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Cos’è il fenomeno dello “sticky floor” e perché è il vero ostacolo alla carriera delle donne

Donne e lavoro
Sono ancora pochissime le donne che sfondano il soffitto di cristallo, ma le discriminazioni di genere iniziano proprio nella parte più bassa di quella piramide che non riusciamo a scalare

Il tema del divario di genere nel mondo del lavoro è un triste topos con cui ci confrontiamo quotidianamente, da anni. Lo stato dell’occupazione femminile in Italia è infatti piuttosto malmesso e continua a influenzare e penalizzare vite e carriere delle donne, spesso costrette a scelte al ribasso, rinunce forzate e “silenziose” discriminazioni.

Un fenomeno che conosciamo bene purtroppo è quello del soffitto di cristallo, quella lastra immaginaria e invisibile che divide le donne dalle stanze del potere, ancora oggi ad appannaggio quasi esclusivo degli uomini. Se è vero che sono poche in percentuale le donne che riescono a raggiungere posizioni apicali, dobbiamo però iniziare a soffermarci non solo sui vertici di quella piramide, ma anche sul basso. Perché le discriminazioni iniziano proprio da lì.

Se, infatti, da un lato c’è da sfondare quel soffitto di cristallo, dall’altro c’è da riconoscere che anche ai livelli medio-bassi le donne sono pressoché immobili, con scarse prospettive di carriera e salari più bassi.

La disparità di genere parte quindi dal primo gradino della scala aziendale. Questo fenomeno, poco noto proprio perché rappresenta la norma, prende il nome di pavimento appiccicoso, o sticky floor syndrome.

Cos'è la "sindrome del pavimento appiccicoso"

L’espressione “sticky floor”, coniata dalla sociologa Catherine White Berheide nel 1992, indica un modello occupazionale che blocca i lavoratori, soprattutto le donne, nei ranghi più bassi della scala del lavoro, con professioni di basso livello, a basso salario e a scarsissima mobilità.
Indica cioè lo stazionare in una posizione entry-level e la difficoltà di ottenere promozioni in ruoli nel middle management.

Questa condizione, come anticipato, è vissuta in proporzione significativamente maggiore dalle donne. A testimonianza del fatto che per le lavoratrici donne la piramide inizia a restringersi sin dall’inizio, citiamo uno studio del 2019 dal titolo Women in the Workplace, condotto da McKinsey & Company in collaborazione con LeanIn.Org, nel quale viene messo in luce come le donne rappresentino il 48% delle assunzioni entry-level e solo il 38% dei manager di primo livello. Insomma, la strada verso la conquista delle stanze del potere si interrompe ben prima di quanto immaginiamo.

Il soffitto di cristallo è quindi “solo” la punta dell’iceberg: le donne non solo restano bloccate in cima al middle management e non riescono a fare il salto al piano superiore - quello dirigenziale - ma, più ancora, rimangono impantanate già al primo piano.

Descrive bene questa situazione una frase tristemente emblematica ed efficace di Catherine White Berheide, pronunciata un’intervista del 1993: "La maggior parte delle donne dovrebbe essere così fortunata da avere il soffitto di vetro come problema. Molte donne restano invece impantanate nel pavimento appiccicoso".

Le cause dello "sticky floor"

La scarsa mobilità professionale che penalizza e stronca sul nascere buona parte delle carriere e delle aspirazioni femminili dipende prima di tutto da motivazioni di carattere socio-culturale. Non possiamo non riconoscere come la natura patriarcale della società odierna continui a perpetrare modelli e dinamiche fortemente penalizzanti per il genere femminile.

Ancora oggi, nonostante i notevoli passi in avanti compiuti in questo senso, dobbiamo purtroppo constatare che la questione della cura continua ad essere appannaggio quasi esclusivo delle donne. Sono infatti queste ultime a pagare un prezzo altissimo per via della mancanza di adeguate politiche sociali in grado di garantire assistenza nel compito della gestione della famiglia e della casa. Un prezzo altissimo che si traduce in gender pay gap, mancanza di promozioni e scatti di carriera, demansionamenti post-maternità fino a veri e propri abbandoni del lavoro. Il recente periodo di pandemia ce lo conferma, con un elevatissimo tasso di donne costrette a lasciare il lavoro per dedicarsi ai figli.

Di fronte a questi scenari, non risulta difficile capire perché le carriere degli uomini prendano il volo più facilmente verso i ranghi del middle management fino ai vertici aziendali, mentre quelle femminili restino più spesso impantanate ai livelli più bassi.

Accanto a questo, però, non possiamo non considerare un fatto sociologico piuttosto centrale: le donne tendono ad approcciarsi in misura inferiore a percorsi universitari e professionali STEM - acronimo che indica le materie di scienze, tecnologia, ingegneria e matematica - che garantiscono un maggiore tasso di occupazione, salari più alti e più concrete prospettive di carriera.

Siamo di fronte a pesanti e radicati pregiudizi di genere, figli di quella stessa mentalità patriarcale sopracitata che da sempre ci porta, erroneamente, a considerare gli uomini più adatti alle materie e professioni di ambito tecnico-scientifico e le donne più idonee a ricoprire ruoli e percorsi dediti all’assistenza, l’empatia e all’apertura all’altro. I diversi destini professionali di uomini e donne avrebbero origine anche da qui.

C’è però un’altra ragione che frena le carriere femminili ed è la percezione distorta che molte donne hanno di sé e del proprio valore. Una tendenza a sottostimare competenze e capacità, nota con il nome di confidence gap, che le porta a non ritenersi all’altezza per intraprendere certi percorsi e più ambiziose sfide professionali, finendo con il ricadere su più confortanti e meno promettenti scelte al ribasso. Una sorta di autosabotaggio che nasce dalla errata consapevolezza di non essere all’altezza, anch’essa alimentata da quella cultura maschilista endemica che continua a diffondere, in modo più o meno silenzioso, dannosi cliché e pregiudizi di genere.

"Sticky floor", come contrastarlo

Una prima misura efficace in questo senso consiste nell’impegno concreto di governi e aziende a promuovere politiche economiche mirate e un efficiente sistema sociale che tuteli la maternità e i diritti delle donne, evitando di far ricadere prevalentemente su queste ultime la prospettiva della cura, con evidenti ripercussioni sulle loro vite e carriere. Si tratterebbe di un approccio legislativo e pratico che potrebbe però agevolare e velocizzare un cambio di passo ideologico, altrettanto necessario per scardinare preconcetti e dinamiche duri a morire, che continuano a ostacolare il destino professionale delle donne e a limitarne o cancellarne del tutto aspirazioni e consapevolezze.

Accanto a questo è però necessario che le donne stesse cooperino tra loro, fungendo da esempio e stimolo per le nuove generazioni. In questo senso, le storie di donne che hanno sfondato il cosiddetto soffitto di cristallo o che hanno vinto ostacoli, raggiungendo percorsi e posizioni soddisfacenti, dovrebbero diventare una materia da diffondere e a cui dare rilievo, per fare una nuova cultura dell'informazione e infondere alle giovanissime la speranza e il desiderio di vivere con coraggio e sicurezza il loro futuro professionale. Una strada che dovrebbe iniziare già sui banchi di scuola, attraverso la lotta ai pregiudizi di genere e la promozione di una cultura inclusiva fondata sulla parità di genere.

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