Arriva al cinema dal 14 febbraio, distribuito da Wanted Cinema in collaborazione con Tinder, La natura dell’amore, terzo film della regista Monia Chokri (già attrice per Xavier Dolan) presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes 2023 nella sezione 'Un certain regard'. L’amore è il protagonista assoluto di una storia tanto raffinata quanto divertente, mordace e acuta, condita da un’ottima dose di filosofia e self-empowerment al femminile.
Al centro del film La natura dell’amore c’è un triangolo amoroso che, visto dal punto di vista femminile, si interroga sulla differenza di classe ma anche sull’infedeltà. Protagonista ne è l’attrice Magalie Lépine Blondeau nei panni di Sophia, una professoressa quarantenne franco-canadese, ricca e raffinata, che da dieci anni ha una relazione stabile, serena e cordiale, con il compagno Xavier (Francis-William Rhéaume), un intellettuale più propenso al dialogo che alla condivisione della stanza da letto. La familiarità che hanno raggiunto ha fatto sì dormano in camere separate e che al sesso preferiscano la diatriba verbale.
Tuttavia, la curiosità di Sophia sull’infedeltà (favorita anche dall’essere venuta a conoscenza del recente divorzio di una persona vicina) cresce molto di più quando, nel ristrutturare lo chalet di campagna, conosce Sylvain (Pierre-Yves Cardinal, amatissimo per essere stato il protagonista di Tom à la ferme), il falegname incaricato dei lavori. Appartengono a classi sociali differenti, hanno stili di vita diversi e non condividono nulla del loro background culturale ma, come si sa, gli opposti si attraggono. Ed è un regola non scritta a cui Sophia e Sylvain non si oppongono: sebbene lei sia tutta filosofia e classe e lui tutto muscoli e carica erotica, il desiderio prende il sopravvento e ha così inizio una relazione viscerale, tumultuosa, appassionata, semplice e sincera.
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Almeno fino a quando la semplicità di Sylvain non presenta le sue crepe agli occhi di Sophia. Incapace di conciliare le differenze, Sophia si rende pian piano conto che il mondo di Sylvain, con la sua famiglia, i suoi amici, le idee politiche e i punti di vista, poco ha a che fare con il suo e le sue convinzioni. È allora che le tensioni crescono e i problemi si accumulano comicamente fino a un inevitabile punto di ebollizione. Basta la sola passione a compensare il senso di alienazione che la quarantenne prova?
Intervista alla regista Monia Chokri
La natura dell’amore è un film che racconta una storia d’amore dal punto di vista femminile. Basta già questo a renderlo differente dalle varie dramedy romantiche a cui il cinema ci ha abituati negli anni. E il merito è di Monia Chokri, regista e sceneggiatrice del lungometraggio.
Nata nel 1983, Monia Chokri è stata attrice prima di esordire alla regia nel 2019. L’abbiamo vista e apprezzata in due film fondamentali di Xavier Dolan come Gli amori immaginari e l’insuperabile Laurence Anyways. Franco-canadese, la regista è stata in Italia per presentare La natura dell’amore, suo terzo film da regista, alla Fondazione Prada: ne abbiamo approfittato per porle qualche domanda.
Perché un film sull’amore oggi che le relazioni stanno cambiando forma e caratteristiche?
Nella domanda, si trova già la risposta: volevo raccontare una storia d’amore. È vero, ci sono tanti film che raccontano di storie d’amore ma in realtà non ce ne sono tantissimi in Canada, nel mio Paese. Ho dunque pensato al film per rivolgermi più al mio territorio e meno per quanto riguarda il cinema mondiale. La natura dell’amore è la storia di una donna che decostruisce dall’interno i rapporti di coppia, un punto di vista nuovo per capire le forme che sta prendendo l’amore oggi.
Sophia, la protagonista del film La natura dell’amore, è una donna di quarant’anni. Nel raccontare la sua storia non c’è dietro anche la volontà di capovolgere quel cliché per cui solitamente sono gli uomini a minare la stabilità dei rapporti per via della loro crisi di mezza età?
Non ho molto pensato alla crisi di mezza età. Avevo semmai in mente Un uomo, una donna, un film di Claude Lelouch che amo molto perché racconta una storia d’amore in cui i protagonisti hanno una quarantina d’anni. Mi piaceva riflettere sul fatto che la passione ha tinte molto diverse in base all’età e mi piaceva raccontare il primo incontro tra Sophia e Sylvain, molto dolce ma anche molto intenso. Volevo mostrare cosa si intravede dell’amore quando si passa in età adulta e come la concezione di amore stesso si evolve… tuttavia, sì, ci sono tante donne quanti sono gli uomini che soffrono di crisi di mezza età.
Il tradimento, come spiega una delle spiegazioni filosofiche di Sophia, nasce dal desiderio di qualcosa che manca. Tuttavia, per retaggio cattolico, il tradimento porta con sé quel senso di colpa che spesso attanaglia chi lo mette in atto. Sophia, però, va ben oltre il religiosissimo ‘per sempre, finché morte non ci separi’.
In Quebec, la regione del Canada in cui vivo, tutte le istituzioni erano in mano al clero ma ci siamo ‘ribellati’ alla religione cattolica attraverso quella che è stata definita la ‘rivoluzione tranquilla’. Benché sia stato attuato tale passaggio culturale, il senso di colpa è tuttora molto forte per via di un retaggio giudeo-cristiano che tarda a scomparire. Non ero però interessata all’idea di realizzare un film sul concetto di fedeltà o di infedeltà, non volevo interrogarmi su ciò e di sicuro non volevo farne il tema principale.
Il mio obiettivo era quello di mettere in scena la storia di una donna che andava fino in fondo al suo desiderio perdendo la sua sicurezza o tutto ciò che è la sua struttura per inseguire una passione che in fondo sapeva votata al fallimento. Attraverso Sophia, ho potuto raccontare quanto certe questioni per una donna possano essere “pericolose” perché mettono a rischio molti aspetti legati alla sicurezza economica e sociale. In fondo, ancora oggi sono educate o comunque crescono con l’idea che sia possibile migliore la propria posizione sociale solo attraverso la coppia, un concetto sconosciuto agli uomini.
In definitiva, non mi interessava così tanto parlare di fedeltà. Anche se c’è in tutti un elemento di ipocrisia al riguardo: come direbbe Sophia, non conosco molte coppie fedeli… anche la fedeltà è un concetto introdotto dalla tradizione giudaico-cristiana per far sì che gli uomini fossero sicuri della paternità dei loro figli, gli stessi uomini che non si sono mai preoccupati più di tanto della loro fedeltà.
A proposito di gender gap, da donna è stato difficile trovare produttori disposti a investire su una storia in cui tutto, sesso compreso, è visto dalla prospettiva femminile?
No, assolutamente. È avvenuto l’esatto contrario: in questo momento, tutti vogliono sentire storie che raccontano il punto di vista femminile e l’universo delle donne. Quella che viviamo è un’epoca estremamente interessante per le donne che fanno cinema: come registe, abbiamo tanto da raccontare e tante cose nuove. Sentivo di recente un’autrice, forse una sociologa, che sottolineava come le registe abbiano un modo proprio, diverso di raccontare che segna una netta differenza nella drammaturgia rispetto al punto di vista maschile di prima. Credo che un po’ sia vero ma è una riflessione molto interessante: significa avere davanti a noi (potenzialmente) non solo la libertà di riscrivere la storia ma anche un nuovo modo di raccontarla.
Gli uomini del film La natura dell’amore con cui Sophia termina e inizia una storia sono l’uno l’esatto opposto dell’altro. Da un lato abbiamo l’intellettuale (dimesso) Xavier mentre dall’altro lato c’è il boscaiolo Sylvain, virgulto e vigoroso. C’era in minima parte il desiderio, anche tutto femminile, di oggettificare il corpo maschile dopo decenni in cui si è oggettificato quello femminile?
Il concetto stesso di oggettificazione è un concetto molto maschile: è un approccio che alle donne non appartiene… noi abbiamo un altro modo di approcciarci al mondo ma è vero che mi piaceva l’idea di giocare con il concetto di archetipo. E quindi ho voluto all’inizio del film presentare due poli opposti maschili, due cliché riconoscibili: l’intellettuale che non è assolutamente capace di fare niente con le mani e il falegname virile che invece con le mani costruisce e lavora la materia. Man mano che poi la narrazione prosegue e conosciamo meglio entrambi, capiamo che in realtà le loro tipologie non sono così nette: sono molto più sfumate.
Alcune caratteristiche non erano nemmeno nelle mie intenzioni. Di sicuro, Xavier è un uomo che non ha capacità di ascolto mentre Sylvain è molto romantico e interessato a impegnarsi, qualcosa che non corrisponde allo stereotipo: solitamente, gli uomini della sua tipologia sono sfuggenti. Per di più, l’idea romantica del desiderare qualcuno di non disponibile non appartiene al suo sesso ma a quello femminile: poiché tutto viene visto dal punto di vista di Sophia, mi piaceva rappresentarlo come una persona che desidera e non solo che viene desiderata.