Nelle storie di violenza c'è una tematica ricorrente: lo conosciamo come victim blaming, ed è la colpevolizzazione della vittima. Tutte noi vorremmo che la vita fosse giusta, equa, splendida, magnifica. Il sole, però, non c'è sempre. A volte siamo colpite da una tempesta improvvisa. Uno degli aspetti che ci fa paura non è solo l'episodio negativo, che ci devasta, che ci distrugge. Ma è anche la sua diretta conseguenza: il momento in cui ci rendiamo conto di essere sole, e di essere parzialmente ritenute colpevoli di quanto ci è successo.
Capita sempre più spesso nelle storie di violenza. Non solo si è subito qualcosa di terribile, che spezza l'animo, che distrugge il cuore. Ma vengono poste anche delle domande e delle accuse, soprattutto sui Social Network. Che cos'è davvero la colpevolizzazione della vittima? Come funziona ciò che a tutti gli effetti è un processo psicologico messo in atto dalla società?
Victmin blaming, un processo psicologico da combattere
Immaginiamo una situazione tipica. Accade un evento, viene condiviso sui social, dai giornali, vediamo delle immagini scorrere in TV. In genere, c'è chi tende a empatizzare con la vittima, avvertendo in parte il suo dolore e la sua sofferenza, desiderando che possa ritrovare se stessa. Ma c'è anche chi, invece, ritiene che la vittima sia colpevole per quel che è successo, e il grado di responsabilità è diverso in base alla situazione.
Il victmin blaming non è un aspetto relativamente nuovo. In ogni parte del mondo, infatti, è sempre avvenuta una reazione decisa: senza nessuna scala di grigi o sfumature nel mezzo, l'opinione delle persone di fronte a una notizia di cronaca si divide in modo netto. Può essere positiva, negativa. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la colpevolizzazione della vittima distrugge una persona. Per ben due volte.
Vittimizzazione secondaria, una diretta conseguenza
Nei casi di violenza sessuale avviene la vittimizzazione secondaria. Che cosa vuol dire? Il processo di colpevolizzazione fa sentire la vittima... ancor più vittima. Ci si sente in qualche modo offese ancora una volta di fronte alla reazione delle persone. Perché non è semplice osservare in silenzio; non è mai semplice affrontare il giudizio pubblico, che è probabilmente tra i peggiori. Ci si sente spogliate di ogni forza, e dignità.
Le donne si ritrovano spesso a subire una seconda forma di violenza. Ci viene in mente - e non possiamo né dobbiamo dimenticarlo - il caso eclatante di Franca Rame. Dopo che fu stuprata, molti le chiesero se avesse in qualche modo tratto piacere dalla situazione. Come è lontanamente possibile arrivare a formulare tali pensieri? Come è possibile che di fronte a una tragedia si possa additare la vittima come in parte colpevole?
Perché si colpevolizza la vittima?
Arriviamo a un punto difficile da sciogliere: come mai si tende a colpevolizzare la vittima? Da cosa ha origine questo comportamento? Approfondire la psicologia del victim blaming non è facile, anzi, è un tema abbastanza complesso e ostico da affrontare. Perché in qualche modo la mente umana connette gli eventi negativi alle persone negative. Nell'ordine giusto delle cose, a una persona buona non dovrebbe accadere una cosa terribile. In qualche modo, scatta un meccanismo nel cervello: si colpevolizza la vittima per ripristinare l'ordine sociale, pensando che non sia così innocente come vuol far credere.
A volte, c'è altro dietro: ci riferiamo a una mentalità di base che è piuttosto chiusa e fissa negli schemi. Potremmo dire che alcune persone non vedono più in là del loro naso, ma la verità è che saremmo gentili. Il victim blaming è una realtà sociale profondamente radicata, e non riguarda solo gli uomini, ma anche le donne. Di fronte a un episodio di violenza, non è così raro trovare delle donne che non assolvono le donne, ma anzi le ritengono in parte colpevoli. Magari per l'abbigliamento. O per il comportamento.
Il caso di Greta Beccaglia, l'ennesimo victim blaming dei Social
"Se quelle sono molestie..." Ci viene in mente una frase dell'ultimo periodo per spiegare il victim blaming. No, di fronte alle molestie nessuno dovrebbe invitarci alla risata, ma è quanto accaduto alla giornalista sportiva Greta Beccaglia. Di fronte a una violenza non vogliamo sdrammatizzare, ma combattere il gesto, e non solo. Perché Greta, per esempio, non solo ha subito una molestia, ma si è ritrovata a "combattere" contro la sua colpevolizzazione.
Sarebbe facile, no? Addirittura semplice, basilare. La Beccaglia stava svolgendo il suo lavoro e si è ritrovata in una situazione a dir poco riprovevole. Quel che è accaduto, tuttavia, è lo schema predefinito. Dopotutto, è bella, Greta: e per questo motivo, "deve" accettare di buon grado una "goliardata". E l'aspetto peggiore è che proprio l'estetica gioca a sfavore della vittima e a favore della colpevolizzazione.
Il victim blaming è una mentalità che può essere estirpata, proprio come un veleno, perché lo è: avvelena la mente e non permette di distinguere colpevole e vittima. Siamo stanche di essere vittime per due volte. Di salire sul tribunale delle colpevoli, quando vorremmo solo essere capite.