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Emancipazione femminile e moda: una mostra ripercorre gli abiti che hanno liberato la donna

La modella Twiggy nel 1967
Dai primi reggiseni fino al Wrap Dress di Diane von Furstenberg, la mostra “HABITUS. Indossare la libertà” a Carpi (MO) fa il punto sugli indumenti che hanno dato il coraggio alle donne di liberarsi da costrizioni fisiche e sociali

Che la moda abbia accompagnato i cambiamenti sociali dell’ultimo secolo è ormai cosa nota, e sono tante le equazioni che vengono in mente pensando, ad esempio, alla minigonna (con Twiggy e la roboante Swinging London), oppure i jeans (con la Gioventù Bruciata degli Stati Uniti degli anni ‘50). A fare però il punto sugli indumenti che hanno avuto un ruolo chiave nelle varie tappe dell’emancipazione femminile è la mostra HABITUS. Indossare la libertà, in scena ai Musei di Palazzo dei Pio di Carpi (MO) fino al 6 marzo 2022.

Curata da Manuela Rossi, Alberto Caselli Manzini e Luca Panaro, l'esposizione ripercorre la storia del Novecento attraverso gli abiti più iconici che hanno liberato le donne – ma in alcuni casi anche gli uomini - rappresentando una svolta non solo nel loro modo di vestire, ma anche nel loro ruolo nella società. Si parte dall’anticorsetto di Paul Poiret per giungere alla giacca destrutturata di Giorgio Armani, passando per i primi pantaloni creati da Coco Chanel per le donne, gli hot pants, il bikini e lo sportswear. Accanto agli abiti sono esposte fotografie e installazioni video, in un racconto multimediale della storia della moda che si sovrappone a quello della condizione femminile in Occidente.

Coco Chanel nella sua casa in Costa Azzurra
Coco Chanel nella sua casa in Costa Azzurra

E attraversando la mostra, sono quattro le sezioni che si incontrano: c’è Liberare il Corpo, che si concentra sulle importanti rivoluzioni di costume di inizio Novecento, c’è Scoprire il corpo, che proietta invece i visitatori nel Secondo Dopoguerra, c’è Work, sport, cool, che riflette sulla tendenza degli abiti unisex introdotta negli anni ‘80, e infine Destrutturare, una sezione dedicata a due capi diventati cult, il Wrap dress di Diane von Furstenberg e la Giacca destrutturata di Giorgio Armani.

La mostra parte dunque da un secolo fa, dai primi decenni del Novecento, quando le donne venivano lentamente (e finalmente) liberate da quei busti, pizzi e abiti lunghi che racchiudevano convenzioni sociali e cliché. Erano gli anni delle suffragette di Emmeline Pankhurst e del fumetto Betty Boop, ma anche delle prime donne che iniziavano a inserirsi in contesti esclusivamente maschili, come nel caso dell’aviatrice Amelia Earhart, oppure di Marie Curie. Proprio in quegli anni furono presentati alcuni dei capi che hanno maggiormente rivoluzionato la storia femminile, complice una Prima Guerra Mondiale che esigeva un ruolo attivo delle donne nella società. Fu nel 1914 che lo stilista francese Paul Poiret presentò il suo storico anticorsetto, mentre fu nei primi anni ’20 che apparvero i primi reggiseni grazie a Ida Rosenthal, cucitrice presso il piccolo negozio newyorchese Enid Frocks, che iniziò a produrne di ogni forma. Sempre durante la Grande Guerra Coco Chanel disegnò i primi pantaloni per le donne mentre Marcel Rochas creò nel 1932 il power suit, ovvero il completo femminile giacca e pantalone, ripreso e rilanciato dagli stilisti negli anni ’80.

Parigi, 1925. Una modella indossa uno dei primi reggiseni
Parigi, 1925. Una modella indossa uno dei primi reggiseni

Innovazioni che nel Dopoguerra raggiunsero il successo di massa grazie alle immagini del cinema e della televisione. Nel 1949, Silvana Mangano mostrava al mondo l’abbigliamento delle mondine in Riso amaro, mentre i film di Hollywood – ma non solo - diffondevano un’immagine femminile sempre più indipendente e anticonformista. Gli anni Sessanta, protagonisti dell’immaginario collettivo della liberazione femminile, sono rappresentati dalla minigonna di Mary Quant, dai bikini e dagli outfit che lasciavano scoperto l’ombelico. Una rivoluzione, quella della minigonna, che rappresentò un momento epocale nella storia di una generazione intera e non solo. Perché per la prima volta nella storia venne segnata una netta divisione tra l'abbigliamento delle madri e quello delle figlie. Uno scontro generazionale che si rispecchiava nei nascenti movimenti studenteschi e hippie. Ma a chi accusava Mary Quant di essere eccessivamente frivola, lei rispondeva: “La moda non è frivola. Fa parte dell'essere vivi oggi”.

Una mondina nella campagna carpigiana (ca 1947-48)
Una mondina nella campagna carpigiana (ca 1947-48)

Gli anni ’70, invece, portarono la rivoluzione del prêt-à-porter, con i capi prodotti serialmente, ma anche lo sdoganamento dell’abbigliamento sportivo. In quegli anni nasceva anche il concetto di “destrutturazione”, che aboliva tutte le ultime impalcature che irrigidivano gli abiti (dalle spalline alle controfodere) e che rendeva gli abiti ancora più rilassati, liberi di accompagnare le forme di chi li indossava. Simbolo dei capi destrutturati era il Wrap Dress di Diane von Furstenberg, che avvolgeva il corpo femminile come se fosse un mazzo di fiori, esaltando le curve e la sensualità del corpo femminile. "Disegno per la donna che ama essere donna", disse la stilista.

Diane von Furstenberg nel suo primo showroom newyorkese nel 1972
Diane von Furstenberg nel suo primo showroom newyorkese nel 1972

Ad accompagnare la mostra - ideata e prodotta dal Comune di Carpi – Musei di Palazzo dei Pio, col contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e Assicoop Unipol - è poi un progetto collaterale a cura di Fondazione Fashion Research Italy, che presenterà una serie di 29 disegni ispirati alla natura, parte dell’Archivio di Textile Design della Fondazione.

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L'allestimento della mostra
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