Dopo il successo italiano delle Olimpiadi, gli occhi degli amanti dello sport si rivolgono verso le Paralimpiadi di Tokyo 2020, la massima competizione paralimpica. E ancora prima dell'inizio dei giochi, la squadra italiana è già motivo di orgoglio, data la percentuale mai così alta di donne in gara (63 contro 52 uomini) e l'età media di 33 anni, di 3 anni inferiore rispetto a Rio 2016. Una squadra più giovane e femminile, dunque, pronta a migliorare il risultato di Rio 2016 (con 39 medaglie complessive conquistate) e appassionare tanto quanto la squadra olimpica, se non di più. Perché se le vite degli atleti olimpionici ci hanno incuriositi, le storie delle atlete paralimpiche hanno tutto il sapore di chi non si arrende neanche davanti ai colpi più duri della vita.
Bebe Vio
Campionessa olimpica, mondiale ed europea di fioretto individuale, a soli 24 anni è il volto più celebre e sorridente del paralimpismo italiano. Colpita a soli 11 anni da una meningite fulminante che le causò estese necrosi alle braccia e alle gambe, Bebe Vio è diventata negli anni un modello per migliaia di portatori di disabilità e non solo. A Tokyo è la portabandiera degli azzurri insieme al nuotatore Federico Morlacchi. In questa edizione difenderà l'oro individuale e il bronzo vinto in squadra a Rio 2016. “Sono molto felice di essere qui - ha raccontato in conferenza stampa - mi mancavano troppo le emozioni della competizione”. Nei giorni scorsi ha lanciato un appello su Instagram ai tifosi: “Mi raccomando italiani guardateci, ho bisogno del vostro tifo. Sarà fighissimo".
Carlotta Gilli
“Mi chiamo Carlotta Gilli e praticamente sono nata in acqua. Il mio superpotere è sempre stato di non fermarmi davanti alla prima difficoltà che mi si poneva davanti agli occhi”. Così si presenta Carlotta Gilli sul suo sito. Classe 2001, è una delle nuotatrici più promettenti di questi giochi. Da quando è nata è affetta dalla malattia di Stargardt, una retinopatia degenerativa su base genetica che colpisce circa una persona su diecimila. Una malattia che non le ha impedito di seguire la sua passione per il nuoto, portandola a vincere la medaglia d'oro ai mondiali di Città del Messico nel 2017 e a quelli di Londra del 2019, oltre a detenere 6 record del mondo in vasca lunga, 5 record del mondo in vasca corta e 3 record Europei in vasca lunga.
Enza Petrilli
Ha scoperto la passione per il tiro con l'arco mentre era in riabilitazione, circa cinque anni fa. E oggi, Enza Petrilli è l'emblema della rinascita dopo un trauma. Nata a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, a venticinque anni si è trovata coinvolta in un grave incidente stradale che le ha fatto perdere l'uso delle gambe. Un colpo durissimo che Enza ha saputo trasformare in un'occasione di scoperta personale. «Dopo l’incidente ho scoperto la mia persona, perché prima forse non mi conoscevo nemmeno io. E non sapevo di avere tutta la forza che alla fine ho avuto», ha raccontato in un'intervista. Vincitrice di numerose medaglie sia a livello regionale che nazionale, Enza partecipa per la prima volta alle Paralimpiadi.
Arianna Talamona
Su Instagram racconta con ironia la sua vita da nuotatrice in carrozzina. Dai reel sulla sua malattia - la paraparesi spastica ereditaria - fino ai video ironici sui cambi di look, passando per i post sulla mancanza di motivazione quando deve allenarsi, Arianna Talamona, classe 1994 di Varese, è riuscita a scardinare tutti gli stereotipi sulla disabilità. Campionessa del Mondo nei 50 delfino e 200 misti agli scorsi Campionati del Mondo di nuoto paralimpico a Londra, oggi è alla sua seconda partecipazione ai giochi paralimpici. Una sfida che Arianna affronta col sorriso, come sempre.
Martina Caironi
Tutti gli occhi sono puntati su di lei. Martina Caironi, nata nel 1989 ad Alzano Lombardo, è una delle campionesse paralimpiche più attese a queste Paralimpiadi. La sua carriera, fulminea, inizia nel 2007, quando perde la gamba sinistra in seguito a un incidente stradale. Lei, che giocava a pallavolo, decide subito di iniziare una sfida più grande, l'atletica. In pochi anni è riuscita a conquistare l’oro nei 100 m a Londra e a Rio, dove è stata la portabandiera italiana. Oggi, alla sua terza edizione dei giochi, dice: “Voglio il tris nei 100 e la vittoria anche nel salto in lungo”.
Monica Contrafatto
Legata alla storia di Martina Caironi c'è quella di Monica Contrafatto. Nata nel 1981 a Gela, la sua vita cambia nel 2012 mentre era in Afghanistan per una missione di pace con il contingente italiano. Qui, un colpo di mortaio le causa l'amputazione di una gamba. Un'esperienza traumatica che non le impedisce di continuare ad amare l'Afghanistan. “Sono partita vuota e sono rientrata piena dentro. Io mi sono innamorata dell’Afghanistan la prima volta che sono andata e non vedevo l’ora di ritornarci non per il bene che facevamo, ma il bene che loro facevano a me”, spiega in un'intervista. La sua carriera nello sport nasce in ospedale a Roma, quando vede Martina Caironi vincere l'oro per i 100 metri alle Paralimpiadi del 2012. Agli amici dice: «Avete visto questa ragazza? Un giorno la batterò». Nel 2016, a Rio, si ritrovano insieme sul podio: Martina vince l'oro, Monica il bronzo.
Ambra Sabatini
Ha solo 19 anni e ha già strappato il record mondiale dei 100 m a Martina Caironi. Ambra Sabatini è l'atleta-rivelazione diventata la sprinter più veloce al mondo dopo solo un anno e mezzo dall'amputazione. Anche lei, quando perse una gamba dopo l'incidente il moto col papà, prese Martina Caironi come modello. Durante la loro prima gara insieme, Martina le fece una dedica: “Alla prima gara di tante insieme”. Oggi, Martina è la sua mentore. “Voglio mostrare a tutti coloro che passano i momenti che ho passato io quanto lo sport sia il modo migliore per capire che si può avere una vita piena e felice, in qualunque condizione. Se i miei risultati possono servire a questo, sono già contenta. Se poi arrivano le medaglie, meglio”, racconta al Corriere.
Assunta Legnante
Un esempio di resilienza. Nata nel 1978 in provincia di Napoli, la sua carriera nel lancio del peso viene interrotta quando il glaucoma congenito inizia a peggiorare, causandole la cecità totale a 34 anni. "Per me era impossibile immaginare che una persona non vedente potesse partecipare a una gara di getto del peso", spiegherà in seguito in un'intervista. Eppure, a pochi giorni dai giochi Olimpici di Londra 2012, a cui avrebbe dovuto partecipare come vedente, Assunta decise di iscriversi ai giochi paralimpici, vincendo l'oro nel peso. Attualmente detiene il record mondiale del peso e dal 2019 il record europeo del disco.
Giulia Ghiretti
Ai campionati mondiali di nuoto tenutisi a Città del Messico nel 2017 è stata la portabandiera della nazionale italiana. Giulia Ghiretti, classe 1994, è una delle nuotatrici italiane più brillanti. Ex ginnasta, all'età di 16 anni una brutta caduta durante un allenamento le provoca la frattura di una vertebra che le causa la paralisi delle gambe. Da qui, l'avvicinamento al nuoto, inizialmente per ragioni fisioterapiche, poi come disciplina agonistica. “L'infortunio ha cambiato la mia vita, togliendomi l’uso delle gambe, ma non il mio modo di essere e di vivere lo sport. Mi sono tuffata in piscina e nell’acqua ho ritrovato la voglia di combattere, di competere e di vincere”, spiega sul suo sito. A partire dal 2013, Giulia ha vinto 42 titoli italiani e detiene un record del mondo in 50 farfalla S5 in vasca corta.
Francesca Porcellato
Soprannominata “la rossa volante”, è una delle campionesse paralimpiche italiane più celebri al mondo, vantando ben nove partecipazioni ai Giochi Paralimpici e innumerevoli vittorie. Nata nel 1970 a Castelfranco Veneto, è disabile da quando aveva 18 mesi a causa di un incidente. "Quando sono salita sulla carrozzina per la prima volta mi è sorto subito un desiderio di farla correre veloce veloce”, racconterà in seguito. Nella sua carriera ha cambiato più volte disciplina approdando, nel 2015, all'handbike. “All’inizio l’handbike non mi stuzzicava. Si stava distesi, con una visibilità ridotta. Sono salita su questa “bici strana” solo per dare continuità agli allenamenti estivi. E me ne sono innamorata. Se ora qualcuno la chiamasse così, mi arrabbierei».