In principio fu il liceo Zucchi di Monza, dove i ragazzi si presentarono in gonna per protestare, vestendosi in gonna e vestiti, contro il sessismo e la mascolinità tossica di cui è improntata la nostra società.
Oggi il teatro delle polemiche è invece il Liceo Righi di Roma. E in scena vanno luoghi comuni e discriminazioni sessiste, ancora più gravi se a farle è chi ha il compito di educare, soprattutto al pensiero.
I fatti
A suscitare l'interesse della cronaca, e soprattutto lo sdegno degli studenti, è stato un episodio accaduto tra le mura del Liceo Righi con protagonista un'allieva di 16 anni.
Dai racconti degli studenti emerge che durante un'ora buca l'insegnante oggetto della querelle avrebbe sorpreso Rebecca, la studentessa coinvolta, mentre accennava un passo di danza con un compagno. A suscitare lo scandalo però sarebbe stata la maglietta dell'alunna, alzata al punto tale da mostrare la pancia.
E, nella mattinata del 14 febbraio, la docente avrebbe così pronunciato la ormai celebre frase: "Ma che stai sulla Salaria?". Dando inizio ad un botta e risposta che è proseguito sui social, sui giornali e alla fine anche in piazza.
Il punto di vista di Rebecca
La studentessa ha affermato che se un suo compagno maschio avesse indossato invece dei pantaloncini corti, la professoressa in questione si sarebbe limitata a rammentargli di non trovarsi al mare. E proprio in questo starebbe la discriminazione e la differenza di giudizio tra ragazze e ragazzi. Ma non solo.
L'alunna del Liceo Righi ha raccontato: "Dopo avermi vista mi ha dato della prostituta, umiliandomi davanti ai miei compagni, parlando della mercificazione del corpo e minacciandomi di mettermi una nota e di farmi sospendere perché non stavo rispettando il dress-code della scuola".
Oggi i suoi compagni di classe hanno infranto le regole di quello stesso dress-code e si sono presentati a scuola con crop top, pantaloncini corti e gonne. Istituendo una vera e propria "zona fucsia".
"Sono felice di come è finita questa giornata. C'è stata tanta gente alla protesta e ho sentito vicini i miei compagni: ragazze e ragazzi che hanno infranto il dress code. La professoressa? Non mi ha ha effettivamente chiesto scusa perché si rifiuta di chiedermi scusa per una cosa 'non detta'", ha commentato la ragazza.
Non solo sessismo
Alcuni luoghi per la loro istituzionalità necessitano sicuramente di comportamenti e "uniformi" all'altezza di rappresentarli. Proprio in virtù di questa istituzionalità però, e del ruolo che la scuola dovrebbe rivestire nella società di oggi, nasce spontaneo chiedersi che valore attribuire a questa istituzione. E al compito che è chiamata a svolgere.
Se infatti le uniformi non esistono più, i ruoli di chi insegna e di chi apprende dovrebbero essere nettamente tracciati. Con la possibilità di uno scambio comune, si intende. Ma con la certezza di stare gli uni da una parte, e gli altri dall'altra. E con l'auspicio di incontrarsi a metà strada.
Rebecca ha quindi sicuramente la responsabilità di aver "violato" il dress-code della scuola, ma anche la coerenza di averlo fatto nel rispetto dei suoi 16 anni di vita. E di quel ruolo che, istituzionalmente, è chiamata a rivestire: quello di un'alunna che sta imparando.
C'è da chiedersi però se lo stesso rispetto, la stessa coerenza siano stati utilizzati da chi invece ha l'obbligo, per contratto, di insegnare.
Lontani infatti dal sessismo, dalle questioni di genere e di discriminazione, la vicenda del Liceo Righi ribadisce un'unica grande verità, presupposto poi di tutte le altre. Nonostante infatti l'esperienza e lo studio, ci sono cose che non si possono imparare, e la sensibilità rientra tra queste.