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Perché si sottovaluta ancora il peso dell’hate speech?

Non solo dal vivo, ma anche e soprattutto sui social: l’hate speech è un virus che si propaga e corrompe. Non possiamo ignorarlo, ma possiamo vaccinarci contro di lui
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Quando le parole fanno più male di un sasso o un bastone: l’hate speech è una forma d’odio che non può e non deve più essere tollerata. Si tratta di un fenomeno ormai dilagante che si concretizza con manifestazioni di intolleranza e disprezzo nei confronti delle minoranze, di chi non può o chi non vuole difendersi.

Per capire a fondo le dinamiche che lo scatenano e, talvolta, ci fanno ricadere nel tranello di praticarlo in forma più o meno aggressiva, ecco tutto quello che devi sapere su questo fenomeno che, grazie al web, si sta intensificando ogni giorno di più.

L’incitamento all’odio (hate speech)

Ti basta fare una rapida ricerca su internet per renderti conto che le parole hate speech sono spesso associate al mondo digitale, ai social network e alle piattaforme di dibattito, soprattutto scritto o attraverso l’uso di immagini (e meme). Sono parole che esprimono un odio basato su preconcetti nei confronti di persone o categorie.

Non si tratta solo di insulti, ma di discorsi propedeutici alla creazione di un odio viscerale, strutturato. Destinato a peggiorare nel tempo. Discorsi, in pratica, che rischiano di trascinare nella spirale aggressiva altre persone, convincendole che la violenza è l’unica soluzione per debellare qualcosa che non gli va a genio. Più in generale, l’incitamento all’odio fa riferimento a tutte le discriminazioni ai danni di qualcuno, non solo etniche, ma anche religiose e di genere. Uno degli aspetti più orribili di questo fenomeno è il bullismo, prima, e oggi il cyberbullismo, una forma d’odio capace di mietere vittime tra i più giovani e impreparati. Del resto, come si fa ad essere pronti a un odio sistematico e imperdonabile come quello di Internet, dove tutto rimane, in memoria, registrato da qualche parte, ad uso e consumo di chi vorrà leggere in futuro?

L’hate speech: uno strumento che danneggia tutti

Il grosso problema dell’incitamento all’odio è che non danneggia solo la vittima che, per carità, ha già i suoi problemi. L’hate speech è indottrinante e trasuda disprezzo, corrompendo la mente di chi lo ascolta fino a fargli credere che la violenza sia l’unica soluzione. Non ci riferiamo solo alla violenza fisica che sfocia così spesso in atti penali. Stiamo parlando di violenza verbale, ovvero incitamento all’odio che genera ulteriore incitamento. Una spirale discendente che fa male a chi la subisce, a chi la porta avanti e crea un profondo decadimento nella società.

Non è vero che avere un nemico rinsalda il popolo: è trovare un ponte di comunicazione e di contatto che rende unita la gente. L’hate speech, però, questi ponti li brucia. E più lo facciamo bruciare, anche attraverso l’indifferenza, più persone ne subiranno l’influenza.

Il problema di questo odio è la sua facilità di utilizzo. Gli slogan da due soldi con cui viene rilanciato nel mondo digitale e utilizzato, talvolta, per una risata di cattivo gusto. Il problema dell’hate speech è che la risoluzione ad esso dipende solo e soltanto dal singolo individuo, da una consapevolezza maggiore dell’impatto delle parole, a lungo termine.

C’entra anche la peer pressure

Sì, lo sappiamo, ti abbiamo appena spiegato un termine inglese e te ne stiamo già snocciolando un altro. La realtà però è che questi due concetti sono strettamente interconnessi e possono provocare una reazione a catena terrificante. La peer pressure, ovvero la pressione tra pari, è un fenomeno che abbiamo sempre subito, chi più o chi meno. Forse hai fatto amicizia con qualcuno, alla scuola media, che fumava, e magari ti sei sentito costretto a provare anche tu la sigaretta almeno una volta in vita tua. Questa è la peer pressure: la spinta sociale a fare qualcosa che normalmente non faresti, o a credere in qualcosa perché lo fanno gli altri.

Ebbene. Quando ti trovi in una comunità, sia essa dal vivo o digitale, è normale che gli esponenti della stessa propongano agli altri le loro idee. Niente di strano e di più sano, penserai. Eppure, ci sono gruppi, nati magari con scopi del tutto non correlati, che si ostinano a propugnare l’odio attraverso l’hate speech. Le persone che le seguono, reputandole magari autorità nell’ambito per cui il loro gruppo è nato, ascoltano e accettano i discorsi violenti di queste persone. E piano piano se ne convincono a loro volta.

L’odio è contagioso: ecco perché non va sottovalutato

Sì, hai capito bene: l’hate speech è un brutto virus e come tale va trattato. Non basta ignorarlo, non basta considerarlo meno di niente. L’hate speech va affrontato in battaglia e va sconfitto. Per esserne immuni, insomma, è necessario vaccinarsi attraverso il prezioso siero della comprensione e dell’informazione.

Pensi che l’hate speech sia solo uno spauracchio americano rappresentato dal meme di Pepe the Frog? Ripensaci. Se non vuoi guardare nella tua realtà quotidiana, pensa all’esempio mediatico che è stata Laura Boldrini. Dopo anni di offese subite sui social network con accuse infamanti, commenti violenti, incitazioni allo stupro – solo perché lei si è fatta portavoce dei migranti in un momento delicato come quello degli sbarchi -, ha predisposto una commissione contro l’incitamento all’odio. Ma i passi da fare sono ancora tantissimi.

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