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Perché le proteste in gonna del Liceo Zucchi devono farci aprire la mente (e il cuore)

Ragazzo con gonna, che balla
Non è vero che contro il sessismo imperante non possiamo fare nulla: le proteste in gonna dei ragazzi del Liceo Zucchi di Monza ne sono un esempio concreto

Pantaloni nell’armadio per far sentire la propria voce. Le proteste in gonna dei ragazzi del liceo Zucchi di Monza, che si sono presentati in classe con quello che per la cultura dominante è un indumento da femmine, è stato un bel segnale del fermento (e della sensibilità) che c’è tra i giovani di oggi.

Gonne scozzesi, lunghe, di jeans e minigonne: tra gli studenti dello Zucchi, molti dei quali ancora minorenni, nessuno si è tirato indietro al momento di manifestare per affermare che la nostra società è meno libera ed inclusiva di quello che vuol far credere.

E se è vero che il rispetto della parità di genere va difeso ogni giorno, con azioni quotidiane e non necessariamente eclatanti, è ugualmente importante attivarsi, scendere in piazza, ottenere l'attenzione mediatica su temi fondamentali come la sessualizzazione del corpo e la mascolinità tossica.

#Zucchingonna: le proteste dei ragazzi dello Zucchi

Il giorno della protesta davanti ai professori del liceo Zucchi di Monza non c’erano solo ragazze in gonna. C'erano anche e soprattutto ragazzi. Ragazzi che, almeno per un giorno, hanno abbandonato i jeans per portare al centro del dibattito le loro idee e manifestare contro il sessismo.

Un'iniziativa nata da una riflessione condivisa sull'importanza di fare qualcosa di concreto per la parità di genere e che ha dato vita a #Zucchingonna, la protesta pacifica che già l'anno scorso aveva visto gli studenti manifestare nello stesso modo.

«Viviamo in una società che, per quanto ami definirsi libera e inclusiva, non si dimostra tale. Le problematiche riguardanti le discriminazioni sono tantissime, ma impossibili da affrontare tutte insieme. Come in tutte le cose infatti bisogna fare piccoli passi alla volta. E perché non partire da un oggetto semplice e concreto?», hanno scritto gli strumenti sul profilo Instagram @zucchingonna.

«Una gonna, per esempio, ci permette di sollevare due importanti questioni, attuali ed evidenti a chi combatte per l’inclusione: la sessualizzazione del corpo femminile e la mascolinità tossica. Sono problematiche diffuse nella nostra società, e quale luogo migliore se non la scuola riflette il sistema nel quale ci troviamo a convivere con tanti altri».

Infine, hanno concluso: «L’ambiente scolastico dovrebbe farci sentire protetti e compresi nel nostro esprimerci liberamente» si legge sul profilo Instagram @zucchingonna.

L’iniziativa, unica in Italia, ha avuto il via libera anche dalla dirigente Rosalia Natalizi Baldi. Fino a questo momento, una manifestazione simile si era vista solo a Valladolid, in Spagna, dove un professore di matematica aveva deciso di postare una sua foto mentre faceva lezione indossando una gonna, in solidarietà a un alunno espulso da scuola per aver indossato un abito femminile.

Mascolinità tossica e sessismo

Se è vero che la società di stampo patriarcale in cui viviamo ha come conseguenza diretta il fatto di sessualizzare continuamente le donne, non va dimenticato che questo tipo di mentalità colpisce anche gli uomini con un fenomeno molto diffuso: quello della mascolinità tossica.

Per mascolinità tossica s’intende quel tipico fenomeno che vuole vedere gli uomini come un genere violento, non emotivo e sessualmente aggressivo. Un’imposizione che non permette agli uomini di mostrarsi vulnerabili alla società, per timore di essere additati come deboli.

Un vero e proprio fenomeno psicologico che, oltre a fare leva su regole che tengono in piedi una società in cui sono gli uomini a vincere e ad avere il potere, si nutre di stereotipi secondo i quali la donna è debole e il maschio forte. 

Spesso gli atteggiamenti riconducibili a questo fenomeno sono così ben radicati nella nostra cultura da passare come “normali”: per questo motivo l’educazione dei giovani, uomini e donne, è fondamentale così come lo è non dare mai per scontato il linguaggio e i termini con i quali ci si riferisce ad un altro essere vivente.

Perché si sessualizza ancora il corpo femminile?

Siamo nel 2021 e nonostante l’empowerment femminile sia sempre più impegnato a scardinare i pregiudizi di genere, parliamo ancora di sessualizzazione del corpo femminile.

Questo retaggio, che affonda le sue radici nella cultura di stampo maschilista e nella società patriarcale, rappresenta una questione nient'affatto superata, soprattutto per alcune realtà come quelle delle pubblicità e dei media i cui linguaggi sono spesso portavoce di questi cliché.

È esattamente in questo modo che l’eredità culturale che porta a guardare al corpo femminile come un oggetto sessuale viene perpetrata e legittimata finendo per entrare a far parte del pensiero comune. Un processo di manipolazione che passa, va detto, soprattutto attraverso i social che spesso chiedono alle donne di mostrarsi perfette e assoggettate a canoni di bellezza convenzionali (e figli di una cultura di stampo patriarcale).

Va detto, però, che proteste in gonna come quelle che sono andate in scena nel liceo di Monza fanno ben sperare verso un sentimento diffuso di maggiore consapevolezza che il corpo delle donne, e il corpo in generale, non è una questione pubblica, ma esclusivamente privata.

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