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Cinema e figure femminili: cos’è il test di Bechdel e quali film non lo superano

Non tutti i film che conosciamo dedicano il giusto spazio ai ruoli femminili. Il test di Bechdel è in grado di dimostrarlo. Ecco di che si tratta e i film promossi e bocciati.

Dei celebri film entrati nella storia del cinema, ciò che più facilmente siamo soliti ricordare sono trame avvincenti, immagini potenti e personaggi iconici divenuti leggenda, insieme agli attori e alle attrici che li hanno interpretati. Più difficilmente ricordiamo il numero di battute destinate ai personaggi femminili. Eppure, questo è un dettaglio tutt’altro che irrilevante per garantire alla storia una narrazione inclusiva e una rappresentazione completa della realtà, cosa che molto spesso ci è stata preclusa.

Se guardiamo con attenzione a film o prodotti del settore audiovisivo del passato più o meno recente, infatti, potremmo restare piuttosto stupiti dall’importante assenza del punto di vista femminile in moltissimi dei capolavori che conosciamo. A far luce su questo aspetto negli anni è stato, più o meno inconsapevolmente, un particolare “test” apparso verso la metà degli anni Ottanta. Nato come un divertissement ironico e senza un reale intento programmatico, ha però interpretato un comune sentire che si stava facendo sempre più potente: quello di abbattere il divario di genere (anche) sul grande schermo. Il suo nome è test di Bechdel.

Cos’è il test di Bechdel

Il test di Bechdel è un metodo di valutazione che si basa su alcuni criteri specifici allo scopo di “misurare” la rappresentazione femminile nelle opere di finzione. I criteri su cui si fonda sono la presenza all’interno della storia di due personaggi femminili che parlano tra loro di argomenti che non riguardino un uomo.

Prende il nome dalla fumettista americana Alison Bechdel, che, in una sua vignetta del 1985 dal titolo The Rule, fa enunciare i suddetti criteri al personaggio di Mo, una donna di colore che dice all’amica Ginger che accetterà di accompagnarla al cinema solo se il film in questione soddisferà i requisiti sopracitati.

Presa in prestito dall’amica Liz Wallace, la frase citata da Bechdel è ispirata a una considerazione fatta da Virginia Woolf nella sua opera del 1929 Una stanza tutta per sé, in cui la scrittrice britannica lamentava il fatto che le figure femminili nella letteratura fossero sempre e solo messe in relazione a quelle maschili e descritte quindi esclusivamente in veste di mogli, madri, sorelle o figlie. La frase, nata come semplice battuta ironica nel fumetto di Bechdel, negli anni ha acquistato sempre più peso, fino a essere riconosciuta come un parametro per stabilire la validità di un prodotto artistico dal punto di vista della rappresentazione femminile.

Con il tempo, il criterio è diventato più rigido, aggiungendo le seguenti condizioni: che il nome dei due personaggi femminili sia reso noto e che la conversazione tra loro duri per un periodo minimo di sessanta secondi.

Limiti e pregi del test di Bechdel

Va però chiarito sin dal principio un aspetto fondamentale: il test permette di verificare la presenza o meno di ruoli femminili che non siano irrilevanti o concepiti solo in funzione dei personaggi maschili, ma non misura la qualità di un film, né il suo grado di inclusione o la sua natura femminista.

Lo dimostra il fatto che, ad esempio, passano il test film come Mean Girls o la serie Gossip Girl, in cui le figure femminili, certamente presenti in abbondanza, non sono garanzia di una rappresentazione non stereotipata della donna. O gli stessi film horror in cui le donne vengono spesso rappresentate come vittime.

Allo stesso modo, ad esempio, supera il test Cenerentola, in cui l’immagine femminile risente ancora fortemente di linguaggi sessisti e immagini stereotipate, e non il cartone Shrek, sebbene la figura femminile in esso rappresentata, Fiona, veicoli un’idea di donna forte, determinata e indipendente.

Alla luce di queste considerazioni, è dunque bene inserire queste riflessioni in un contesto ben più ampio, che tenga conto di un processo realmente inclusivo e che veicoli messaggi edificanti nell’ottica di una parità di genere effettiva.

Nonostante qualche limite, bisogna però riconoscere al test il merito di aver posto una maggiore attenzione sulla necessità di rappresentare le minoranze sugli schermi e in generale nelle varie rappresentazioni artistiche, tanto da aver aperto la strada a nuovi metodi di valutazione, tra cui il Vito Russo test e il DuVernay test, rispettivamente pensati per garantire che un personaggio LGBTQ+ non venga caratterizzato nel prodotto artistico solo attraverso il suo orientamento sessuale e che personaggi appartenenti a minoranze etniche non servano solamente da supporto al protagonista bianco.

I film cult che non superano il test di Bechdel

Sono moltissimi i film che non superano il test di Behdel, e alcuni di questi, con grande sorpresa, hanno per protagoniste figure femminili, seppur le loro battute ruotino sempre intorno ad argomenti che hanno per oggetto un uomo. Altri, divenuti titoli leggendari, dedicano invece poco spazio a personaggi femminili e molto spesso non contemplano conversazioni tra loro. Vediamo qualche caso emblematico.

Harry ti presento Sally, 1989

Sono solo due le donne che in questo film parlano tra loro, e sono i personaggi di Meg Ryan, Sally, e Carrie Fisher, Marie, ma c’è un piccolo problema: le loro conversazioni ruotano sempre e solo intorno al tema delle loro relazioni con gli uomini.

Guerre Stellari, 1977, 1980, 1983

I primi tre episodi della saga, risalenti al 1977, 1980 e 1983, avevano tre personaggi femminili - Beru Lars, Leia Organa e Mon Mothma - eppure tra questi non vi è mai alcuna conversazione.

Il Signore degli anelli, 2001

Stessa sorte per gli adattamenti di Peter Jackson della saga di Tolkien: anche qui i personaggi femminili sono tre - Arwen, Eowyn e Galadriel - ma anche in questo caso non parlano mai tra di loro.

Avatar, 2009

Il film di James Cameron include più di due personaggi femminili (tutti con un nome) eppure, anche in questo caso, non viene superato il test di Bechdel poiché le conversazioni tra le figure femminili vertono sempre e solo su un unico argomento: gli uomini.

Ratatouille, 2007

Anche il capolavoro della Pixar viene bocciato: gli unici personaggi femminili del cartone sono la critica gastronomica Solene LeClaire e Colette, l'unica donna chef del ristorante, ma in tutto il lungometraggio non vi è mai una conversazione tra di loro.

The Avengers, 2013

Il film, sebbene includa tre donne importanti - Natasha Romanoff, Pepper Potts e Agent Maria Hill – non soddisfa i criteri del test perché le protagoniste non parlano mai tra loro.

The Imitation Game, 2014

Il film del 2014, che racconta la vera storia del matematico Alan Turing, presenta un personaggio femminile di importanza centrale, Joan Clarke, interpretato da Keira Knightley, eppure, durante tutto il lungometraggio, la donna intrattiene una sola conversazione con l’amica Helen sull’argomento maschile.

Storia di un matrimonio, 2019

Nel film di Noah Baumbach, incentrato sulla fine della relazione tra Nicole e Charlie, i personaggi femminili trovano largo spazio, ma nella maggior parte dei casi non hanno un nome e le conversazioni che Nicole intrattiene con questi riguardano sempre l’ex marito Charlie o il figlio Henry.

Test di Bechdel: i film promossi

Ecco invece alcuni film che possono essere considerati esempi virtuosi per il peso specifico conferito alle figure femminili all’interno della narrazione e per l’influenza che le azioni e le battute a loro assegnate hanno giocato nello sviluppo della trama.

Film come Thelma e Louise, Piccole Donne (specie nella versione di Greta Gerwig del 2019), Tutto su mia madre e La vita di Adele sono solo alcuni degli esempi di film che hanno aperto le porte a ruoli femminili potenti e fortemente centrali, in cui le donne hanno finalmente smesso di avere una funzione accessoria per diventare esse stesse delle storie da raccontare, esprimendo nuovi punti di vista e visioni.

Si tratta di film che hanno contribuito a spostare il baricentro verso una più degna e complessa rappresentazione femminile all’interno della narrazione cinematografica. Un lavoro di scrittura potente che non solo ci ha regalato storie affascinanti e diverse, ma che ha permesso di far emergere attrici talentuose, che hanno cambiato la storia del cinema e modificato i tradizionali linguaggi cinematografici, conquistandosi un posto nell’olimpo hollywoodiano e contribuendo a cancellare, almeno in quel settore, il gender gap.

Un posto particolare all’interno di questo discorso lo merita Alien (1979), il primo film di fantascienza costruito attorno alla figura di un’eroina femminile, in cui la protagonista, Ellen Ripley, magistralmente interpretata dall’attrice Sigourney Weaver, interagisce con un’altra figura femminile centrale, J. M. Lambert, e in tutti i casi i loro discorsi sono incentrati sull’alieno e sulla missione da svolgere.

Che il capolavoro di Ridley Scott sia un caso emblematico in questo senso lo dimostra anche il fatto che proprio Bechdel lo facesse citare ai suoi personaggi del fumetto The Rule: il personaggio Mo, mentre discute con l’amica Ginger, parla di Alien proprio come un esempio di film in grado di soddisfare quei criteri da lei enunciati e considerati essenziali.

Ci sono poi altri esempi di film che al primo impatto potrebbero sembrare completamente “maschili”, ma che al contrario mettono in scena una degna rappresentazione dell’universo femminile. Eccoli.

Iron Man 2, 2010

Il secondo capitolo della saga ha introdotto Black Widow, Natalie Rushman, e ha permesso così di sviluppare una linea narrativa “rosa” tutt’altro che inconsistente: sono molti, infatti, i dialoghi che la vedono interagire con Pepper, l’altro grande personaggio femminile interpretato da Gwyneth Paltrow, in cui spesso il focus non è su Tony/Iron Man, ma sul lavoro o la Stark Industries. Non una cosa da niente per un lungometraggio di supereroi, in genere ad alto tasso di mascolinità.

Lilo e Stitch, 2002

Il cartone della Disney, sebbene sia incentrato sulle due figure di Lilo e Stitch, dedica uno spazio importante a una relazione femminile, quella di Lilo e la sorella Nani, che diventa una parte centrale dell’intero racconto.

La Tigre e il Dragone, 2000

Anche nel film di Ang Lee, sebbene il protagonista sia un uomo, Li Mu Bai, trova spazio all’interno della narrazione un rapporto tutto femminile, quello tra Shu Lien e Jen, che diventa uno snodo centrale della trama.

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