuovi codici e una nuova liturgia della comunicazione.

E fece lo stesso con i suoi figli: fu una madre affettuosa e non fece mai nulla per nasconderlo. Non vi è foto che la ritrae insieme ai due figli in cui non mostri nei loro confronti gesti premurosi e dolci. Anche in questo ruppe l’etichetta reale e sostituì alla fredda compostezza dei membri di Palazzo un’emotività materna e rassicurante.
Divenne famosa la sua corsa scomposta e a piedi nudi nel prato durante una gara tra mamme in occasione di una festa nella scuola del figlio William: ancora una volta dimostrò di appartenere più alla folla che salutava che alle sontuose stanze di Palazzo.

La scelta di sposarsi con la tiara di famiglia

Sin da subito diede prova di una certa indipendenza, scegliendo di indossare nel giorno delle nozze, il 29 luglio del 1981, una tiara appartenuta alla sua famiglia di origine, gli Spencer, e non quella che le avrebbe dato in dono la regina, appartenente alla famiglia reale. Così Diana andò in sposa con la tiara che sua nonna aveva ricevuto quando si era unita in matrimonio con il settimo conte Spencer, preferendo affermare la propria identità anche nel giorno della sua unione con l’erede al trono.

L’uso dell’abbigliamento come espressione di sé e mezzo per comunicare

Fu rivoluzionaria anche in questo: l’abbigliamento fu per lei un canale espressivo, un modo nuovo per esprimere la propria emotività e interiorità, spesso bloccata a livello verbale, per evidenti ragioni di etichetta. Il suo look non fu solo un linguaggio stilistico ma parte di quella comunicazione non verbale di cui si è sempre fatta interprete, un modo per farsi conoscere, aprirsi agli altri, annullare nuovamente quella distanza che si imponeva ai membri reali.

E non lo fece soltanto scegliendo abiti decisamente poco regali fino a quel momento, come i jeans, i pantaloncini da ciclista, le felpe oversize o i vestiti corti e leggermente scollati, ma anche con scelte stilistiche che suonavano come vere dichiarazioni di intenti.

Impossibile non citare a questo proposito il "Revenge dress", l’abito della vendetta, un vestito nero, corto e con spalle scoperte, che Diana sfoggiò nel giugno del 1994 al Garden Party, alla Serpentine Gallery di Londra.
La sua scelta quella sera doveva essere un abito della maison Valentino, ma all’ultimo la donna optò per quell’outfit audace della stilista greca Christina Stambolian, per una precisa ragione: fu la sua risposta all’intervista rilasciata poco prima, quella sera, da Carlo in cui quest’ultimo ammetteva per la prima volta in pubblico i suoi tradimenti.

Anche in quell’occasione, il suo look parlò per lei. Diana scelse di comunicare al mondo intero, senza proferire parola, il suo stato d’animo. E l’immagine che consegnò al mondo fu quella di una donna libera ed emancipata, pronta a guardare avanti e ad amare finalmente se stessa.

Che i desideri e gli intenti di Diana passassero anche attraverso il suo stile, ne è testimonianza anche un altro celebre abito della principessa, il "Caring dress", che Diana fece creare appositamente per le sue visite ai bambini in ospedale. Era un abito da giorno blu con un brillante motivo floreale: fu una precisa scelta di Diana perché sapeva che i bambini amavano i colori vivaci e desiderava portare gioia e spensieratezza. Non solo, l’abito venne inizialmente concepito con un cappello in coordinato che però Lady Diana scelse di non indossare, spiegandone così la motivazione: “Non puoi coccolare un bambino con un cappello”. Ancora una volta, fu per lei prioritaria la vicinanza a quel suo popolo tanto amato.

Il suo impegno umanitario

Diana trovò il suo vero posto nel mondo quando comprese di volere aiutare gli altri. Ha sposato cause umanitarie e sociali poco battute all’epoca, dando voce a malati ed emarginati e portando all’attenzione dell’opinione pubblica temi considerati ancora uno stigma.

Memorabile l’immagine della principessa che stringe la mano a un malato di AIDS, durante una visita alla London Lighthouse nel 1996, in un momento in cui era opinione ancora diffusa che il contagio della malattia potesse avvenire anche tramite contatto. Diana non amò mai indossare i guanti, proprio perché desiderava poter toccare la gente, e li rifiutò consapevolmente anche in quell’occasione, contribuendo a modificare per sempre la percezione che la gente aveva dei malati di AIDS.

Tra le sue moltissime missioni umanitarie, si ricorda anche quella in Angola nel 1997, poco prima di morire, quando camminò nei campi minati, munita di elmetto e giubbotto antiproiettile, facendo visita ai malati vittime delle mine antiuomo. Anche in questo caso, un’immagine evocativa e materna è passata alla storia: Diana che stringe a sé con affetto una bimba, vittima delle mine antiuomo, con uno sguardo dolce e pieno di compassione.

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